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Sarkozy, Nicolas

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S. nasce a Parigi il 28 gennaio 1955; è il secondo di tre fratelli. Il padre, Pál Sárközy de Nagy-Bocsa, è un aristocratico ungherese, rifugiatosi in Francia a seguito del rifiuto di prestare servizio militare nel proprio paese. La madre, Andrée Mallah, discende da una famiglia ebrea sefardita di Salonicco (da parte di padre, un medico gollista della prima ora) e da una famiglia francese di religione cattolica (da parte di madre).

S. si forma in collegi privati e si iscrive alla facoltà di Legge all’Università di Paris X-Nanterre, specializzandosi in diritto privato e scienze politiche. Prosegue gli studi all’Institut d’études politiques di Parigi, senza concluderli. Nel 1981 diviene avvocato.

Nel 1974 inizia la sua militanza politica nelle formazioni golliste. Si iscrive inizialmente all’Union des démocrates pour la République. Nel 1976 aderisce al Rassemblement pour la République, il partito neogollista fondato da Jacques Chirac: ne diventerà coordinatore e portavoce nel 1997, segretario generale nel 1998 e presidente (ad interim) tra l’aprile e il dicembre 1999. Nel 2002, a seguito delle elezioni presidenziali, l’RPR si federa con altri partiti di ispirazione conservatrice, liberale e cristiano-democratica per dar vita al partito neogollista Union pour un mouvement populaire (UMP): S. ne diviene presidente una prima volta dal 2004 al 2007. Nel 2014 viene eletto nuovamente alla presidenza dell’UMP che, per iniziativa dello stesso S., in un’ottica di rilancio elettorale, assume la denominazione di Les Républicains a partire dal marzo 2015.

L’avvio della carriera politico-istituzionale di S. risale al 1983, quando viene eletto sindaco di Neuilly-sur-Seine: rivestirà tale incarico fino al 2002. Nel 1988 è eletto per la prima volta deputato all’Assemblea nazionale: sarà rieletto nel 1993, 1997 e 2002.

Nella prima metà degli anni Novanta, S. inizia a ricoprire incarichi governativi: in particolare, nel governo di Édouard Balladur (1993-1995) è ministro del Bilancio dal 1993 al 1995 e ministro delle Comunicazioni (facente funzioni) dal 1994 al 1995. Tuttavia, durante il settennato di Jacques Chirac alla presidenza della Repubblica (1995-2002), S. non ricopre altri incarichi governativi, scontando, in questo modo, il sostegno offerto alle elezioni presidenziali del 1995 allo stesso Balladur, sconfitto al primo turno da Chirac e dal candidato socialista Lionel Jospin. Alle successive elezioni presidenziali del 2002, S. sceglie di sostenere la rielezione di Chirac, riuscendo così a rientrare nella compagine governativa. Durante i governi Raffarin, S. è infatti ministro dell’Interno (maggio 2002-marzo 2004) e dell’Economia, delle finanze e dell’industria (marzo-novembre 2004); nel governo de Villepin è ministro dell’Interno e dell’Organizzazione del territorio (giugno 2005-marzo 2007).

In conseguenza di una crescente popolarità, acquisita in particolare nella funzione di ministro dell’Interno, nel gennaio 2007 è nominato candidato ufficiale dell’UMP alla presidenza della Repubblica. Alle successive elezioni presidenziali, S. supera al ballottaggio la candidata socialista Ségolène Royal con il 53,06% dei voti, divenendo il ventitreesimo Presidente della Repubblica (2007-2012).

Nei primi due anni di presidenza, S. si mostra determinato a introdurre cambiamenti ed elementi di discontinuità nella politica nazionale, europea e internazionale, alcuni dei quali annunciati già in fase di campagna elettorale e successivamente delineati, in maniera più organica, nel Libro bianco sulla politica estera ed europea “La Francia e l’Europa nel mondo” (2008) e nel Libro bianco sulla difesa e sicurezza nazionale (2008) (v. Libri bianchi).

