Colombo, Emilio

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C. (Potenza 1920) dopo la laurea in giurisprudenza iniziò l’attività politica nell’ambito dell’Azione cattolica, ove giunse a ricoprire l’incarico di vicepresidente nazionale della Gioventù italiana. Il forte radicamento nell’associazionismo cattolico consentì a C. di affermarsi gradualmente come uno degli esponenti più in vista del potere democristiano, con una forte base di consensi nel Mezzogiorno e segnatamente nella sua regione di origine. A 26 anni fu eletto alla Costituente nella circoscrizione di Potenza-Matera per la Democrazia cristiana (DC) ed assunse l’incarico di segretario della Commissione agricoltura. Nell’aprile 1948 venne eletto deputato al Parlamento nella circoscrizione di Potenza. In seguito fu confermato alla Camera, sempre nella stessa circoscrizione, in tutte le elezioni successive fino a quelle del 1987.

Le esperienze di governo di C. cominciarono come sottosegretario all’Agricoltura nel V e VI ministero di Alcide De Gasperi, tra il 1948 e il 1951. In questa veste C. fu il più stretto collaboratore del ministro Antonio Segni nella formulazione della riforma agraria del 1950 e prese parte alla nascita del programma decennale di sviluppo per il Mezzogiorno. In questi frangenti si mise in luce come interlocutore dell’amministrazione statunitense per la gestione degli aiuti del Piano Marshall in funzione dello sviluppo e della stabilizzazione politica del Meridione. Tra l’agosto 1953 e il luglio 1955, C. tornò a ricoprire la carica di sottosegretario, stavolta ai Lavori pubblici. Per quanto riguarda la vita di partito, a partire dal Congresso di Roma del 1952, C. si avvicinò alle posizioni raccolte intorno alla neonata corrente Iniziativa democratica, espressione di personalità come Amintore Fanfani, Paolo Emilio Taviani, Mariano Rumor, Aldo Moro, Luigi Gui e altri. Al V congresso della DC, celebrato a Napoli nel 1954, C. fu eletto, terzo per numero di voti dopo De Gasperi e Scelba (v. Scelba, Mario), membro del consiglio nazionale.

Nel luglio 1955, C. fu nominato per la prima volta ministro, al dicastero dell’Agricoltura e Foreste, nel I ministero Segni, mantenendo l’incarico nel successivo ministero Zoli. In questa veste C. entrò in contatto per la prima volta in modo concreto con le tematiche dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), partecipando alle, rare, riunioni interministeriali ristrette dedicate ai negoziati in corso per la costituzione della Comunità economica europea (CEE). Nel luglio 1958, col varo del II governo Fanfani, C. divenne ministro del Commercio con l’estero. In questo ruolo subentrò a Guido Carli, che, nel corso delle trattative che si andavano svolgendo nell’ambito della Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE), si era dimostrato a favore della creazione di una Zona di libero scambio, come propugnato dal Regno Unito, onde evitare che il costituendo mercato comune potesse tradursi in un’area commerciale “autarchica”, chiusa all’esterno. L’avvicendamento con C., che si attestò sulla tradizionale posizione italiana favorevole all’integrazione nell’ambito della “piccola Europa” dei Sei, assumeva un significato di rilievo: chiaro segnale in direzione di una politica che privilegiasse la messa in opera dei Trattati di Roma e la creazione di un grande mercato continentale.

Alla fine degli anni Cinquanta, con altri esponenti di primo piano della DC come Segni, Rumor, Taviani, C. si distaccò dalla corrente Iniziativa democratica, in polemica con le aperture verso il PSI (Partito socialista italiano) operate da Fanfani, e partecipò alla creazione della nuova corrente dei “dorotei”.

