Oreja Aguirre, Marcelino

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Diplomatico, uomo politico, accademico spagnolo, O. (Madrid 1935), figlio di un deputato tradizionalista basco ucciso a Mondragon (Guipúzcoa) nell’ottobre 1934, si laureò in Giurisprudenza presso l’Università di Madrid e, specializzatosi all’estero a Bonn, a Londra e all’Aia, entrò alla Scuola diplomatica nel 1958. Ritenuto fedele al regime franchista e in linea con gli orientamenti di Fernando María Castiella y Maíz – ministro degli Esteri nei tre governi presieduti da Francisco Franco Bahamonde nei periodi 1957-1962, 1962-1965 e 1965-1969 – O. percorse con regolarità le tappe della carriera, partecipando tra l’altro alle delegazioni spagnole presso importanti organizzazioni internazionali: segretario di terzo livello presso il ministero degli Esteri nel 1960, di secondo nel 1962, di primo nel 1966, consigliere d’ambasciata nel 1973, ministro plenipotenziario di primo livello nel dicembre 1975. Dal 1962 al 1970 fu direttore del gabinetto tecnico del ministero. Già nel 1962 ottenne l’incarico di insegnamento di Politica estera contemporanea presso la Scuola diplomatica, di cui divenne vicedirettore e membro della giunta direttiva nel 1968. Direttore aggiunto della Scuola per funzionari internazionali nel 1964, entrò nel Consiglio superiore degli Esteri nel 1970.

L’anno dopo ottenne l’incarico di professore aggiunto presso la cattedra di Studi superiori di diritto internazionale nell’Università di Madrid, fu consigliere nazionale per Guipúzcoa ed entrò nella decima legislatura delle Cortes. In Parlamento si segnalò come membro delle Commissioni esteri e finanze e come segretario generale del gruppo spagnolo dell’Unione spagnola interparlamentare. Dal 1971 al 1974 coprì la carica di direttore delle relazioni internazionali del Banco de España. Nel 1974 fu sottosegretario del ministero delle Informazioni e del turismo nel primo governo formato da Carlo Arias Navarro dopo l’uccisione dell’ammiraglio Luis Carrero Blanco. Noto sostenitore della necessità di introdurre maggiore libertà di stampa come strumento di una graduale liberalizzazione politica, O. si dimise con altri ministri e alti funzionari governativi in ottobre, in segno di protesta contro la destituzione del ministro delle Informazioni e del turismo, Pío Cabanillas Gallas. Restaurata la monarchia dopo la morte di Franco, O. fu nominato sottosegretario del ministero degli Esteri nel secondo governo Arias Navarro (1975-76), che affidò l’incarico ministeriale a José María de Areilza.

Ben inserito nei circoli “aperturisti” del regime, O. mantenne negli anni preziose relazioni con Cruz Martínez Esteruelas, ministro per la Pianificazione nell’ultimo governo di Carrero Blanco (1973), e con Alfonso Osorio García, che avrebbe coperto la stessa carica nel secondo governo Arias Navarro, così come con altri politici che avrebbero condiviso con Osorio e con lui posti ministeriali di rilievo nel primo governo formato da Adolfo Suárez González (1976-77), quali Landelino Lavilla Alsina (Giustizia) ed Eduardo Carriles Galarraga (Finanze). Coltivando importanti legami con il gruppo “Tácito”, di ispirazione democristiana, importante nucleo di dissenso politico all’interno dell’establishment franchista, O. fu tra i fondatori, nell’agosto 1975, della “Fedisa” (Federación de estudios independientes), una società commerciale per la promozione di studi economici e sociopolitici intesi a preparare la Spagna all’imminente cambiamento di regime. Tra gli altri promotori dell’iniziativa figuravano Cabanillas, Areilza e Manuel Fraga. Il 25 agosto, un comunicato della Federazione dichiarò che urgevano in Spagna riforme politiche e costituzionali, e una forma di governo meno autoritaria.