Sul piano europeo, l’ambizione del nuovo Presidente francese consiste, in estrema sintesi, nel rilanciare il processo di integrazione, seppur in chiave prettamente intergovernativa (v. Integrazione, Metodo della), al fine di offrire alla Francia la possibilità di tornare a essere, attraverso l’Unione europea (UE), un attore globale strategico. Sono due gli ambiti prioritari in cui S. intende promuovere tale strategia: dialogo Euromediterraneo e Politica europea di sicurezza e difesa (PESD).

In via preliminare, tuttavia, è necessario superare la fase di stallo istituzionale in cui l’UE si trovava fin dal 2005, a seguito dell’esito negativo delle consultazioni referendarie in Francia e Olanda (v. Paesi Bassi) sull’approvazione del Trattato che adotta una costituzione per l’Europa (v. Costituzione europea). Già durante la campagna presidenziale, e in contrasto con la posizione assunta dai suoi principali rivali, S. aveva annunciato l’intenzione di voler negoziare una soluzione per uscire da tale impasse che non comportasse un nuovo ricorso alla consultazione referendaria. Tenendo fede a tale proposito, a metà giugno 2007 la Francia propone l’elaborazione di un nuovo Trattato (intergovernativo) semplificato. Il Consiglio europeo di Bruxelles del 21-22 giugno 2007, decidendo di istituire una specifica Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative), abbraccia tale soluzione, avviando il processo che porterà, nel dicembre 2007, all’adozione del Trattato di Lisbona.

Avviata a soluzione la crisi istituzionale, tra il 2007 e il 2008 S. si fa portatore di un’iniziativa finalizzata a rilanciare il dialogo Euromediterraneo, attraverso la costituzione dell’Unione per il Mediterraneo (v. Unione per il Mediterraneo). Numerosi i fattori, le preoccupazioni e le ambizioni nazionali che inducono il Presidente francese ad assumere tale iniziativa; tra tutti: il tentativo di ribilanciare le relazioni franco-tedesche, spostando l’asse politico dell’UE dal partenariato orientale (ambito in cui la Francia ha minor capacità di influenza rispetto alla Germania) alla regione mediterranea (considerata, invece, tradizionale area di competenza della politica estera francese); la necessità di contrastare le conseguenze negative per la sicurezza francese ed europea prodotte dalla progressiva marginalizzazione economica e dal deterioramento delle condizioni politiche e sociali della regione; l’esigenza di rinvigorire il Partenariato euromediterraneo, lanciato nel 1995 a Barcellona e in fase stagnante.

Il progetto di Unione per il Mediterraneo inizialmente elaborato dalla diplomazia francese, che prevedeva il coinvolgimento esclusivo dei paesi rivieraschi, subisce modifiche sostanziali durante i negoziati con i partner europei intercorsi tra la fine del 2007 e la prima metà del 2008: Spagna, Italia e, soprattutto, Germania chiedono e ottengono la piena partecipazione di tutti i paesi e le istituzioni europee (v. Istituzioni comunitarie), inducendo S. a rivedere il progetto per renderlo compatibile con il quadro generale della politica estera e di vicinato dell’UE.