A partire dalla formazione del II governo Segni, nel febbraio 1959, C. ricoprì fino al maggio 1963 l’incarico di ministro dell’Industria e commercio. Successivamente, a partire dal I ministero Leone (1963), assunse l’incarico di ministro del Tesoro che mantenne in vari governi successivi, in pratica restando alla guida del dicastero ininterrottamente fino alla fine del decennio. In questa veste C. si trovò a dover affrontare i primi segni di “surriscaldamento” dell’economia susseguenti al boom economico, evidenziati dall’impennata inflazionistica interna e dalle difficoltà della lira sui mercati internazionali. In questi frangenti, il ministro del Tesoro fu il fautore di una politica di rigore monetario e contenimento della spesa pubblica, in accordo col governatore della Banca d’Italia Guido Carli. A questa linea si contrappose quella seguita dal ministro del Bilancio, il socialista Antonio Giolitti, che si rifaceva al keynesismo e ai principi della programmazione. Dallo scontro uscì vincitrice la linea Carli-C., imponendo così un ridimensionamento degli intenti riformatori del centrosinistra. Secondo il giornalista Giuseppe Tamburrano, che cita un’inchiesta del settimanale “Il Punto”, in vista dello scontro sui metodi per risolvere la crisi inflazionista del 1963, C. avrebbe fatto in via riservata appello agli organi della CEE perché raccomandassero al governo italiano di applicare più risolute misure anticongiunturali, in una sorta di applicazione ante litteram della pratica del “vincolo esterno”. In effetti, il 14 aprile 1964 la Commissione europea invitò Roma a inasprire la politica monetaria. Poco dopo, il 20 maggio, il presidente della Commissione, Walter Hallstein, scriveva al Presidente del Consiglio Moro, specificando le misure restrittive che l’Italia avrebbe dovuto adottare. Il 18-19 giugno il vicepresidente della Commissione Robert Marjolin si recò a Roma per una serie di incontri con le autorità italiane, mentre sul piano interno divenne di pubblico dominio una lettera riservata di C. a Moro nella quale il ministro del Tesoro chiedeva di accantonare la politica di riforme e procedere con severità alla stabilizzazione finanziaria.

In ambito comunitario, in questo periodo C. fu il principale rappresentante dell’Italia. In particolare svolse un ruolo di rilievo nel corso dei negoziati sull’adesione britannica alla CEE, tra l’autunno 1961 e la fine del 1962, durante i quali l’Italia cercò di mediare tra le posizioni britanniche e quelle della Francia gollista. Dal punto di vista italiano l’ingresso del Regno Unito nella CEE era auspicabile per evitare la creazione di un asse franco-tedesco e contrastare i disegni gollisti di egemonia all’interno della “piccola Europa”. D’altra parte, la tutela del nascente MEC, con tutti i vantaggi che esso comportava per le esportazioni industriali della penisola, rappresentava una priorità inderogabile. Stretto tra queste due esigenze, C., in collaborazione con Fanfani, Presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, riuscì in effetti a giocare un ruolo di mediazione, apprezzato dalle diverse parti in causa, soprattutto dai britannici che sembrarono vedere in C. un interlocutore valido per istituire un dialogo fruttuoso. Ma, come ha messo in evidenza la storiografia più recente, l’azione italiana era minata alle fondamenta dalla sottovalutazione dell’importanza per il Regno Unito degli aspetti economici dell’adesione e dal persistere di una valutazione sfavorevole riguardo alla coerenza e all’efficacia della politica estera della penisola, fattori che portarono al fallimento finale dell’opera di mediazione dell’Italia. Ciò nonostante, il prestigio personale di C. uscì senz’altro rafforzato dalla vicenda.

Tra il dicembre 1961 e il gennaio 1962 C., in collaborazione col ministro dell’Agricoltura Rumor, partecipò all’elaborazione della Politica agricola comune (PAC). I difficili negoziati portarono ad un risultato poco soddisfacente per l’agricoltura italiana, i cui interessi vennero sacrificati in nome dell’esigenza di raggiungere un accordo con la Francia che evitasse un prematuro collasso della costruzione comunitaria, ritenuta indispensabile al proseguimento e consolidamento del boom economico. Consci di questo vizio di origine, negli anni seguenti i responsabili politici italiani, in particolare C. col nuovo ministro dell’agricoltura Mario Ferrari Aggradi, concentreranno i loro sforzi sul tentativo di ottenere delle compensazioni e una riduzione del contributo italiano al Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEOGA). L’azione italiana ottenne un parziale successo nella “maratona” agricola di fine 1964, ma il persistere del contrasto con la Francia relativamente alle spese agricole fu, insieme all’analogo atteggiamento di tedeschi e olandesi, tra i fattori scatenanti della cosiddetta “crisi della sedia vuota”, scoppiata nel luglio 1965, proprio all’inizio del semestre italiano di presidenza (v. anche Presidenza dell’Unione europea). Su C. ricadde ancora una volta l’onere di rappresentare l’Italia in questo frangente, mentre il ministro degli Esteri Fanfani e il Presidente del Consiglio Moro erano impegnati in un contrasto su temi di politica extraeuropea che portò in dicembre alle dimissioni di Fanfani. Il ministro del Tesoro dette ancora una volta prova delle sue qualità di mediatore, operando per ricucire lo strappo e nel dicembre 1965 un incontro C.-Couve de Murville (v. Couve de Murville, Maurice) pose le basi per le riunioni dei ministri degli Esteri dei Sei che il mese seguente avrebbero dato vita al Compromesso di Lussemburgo.