O. aderì al Partido popular democrático, poi confluito nell’Unión de centro democrático (UCD), la coalizione centrista cui egli appartenne fino alla crisi del 1983. Nominato senatore da re Juan Carlos I per le Cortes costituenti (1977-79), fu deputato dell’UCD per Guipúzcoa all’inizio della prima legislatura (1979-80) e di Coalición democrática per Álava nei primi anni della seconda (1982-84). Ministro degli Esteri nel primo governo Suárez, dal luglio 1976 al luglio 1977, O. mantenne l’incarico nel secondo governo Suárez (1977-79) e, fino al settembre 1980, anche nel terzo (1979-81). Lavorando in stretta collaborazione con la presidenza di governo e con re Juan Carlos I, O. fu dunque uno dei più importanti esponenti della transizione alla democrazia. Sotto la sua direzione, la politica estera spagnola si consolidò nel nuovo cammino di apertura graduale all’esterno avviato da Areilza nella prima metà del 1976, prestando la debita attenzione ai passi politici, economici e diplomatici necessari all’inserimento progressivo del paese nel contesto comunitario europeo, nell’assetto difensivo atlantico e, più in generale, in un tessuto organico e normalizzato di relazioni con gli interlocutori internazionali che riflettesse all’esterno il cambiamento di regime interno. O. seppe farsi interprete in modo adeguato del bisogno di fondare tale consolidamento su una precisa corrispondenza in politica interna tra la definizione degli interessi e il consenso della comunità nazionale, in modo tale da evitare che a «aspirazioni particolari di individui o gruppi si conferisse abusivamente il carattere di interessi nazionali», come dichiarò alla Camera dei deputati nel settembre 1977. Già nel gennaio 1976, come sottosegretario agli Esteri, O. aveva sintetizzato le linee di fondo cui la politica estera spagnola si sarebbe dovuta ispirare: piena incorporazione nella vita internazionale, universalizzazione delle relazioni diplomatiche, completa integrazione politica ed economica nell’Europa occidentale, garanzie agli interlocutori esterni sulle intenzioni della nuova monarchia parlamentare di mantenere gli impegni in tema di democratizzazione del paese e di tutela dei Diritti dell’uomo. Si trattava invero di obiettivi troppo avanzati per le possibilità di manovra del secondo governo Arias Navarro, ma la definizione in sede programmatica aveva costituito un precedente di rilievo.

Appena assunta la carica di ministro degli Esteri, il 7 luglio 1976, O. procedette all’aggiornamento delle relazioni con la Santa Sede, firmando a Roma un protocollo che introduceva modifiche sostanziali nel Concordato del 1953. Il documento avrebbe poi spianato la strada ai quattro accordi sottoscritti nel gennaio 1979, che sostituirono il Concordato e offrirono un nuovo quadro normativo ai rapporti tra il Vaticano e lo Stato spagnolo in relazione allo status legale della la Chiesa cattolica, alle misure di appoggio finanziario a essa garantite dallo Stato, all’istruzione religiosa nelle scuole e al rapporto degli ecclesiastici con le forze armate, in sintonia con i valori della nuova Costituzione democratica. Già con l’intesa del 1976, comunque, papa Paolo VI aveva manifestato a O. il pieno appoggio della Chiesa cattolica al processo di transizione politica: la normalizzazione delle relazioni diplomatiche, in un ambito critico cui anche il regime franchista aveva dedicato la massima attenzione dal 1939 al 1975, si accompagnava all’Adesione al processo di democratizzazione in atto nel paese di un interlocutore esterno dotato di una forte influenza anche sulla politica interna spagnola.

O. si dedicò con intelligenza al riassetto delle relazioni con i paesi che avevano negato il riconoscimento diplomatico alla dittatura. Morto Franco, Madrid disponeva di canali normali solo con la Repubblica Democratica Tedesca (peraltro appena aperti, nel 1973, e interrotti poco dopo, a ragione delle esecuzioni capitali comminate dal regime nel settembre 1975) e con la Cina. Si noti che fino al marzo 1977 anche il Messico continuò a riconoscere come legittimo il governo della Seconda repubblica in esilio. Nei primi mesi di quell’anno il governo Suárez riuscì ad avviare piene relazioni diplomatiche con la Iugoslavia, con l’Unione Sovietica e con gran parte dei suoi alleati nell’Europa orientale: Romania, Bulgaria, Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria. Si aprirono poi in breve relazioni con la Cambogia, con il Vietnam, con la Mongolia e, a fine anno, con alcuni paesi africani liberati di recente dal dominio portoghese: Angola, Mozambico e Capo Verde. O., molto favorevole alla ricerca di un’intesa con Israele, ma consapevole sia della necessità di coltivare con estrema cura i rapporti con i paesi produttori di petrolio sia delle precise inclinazioni della sinistra spagnola in merito all’applicazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite sui territori occupati nella guerra arabo-israeliana del 1967, si mosse con prudenza e non cercò di forzare la situazione. Con facilità, invece, manovrando all’interno di un filone classico della politica estera spagnola, cioè il rapporto peninsulare con il Portogallo, guidò la trasformazione del Pacto Ibérico firmato nel 1942 tra i regimi franchista e salazarista in un nuovo accordo di amicizia e cooperazione tra le due democrazie.