L’Unione per il Mediterraneo viene ufficialmente inaugurata il 13 luglio 2008 con il Vertice di Parigi per il Mediterraneo, a cui partecipano i capi di Stato e di governo di 43 paesi (27 Stati membri dell’UE e 16 Stati del Mediterraneo orientale e meridionale). Rispetto al precedente Partenariato euromediterraneo, le novità introdotte sono numerose. Sul piano istituzionale, sono creati un segretariato permanente e un sistema di copresidenza Nord-Sud, per promuovere un approccio paritario tra le due sponde del Mediterraneo e la co-ownership del processo; sono inoltre istituzionalizzate le riunioni dei capi di Stato e di governo dei paesi membri. Sul piano politico viene adottato un approccio funzionalista (v. Funzionalismo), che privilegia la realizzazione di progetti di cooperazione transfrontaliera in ambiti prioritari quali infrastrutture, energia, ambiente, protezione civile, istruzione e formazione. Tuttavia, nonostante la realizzazione di alcuni progetti pilota, l’Unione per il Mediterraneo non è riuscita a raggiungere gli obiettivi prefissati: il dialogo su democrazia e diritti umani non è mai stato riattivato; il conflitto arabo-israeliano ha continuato a condizionare l’agenda dei lavori; l’avvento delle cosiddette primavere arabe nel 2011 ha infine alterato in maniera significativa il quadro politico regionale, marginalizzando ulteriormente l’azione dell’Unione e mettendo in evidenza l’inadeguatezza dell’approccio funzionalista adottato.

In materia di politiche di sicurezza e difesa, la visione strategica di S. si basa su un duplice pilastro: rafforzamento della difesa europea e ristrutturazione della cooperazione transatlantica in ambito NATO (v. Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico). Anche in tale ambito, tuttavia, il progetto è funzionale in primo luogo a soddisfare l’ambizione nazionale francese di tornare a essere un attore globale. Nell’ottica di S., infatti, il rafforzamento della difesa europea avrebbe dovuto rappresentare il fulcro attorno al quale costruire un’Europa politica e una efficace politica estera europea, al fine di trasformare l’UE in un pilastro autonomo dell’Alleanza atlantica, corrispondente a quello statunitense; di conseguenza, la Francia sarebbe rientrata nel comando integrato militare del Patto atlantico (da cui si era ritirata nel 1966, per decisione di Charles de Gaulle), acquisendo la leadership del pilastro europeo e guadagnando, in tal modo, lo stesso peso politico degli Stati Uniti nella comune guida del blocco occidentale.

Tra il 2007 e il 2008, S. evoca ripetutamente con i partner europei la necessità di costituire una Europa della difesa, arrivando al punto di delineare un progetto che coinvolgerebbe, inizialmente, sei Paesi (Francia, Regno Unito, Germania, Italia, Spagna e Polonia). Tale progetto, tuttavia, non ha alcun seguito. Nondimeno, la Francia decide comunque il rientro nel comando integrato militare del Patto atlantico, formalizzato il 4 aprile 2009 nel corso del Summit NATO a Strasburgo, completando il riavvicinamento diplomatico con gli USA dopo la frattura originata dall’intervento statunitense in Iraq nel 2003.

Il 1° luglio 2008, S. inaugura il semestre di presidenza francese del Consiglio dell’Unione europea, presentando un programma di lavoro (dal titolo “Un’Europa che agisce per rispondere alle sfide di oggi”) incentrato su quattro priorità: energia e clima; questioni migratorie; Politica agricola comune; sicurezza e difesa europea. S. tuttavia dovrà parzialmente accantonare tali priorità per far fronte a due eventi cruciali per l’UE: il conflitto armato tra Russia e Georgia (iniziato nella notte tra il 7 e l’8 agosto 2008) e l’aggravarsi della crisi finanziaria internazionale (ultimo trimestre del 2008).

Nell’ambito del conflitto russo-georgiano, in qualità di presidente di turno dell’UE, S. si assume quasi interamente la responsabilità di stabilire un dialogo con Mosca, anche a scapito del coinvolgimento delle Istituzioni comunitarie, riuscendo gradualmente a superare le iniziali divisioni tra partner europei sulla linea politica da adottare nei confronti della Russia e a ottenere il sostegno negoziale da parte dell’amministrazione USA. L’opera di mediazione da parte di S. induce Georgia e Federazione Russa ad accettare un piano in sei punti per il “cessate il fuoco” (12 agosto) e, successivamente, a sottoscrivere un più ampio accordo di stabilizzazione (8 settembre) che stabilisce modalità e tempi del ritiro delle rispettive forze e del dispiegamento di osservatori internazionali. Tale successo negoziale rivela, d’altro canto, la tacita accettazione di un fait accompli, ovvero il riconoscimento da parte di Mosca dell’indipendenza delle regioni separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud e la creazione, in ciascuna delle due regioni, di basi militari russe con la presenza di oltre settemila uomini.