Inoltre, occorre ricordare che alla fine del 1962, quale Presidente del Consiglio dei ministri della CEE, C. condusse il negoziato per l’Associazione alla Comunità dei paesi africani che portò alla firma, il 20 luglio 1963, delle Convenzioni di Yaoundé.

Il 25 luglio 1970 C., che dopo la divisione del gruppo dei dorotei si era avvicinato a Giulio Andreotti, ricevette l’incarico di formare il governo. Nacque così, il 6 agosto, un governo quadripartito di centrosinistra destinato a durare, tra crescenti difficoltà dovute all’aggravarsi della situazione economica e sociale interna, per un anno e mezzo. Sul piano dell’integrazione europea, il governo C. si caratterizzò soprattutto per il tentativo di rilanciare, attraverso la presentazione nel giugno 1971 di un memorandum intitolato La politica dell’impiego nella Comunità, il tema della politica sociale comunitaria, nel tentativo di trovare una “soluzione europea” al problema della disoccupazione che gravava in particolare sul Mezzogiorno del paese. Le proposte di Roma furono oggetto di discussione a Bruxelles e, se esse vennero esaminate con interesse da parte della Commissione, non sollevarono gli entusiasmi della maggioranza dei partner dell’Italia, i quali, in quel periodo, nel campo della manodopera, soffrivano di problemi del tutto opposti a quelli italiani. È inoltre probabile che il carattere discontinuo della politica estera italiana, che nei periodi di maggiore instabilità del quadro politico interno non è mai riuscita a dare un seguito concreto alle iniziative prese, abbia finito per segnare la sorte della proposta italiana.

Riapertisi i negoziati per l’adesione britannica alla CEE, il governo italiano ribadì la sua posizione favorevole all’ingresso britannico attraverso dichiarazioni dello stesso C. che nel gennaio 1972 firmò, insieme al ministro degli Esteri Moro, il Trattato di adesione.

Dopo le dimissioni del febbraio 1972, C. fu ministro delle Finanze o del Tesoro in vari governi che si succedettero fino alle elezioni politiche del 1976. In questa occasione, che vide in difficoltà molti dei capi storici della DC, C. perse circa 30.000 preferenze rispetto alle precedenti elezioni. C. non entrò quindi nel governo della “non fiducia” formato da Andreotti. L’8 marzo 1977 fu eletto presidente del Parlamento europeo nel momento in cui l’Assemblea si avviava verso le prime Elezioni dirette del Parlamento europeo, a seguito della quale egli stesso venne chiamato di nuovo a farne parte nel marzo 1979. In seguito rivestì la carica di presidente della Commissione politica del Parlamento europeo. Nella disputa sull’ingresso nel Sistema monetario europeo (SME), C. intervenne nell’estate del 1978 per sostenere la causa dell’adesione immediata dell’Italia. A riconoscimento del suo impegno in ambito europeo, il 24 maggio 1979 ricevette ad Aquisgrana, terzo italiano dopo Alcide De Gasperi e Antonio Segni, il premio “Carlo Magno”.