I passi di democratizzazione interna compiuti dal governo Suárez nel 1977 contribuirono in modo decisivo a sbloccare l’assetto delle relazioni con la Comunità economica europea, chiave di volta per una ristrutturazione significativa della politica estera del paese e, proprio per questo, impegno prioritario tanto per Areilza quanto per O., suo successore al ministero. Affiancato a partire dal febbraio 1978 anche da Leopoldo Calvo Sotelo, entrato in quella data nel secondo governo Suárez come ministro per le Relazioni con le Comunità europee, O. condusse con abilità, per quattro anni, il gioco diplomatico con le Istituzioni comunitarie. Quando il Parlamento europeo riconobbe in modo ufficiale che l’annuncio della Ley para la Reforma, la legalizzazione del Partito comunista spagnolo (Partido comunista español, PCE) e la convocazione dei comizi elettorali avevano avviato a buon fine il compimento delle promesse di Suárez, permettendo dunque di superare il veto politico imposto fin dal gennaio 1962 dal Rapporto Birkelbach all’adesione di paesi che, come la Spagna, non fossero guidati da governi democratici; e quando, soprattutto, il Parlamento europeo reagì all’esito delle elezioni generali tenute in Spagna in giugno con una delibera favorevole all’ingresso del paese nella Comunità, O. procedette con celerità a formalizzare la richiesta di adesione e, contando sull’appoggio di tutte le forze parlamentari spagnole, la depositò il 28 luglio 1977. Nei mesi successivi, fino a dicembre, Suárez compì il tradizionale pellegrinaggio nelle nove capitali degli Stati membri per appoggiare la candidatura, non priva di elementi di preoccupazione – economici, ormai, più che politici – per Bruxelles e per alcuni di essi, tra i quali in particolare la Francia: non a caso i negoziati, avviati formalmente nel febbraio 1979, si sarebbero infatti protratti per anni.

O. si impegnò nel frattempo sul piano comunitario anche per la discussione della Cooperazione politica europea (CoPE) e del ruolo che i nuovi membri avrebbero potuto svolgervi: in settembre organizzò a questo scopo all’ambasciata di Spagna a Bruxelles una riunione degli ambasciatori di tutti gli Stati membri. In quei giorni, tenendo una conferenza sulla politica estera spagnola presso l’Institut royal des relations internationales, affermò che obiettivi centrali del paese, tutto proiettato verso l’Occidente, erano il rafforzamento della sicurezza nazionale, la conservazione dell’integrità territoriale, la protezione degli interessi degli emigranti, la promozione del commercio e di un nuovo ordine economico internazionale, l’appoggio alla distensione e al disarmo e la protezione dei diritti umani. Sottolineando inoltre che la Spagna non coltivava tentazioni neutraliste, affermò che il paese costituiva parte del sistema di sicurezza occidentale e intendeva sia aprire negoziati con l’Alleanza atlantica, che ne garantiva la struttura portante, sia incoraggiare la definizione di una strategia europea che potesse ovviare alla vulnerabilità del continente.

Lavorando sul nesso tra la democratizzazione e l’avvicinamento alle istituzioni sovranazionali e internazionali, O. si adoperò anche per l’adesione della Spagna al Consiglio d’Europa, che fu raggiunta con maggior celerità e facilità nel novembre 1977. In quell’occasione, O. firmò la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: un atto significativo anche per la piena coerenza con gli impegni assunti da O., nel settembre 1976, nel suo primo intervento al cospetto dell’Assemblea generale dell’ONU, quando egli aveva affermato che «il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali» sarebbe stato la chiave di volta della «politica interna ed estera» del governo Suárez, siglando l’adesione della Spagna alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e annunciando l’impegno alla sottoscrizione anche dei due Patti del 1966 sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali (v. anche Convenzione europea dei diritti dell’uomo).