Di fronte alla crisi finanziaria internazionale, la presidenza francese si pone un duplice obiettivo: da un lato, la promozione di un coordinamento europeo e transatlantico, attraverso la convocazione di una serie di Vertici intergovernativi, al fine di superare iniziali esitazioni e divergenze sul tipo di risposta da dare alla crisi; dall’altro, l’aspirazione a riformare le istituzioni del sistema finanziario internazionale, su tutte il Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, le quali, secondo S., si dimostrano non più adatte a gestire l’economia globale nel XXI secolo.

A tal fine, e a discapito delle tradizionali procedure comunitarie, S. decide di individuare sul piano europeo un nucleo decisionale ristretto, rapidamente allargato all’Eurozona. Nel mese di ottobre 2008, infatti, S. convoca un Vertice dei quattro membri europei del G8 (Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia), le cui decisioni a tutela del sistema finanziario europeo sono successivamente discusse da una riunione plenaria dei paesi dell’Euro e, quindi, dell’Unione nel suo insieme. Tuttavia, l’iniziale proposta francese, che prevedeva l’istituzione di un fondo comune europeo incaricato di soccorrere gli istituti bancari in crisi e di acquisire quote d’azioni di società europee strategiche in difficoltà, non viene approvata, soprattutto per le resistenze dei governi tedesco e britannico. Accantonata la prospettiva di un piano comune europeo, il salvataggio del sistema finanziario e il rilancio dell’economia è infine affidato, sempre su proposta francese, all’adozione di piani nazionali, di cui ogni paese si sarebbe assunto la responsabilità, da realizzare, tuttavia, in maniera coordinata e in conformità con le normative europee in vigore, soprattutto in materia di mercato interno e di politica di concorrenza. Si tratta, dunque, di una soluzione compromissoria che, pur rispettando l’autonomia attuativa delle singole politiche nazionali, si pone l’obiettivo di preservare, se non altro, il principio di un loro coordinamento europeo.

Contemporaneamente, S. sollecita il presidente USA George W. Bush a convocare una riunione del G20, al fine di discutere i temi della crisi finanziaria su scala globale e avviare il dibattito sulla riforma delle istituzioni finanziarie internazionali (pur non presentando alcun piano dettagliato al riguardo). Il vertice ha luogo a Washington il 15 novembre 2008, ma le conclusioni sono generiche e di portata limitata, a causa della mancanza di consenso tra la posizione statunitense e britannica, diffidente verso un’ulteriore regolamentazione dei mercati internazionali, e quella dei rimanenti paesi europei, tendenzialmente favorevoli all’introduzione di maggiori controlli da parte delle autorità finanziarie internazionali. S. ottiene tuttavia l’impegno a trattare il tema della riforma anche nelle successive riunioni del G20, ma il dibattito non produrrà alcun esito concreto.

La scadenza del semestre di presidenza europeo (31 dicembre 2008) non segna la fine del protagonismo internazionale di S., che tuttavia inizia a manifestarsi attraverso iniziative indipendenti e parallele (se non addirittura concorrenti) rispetto a quelle adottate dall’UE.  Una prima manifestazione di tale propensione si ha già nel gennaio 2009, in occasione dell’intervento armato di Israele nella Striscia di Gaza, quando si assiste al contemporaneo avvio di due iniziative diplomatiche parallele: una condotta dalla troika dell’UE (composta dai ministri degli Esteri di Repubblica Ceca, Svezia e Francia) e una svolta in maniera autonoma da S. in Egitto, Israele, Palestina, Giordania e Siria (5-7 gennaio 2009).