Il 14 aprile 1980 C. si dimise da parlamentare europeo per assumere l’incarico di ministro degli Affari esteri nel II governo Cossiga, confermato successivamente nel governo Forlani (v. Forlani, Arnaldo), in quelli di Giovanni Spadolini e nel V Fanfani, rimanendo così in carica fino all’agosto 1983. In questa veste C. si trovò coinvolto nella nuova fase del rapporto Est-Ovest e nelle iniziative che caratterizzarono i nuovi scenari internazionali, concorrendo alla ripresa dei colloqui in ambito Commissione sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) a Madrid. In questo periodo si registrò una ripresa dell’attenzione italiana verso l’area mediorientale di cui la dichiarazione di Venezia sulla politica europea per il Medio Oriente, adottata dal Consiglio europeo del 13 giugno 1980 sotto la presidenza italiana, fu una delle maggiori dimostrazioni. Sul piano comunitario l’azione del nuovo ministro degli Esteri si mosse lungo due direttrici. Da un lato, appena entrato in carica, C. si trovò ad affrontare il problema del contributo inglese al bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea), posto con forza dal governo guidato da Margareth Thatcher. Nel corso del Consiglio dei ministri del 29-30 maggio, condotto sotto la presidenza italiana, dopo una maratona negoziale di 20 ore, si arrivò ad una formula di compromesso che risolveva, almeno pro tempore, il problema del contributo britannico e, al contempo, attraverso il cosiddetto “mandato del 30 maggio”, attribuiva alla Commissione l’incarico di riesaminare il problema del bilancio da un punto di vista “globale” e di formulare possibili soluzioni entro un anno, ponendo le basi per un riesame generale delle politiche comunitarie, in particolare della PAC. D’altro canto, avviata a soluzione la questione di bilancio, l’opera del ministro degli Esteri si indirizzò al tentativo di riconquistare un ruolo di rilievo per l’Italia sulla scena europea, dopo la parziale eclissi dovuta alla crisi degli anni Settanta. In questa prospettiva l’azione italiana si concentrò sul ristabilimento di un’intesa forte con Francia e Germania. Mentre per quanto riguarda la prima i contatti bilaterali non diedero luogo a sviluppi significativi, con la seconda si registrò un’intesa sui temi dell’integrazione europea che portò alla redazione dell’Atto Colombo-Genscher (v. Piano Genscher-Colombo), presentato al Consiglio europeo del 26 e 27 novembre 1981. In estrema sintesi, l’Atto, figlio di un’iniziativa del ministro degli Esteri tedesco cui si era affiancata l’Italia, prevedeva un rafforzamento della cooperazione politica europea, in vista della messa in opera di una vera e propria politica comune, e l’estensione della competenza comunitaria in campo culturale e giuridico. Il documento non ebbe vita facile, criticato da un lato per la sua genericità e dall’altro visto con sospetto dai governi meno disponibili verso un’espansione degli ambiti sovranazionali. Dopo un lungo negoziato, la proposta italo-tedesca venne tradotta nella Dichiarazione solenne sull’Unione europea adottata nel corso del Consiglio europeo di Stoccarda (v. Dichiarazione di Stoccarda), del 19 giugno 1983, un atto non vincolante di indirizzo politico che ridimensionava di molto le ambizioni originarie dell’Atto. La Dichiarazione di Stoccarda ebbe comunque il non trascurabile merito di inserire all’ordine del giorno del dibattito politico europeo il tema dell’adeguamento “costituzionale” della Comunità, mentre al contempo indicava il «completamento del mercato interno» come l’area più praticabile dell’azione comunitaria nell’immediato futuro.

Successivamente C. fu, tra il 1987 e il 1988, ministro del Bilancio e della Programmazione economica nel governo Goria e ministro delle Finanze nel governo De Mita. Nel 1985 fu eletto presidente dell’Unione europea democratico-cristiana. Nel 1989 venne rieletto al Parlamento europeo e nominato relatore del progetto di costituzione europea in prosecuzione dell’iniziativa Spinelli (v. Spinelli, Altiero). Fu, inoltre, presidente della Commissione costituita dal Parlamento europeo per l’esame delle cosiddette “proposte dette Delors 2” (v. Delors, Jacques; Rapporto Delors) per l’attuazione degli obiettivi indicati nel Trattato di Maastricht. La risoluzione sulle basi costituzionali dell’UE presentata da C., che fondava l’unione politica sui principi della democrazia, del federalismo e sul Principio di sussidiarietà, fu approvata dal Parlamento europeo il 12 dicembre 1990.

Il 1° agosto 1992 C. fu di nuovo chiamato a ricoprire l’incarico di ministro degli Esteri nel governo di Giuliano Amato, in sostituzione del dimissionario Vincenzo Scotti, fino all’aprile 1993. In questa veste, C. sottolineò l’importanza di accompagnare la ratifica del Trattato di Maastricht con provvedimenti, soprattutto in materia di risanamento economico, volti a renderla più credibile e non l’espressione di un europeismo di maniera.

Il 2 marzo 1993 divenne presidente dell’Internazionale democratico-cristiana, incarico dal quale si dimise nel giugno 1995. Dopo la scomparsa della DC, aderì al Partito popolare italiano. Il 14 gennaio 2003 venne nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Francesco Petrini (2009)

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