L’azione di normalizzazione delle relazioni diplomatiche costruita da O. dovette ovviare anche alle tensioni prodotte dall’ultimo franchismo nel Nordafrica, in coincidenza con il ritiro dalle posizioni coloniali mantenute fino agli anni Settanta. Areilza e O. erano contrari agli Accordi tripartiti di Madrid, firmati nel 1975 tra la Spagna, il Marocco e la Mauritania, e cercarono dunque di proporne un’interpretazione in base alla quale la Spagna aveva ceduto non la sovranità ma solo le competenze amministrative sul Sahara occidentale, rinviando la soluzione della questione a una consultazione popolare. L’Algeria, di contro, manifestò il suo appoggio sia al Fronte polisario saharawi sia al Movimento per l’autodeterminazione e l’indipendenza dell’Arcipelago delle Canarie (Movimiento para la autodeterminación e independencia del Archipiélago Canario, MPAIAC), sollevando la questione della “africanità” delle isole presso l’Organizzazione dell’unità africana. Evitando un forte scacco al prestigio e alla politica estera spagnola, dopo ampie esitazioni quest’ultima si pronunciò nel 1978 a sfavore del riconoscimento del MPAIAC come movimento di liberazione africano, grazie anche all’azione personale dispiegata da O., che visitò alcuni Stati africani per garantirne l’appoggio alle tesi di Madrid, mentre una delegazione parlamentare sosteneva sforzi analoghi con un tour nei paesi chiave per la votazione. Quanto alle relazioni con l’America Latina, altra classica direttrice della proiezione esterna della Spagna, O. assecondò in pieno la trasformazione del concetto di hispanidad, caro all’ideologia e alla propaganda franchista, in quello di una “Comunità iberoamericana delle nazioni”, illustrato da Juan Carlos nel discorso di Cartagena de Indias nell’ottobre 1976. In tale contesto, la Spagna avviò anche una politica di cooperazione allo sviluppo destinata in particolare all’America Latina, creando il Fondo de ayuda al desarrollo (FAD) e una Commissione interministeriale ad hoc.

Come Areilza, anche O. riteneva che l’adesione della Spagna all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) costituisse la via maestra per normalizzare l’inserimento del paese nel blocco occidentale, rinnovando all’interno di un più ampio contesto multilaterale il rapporto bilaterale con gli Stati Uniti, acquisito dalla dittatura in modo formale fin dagli anni Cinquanta e di recente riconfermato con il trattato di amicizia e cooperazione firmato a Madrid nel gennaio 1976. L’opposizione di sinistra, costituita in particolare dal Partido socialista obrero español (PSOE) e dal PCE, era però contraria all’idea e pronta a porre in modo polemico la questione delle basi statunitensi sul territorio spagnolo, previste dagli accordi con Washington, se O. avesse intavolato la questione dell’entrata nella NATO. Procedendo con la cautela richiesta dall’atteggiamento delle sinistre, O. incontrò il segretario generale dell’organizzazione, Joseph Luns, nel corso del viaggio a Bruxelles per la presentazione della candidatura alla Comunità europea, e nominò ambasciatore nella capitale belga Nuño Aguirre de Cárcer, sostenitore dell’opzione atlantista. Nel marzo 1978 cominciò a definire con maggior precisione il proprio atteggiamento, in riferimento alla Dichiarazione programmatica del secondo governo Suárez in materia di politica estera, dell’11 luglio 1977, enumerando in un discorso al Senato, articolato in tredici punti concreti, i vantaggi dell’adesione e sottolineando, in ogni caso, che la decisione si sarebbe dovuta prendere non sulla base di un ristretto margine di voti, ma soltanto in corrispondenza con un ampio e manifesto consenso popolare. Dettava prudenza al ministro anche il fatto che Suárez, preoccupato delle ricadute della vertenza atlantica in politica interna e della possibilità che l’adesione alla NATO non giovasse alle relazioni di Madrid con il mondo arabo e con l’America Latina, non condivideva in pieno la sua strategia di avvicinamento all’organizzazione, anzi, era incline a uno sfumato scetticismo, come emerse nel corso del dibattito sulla politica estera in seno al primo Congresso nazionale dell’UCD, tenuto nell’ottobre 1978.

Dopo le elezioni generali del 1979, Suárez ribadì che il partito sosteneva l’adesione del paese all’Alleanza, in linea con la sua vocazione europea e occidentale, ma tornò a sottolineare le ragioni della prudenza, prendendo le distanze dai settori più atlantisti dell’UCD. Il 15 giugno 1980, O. dichiarò al quotidiano “El País” che il governo era del tutto favorevole a una rapida adesione alla NATO, definendo come prerequisiti rispetto alla richiesta di adesione un buon avanzamento dei negoziati con la Comunità europea e l’avvio di trattative bilaterali con il Regno Unito in vista di un eventuale trasferimento alla Spagna della sovranità su Gibilterra. Su quest’ultimo tema O. si era fatto interprete fin dal 1977 di una posizione di fermezza da parte del governo, promuovendo negli anni una serie di incontri negoziali con Londra. Suárez non commentò subito le dichiarazioni alla stampa ma, di lì a poco, manifestò a O. il proprio dissenso e, ai primi di settembre, procedette alla sua sostituzione al ministero, nell’ambito di un più ampio rimpasto del governo. Il contrasto tra i due si era via via approfondito, anche per l’indirizzo più apertamente europeista e filoccidentale che O. aveva inteso assegnare alla politica estera spagnola, a fronte di una certa inclinazione di Suárez a cercare a tratti una “terza via” tra gli schieramenti, soprattutto nelle relazioni con l’America Latina. Né era bastato a rendere del tutto convergenti le loro posizioni il fatto che O., presentando il progetto come manifestazione di un certo grado di autonomia rispetto ai blocchi internazionali, si fosse adoperato con successo perché la Spagna si aggiudicasse il terzo vertice della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE), la cui riunione preparatoria si tenne a Madrid all’indomani della sua uscita dall’esecutivo.