Un secondo caso è rappresentato dall’intervento nella prima fase della crisi libica (febbraio-ottobre 2011). A seguito di una sostanziale inerzia da parte dell’UE di fronte allo scoppio delle proteste in Libia orientale (metà febbraio 2011), i governi francese e britannico assumono dapprima il ruolo di leader diplomatici in seno al Consiglio di sicurezza, facilitando l’adozione delle risoluzioni 1970 e 1973 (rispettivamente del 26 febbraio e 17 marzo 2011), e si pongono quindi alla guida delle successive operazioni militari (a partire dal 19 marzo). Varie implicazioni di carattere interno e internazionale inducono S. a considerare tale intervento, tra cui: la percezione di una minaccia alla sicurezza nazionale derivante dall’instabilità libica e dai massicci flussi di rifugiati in fuga dalla violenza; la difesa del prestigio della politica estera francese nel Mediterraneo; la convinzione che l’intervento militare avrebbe avuto successo a costi relativamente bassi e che senza tale intervento la crisi non sarebbe stata risolta; la convinzione che la norma emergente della “responsabilità di proteggere” sia applicabile al caso libico; la capacità di minimizzare i rischi politici interni grazie al sostegno pubblico e di alcuni partiti di opposizione. Ma, come già in passato, il protagonismo di S. ha contribuito ad alimentare alcune tensioni con i partner europei, in particolar modo con l’Italia (inizialmente contraria all’intervento e successivamente partner riluttante) e la Germania (che si è significativamente astenuta nel voto sulla Risoluzione 1973).

S. conclude il suo quinquennio presidenziale nel 2012. In politica estera, la presidenza S. si è contraddistinta per un intenso attivismo, finalizzato a rilanciare il primato francese in Europa, attraverso un riequilibrio del cosiddetto asse franco-tedesco, e a rafforzare il ruolo della Francia quale attore imprescindibile nelle principali crisi internazionali. Tra i principali successi, possono essere annoverati il riavvicinamento agli USA e all’Alleanza atlantica, dopo cinque anni dall’accesa opposizione francese all’intervento americano in Iraq; la mediazione, in qualità di presidente di turno dell’UE, nel conflitto tra Georgia e Russia; il ruolo centrale svolto nel coordinamento delle prime risposte europee e (in parte) globali alla crisi finanziaria internazionale. A fronte di tali successi, è opportuno riconoscere, tuttavia, che la manifesta volontà di riaffermare il primato francese, associata a una scarsa propensione di fondo verso forme preventive di consultazione e coordinamento con i propri partner, ha spesso ingenerato diffidenze e aperte resistenze negli alleati europei, causando di fatto il naufragio di alcune delle proposte più ambiziose avanzate da S., tra cui il progetto di Unione per il Mediterraneo, l’istituzione di un fondo comune europeo per contrastare la crisi finanziaria, la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali. Inoltre, sul piano europeo S. è stato tra i principali fautori del metodo intergovernativo, che ha comportato una sostanziale emarginazione delle istituzioni comunitarie, e in particolare della Commissione, dai processi decisionali.

Nell’aprile 2012, in qualità di presidente uscente, S. si ricandida alle elezioni presidenziali, ma è sconfitto al secondo turno dal candidato del Partito socialista, François Hollande, che ottiene il 51,64% dei voti. Dopo un breve allontanamento, S. torna alla politica attiva nel 2014. Nell’agosto 2016 ufficializza la propria candidatura alle primarie presidenziali dei repubblicani, che si svolgono nel novembre 2016: S. ottiene il 20,7% dei voti ed è preceduto da Alain Juppé (28,6%) e François Fillon (44,1%). A seguito di tale sconfitta, S. annuncia il ritiro dalla vita politica francese.

Andrea Cofelice (2017)

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