Lasciato il ministero a José Pedro Peréz Llorca, che avrebbe mantenuto l’incarico anche nell’ultimo gabinetto dell’UCD presieduto da Leopoldo Calvo-Sotelo y Bustelo (1981-82), O. fu Delegato del governo nei Paesi Baschi (1980-82) e Console generale di Spagna a Lisbona (1983). Eletto Segretario generale del Consiglio d’Europa nel maggio 1984, mantenne la carica per cinque anni, cercando sia di rafforzare l’azione svolta dal Consiglio in tema di diritti umani, anche migliorandone i termini della cooperazione con la Comunità europea, al fine di evitare inutili sovrapposizioni operative, sia di svilupparne nuove aree di competenza in settori quali il controllo del terrorismo e del traffico di stupefacenti, l’ambiente e le questioni tecnologiche. Nel 1987 pubblicò il volume ¿Europa, para qué? Nel 1989 fu eletto al Parlamento europeo e aderì al Partito popolare europeo (PPE). Come eurodeputato dedicò forti energie all’elaborazione di un progetto di Costituzione europea avviato nel 1990 (v. anche Costituzione europea), prima presiedendo la commissione incaricata della redazione, poi assumendo personalmente la carica di relatore nell’autunno del 1992. Nel marzo di quell’anno, continuando una linea di interessi già individuata come segretario del Consiglio d’Europa, ottenne la presidenza del gruppo per l’Etica della biotecnologia della Comunità europea, creato su iniziativa di Jacques Delors, e diresse a Mosca una scuola estiva dell’Università Complutense di Madrid dedicata alla costruzione europea. Presidente di Northern Telecom España dal 1992 al 1994, O. entrò nella Commissione europea della CE presieduta da Jacques Santer (1995-99), prima come successore di Abel Juan Matutes nella carica di commissario all’Energia e ai trasporti (1994-95), poi come commissario alle Relazioni con il Parlamento europeo, con gli Stati membri, alla Cultura e agli Affari istituzionali (1995-99).

Convinto della necessità di costruire una forte compagine di centrodestra da opporre al PSOE, al potere dal dicembre 1982 al maggio 1996 sotto i quattro governi presieduti da Felipe Màrquez González, nelle file di Alianza popular (AP) O. aveva contribuito con un’abile tessitura relazionale al decollo del Partido popular (PP), ponendo le basi per l’accordo tra Antonio Hernández Mancha, Manuel Fraga e il democristiano Javier Rupérez. Eletto vicepresidente nel gennaio 1989, durante il IX Congresso nazionale di AP che segnò il passaggio al PP, mantenne la carica fino al marzo 1990. In luglio lasciò l’esecutivo del partito per alcune tensioni interne, ma vi rientrò in settembre come coordinatore generale della politica estera, incarico che conservò fino al febbraio 1993, per divenire poi presidente della Commissione esteri del PP. Deputato per Álava all’inizio della quinta legislatura (1993-94), presiedette la Commissione mista bicamerale per le Comunità europee – funzione nella quale contribuì con particolare incisività a diffondere in Spagna la conoscenza particolareggiata del gioco politico comunitario e del suo carattere consensuale – e fu tra i popolari che, con Federico Trillo, firmarono una denuncia per malversazione di alcuni responsabili socialisti del ministero degli Interni. Nel dicembre 1999 – dopo aver ricoperto cariche di rilievo in alcune imprese private, come membro del consiglio di amministrazione di Portland Valderrivas, di Agromán Inversiones e del Banco Guipuzcoano – O. assunse la presidenza del grande gruppo di costruzioni e servizi Fomento de Construcciones y Contratas (FCC), allora in testa al comparto nazionale per fatturato, su proposta della principale azionista, Esther Koplowitz. In quell’occasione avviò il distacco dall’attività politica in cui si era impegnato fin dai primi anni Sessanta.

Massimiliano Guderzo (2009)

Bibliografia

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