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Daum, Léon

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D. (Nancy 1887-Parigi 1966) si diploma brillantemente all’École nel 1907. Intraprende quindi una prodigiosa che lo porta a Douai, la metropoli delle miniere di carbone del Nord, poi a Rabat nel 1913. Stringe rapporti con il maresciallo Lyautey, anche lui originario di Nancy, Residente generale in Marocco. Mobilitato nel 1914, D. combatte nell’arma d’artiglieria, ed è chiamato a Rabat da Lyautey per dirigere il servizio delle miniere attorno al quale ruotano importanti interessi geopolitici. Alla fine del conflitto D. partecipa all’amministrazione della Sarre.

Nel 1921 fa il suo ingresso nella Compagnie des aciéries de la marine et d’homécourt. Il direttore generale dell’impresa è Théodore Laurent, personaggio chiave del Comité des forges. Nel 1923 D. è richiamato al servizio della Francia dal presidente Poincaré. Nel contesto burrascoso delle riparazioni partecipa alla Missione interalleata di controllo delle fabbriche e miniere della Ruhr (MICUM). Dopo l’esperienza della Sarre, si confronta di nuovo con la grande industria tedesca.

Dalla fine degli anni Venti alla fine degli anni Trenta, D. impara il mestiere di futuro presidente di uno dei gruppi siderurgici francesi più potenti, assistendo alla ricostruzione della fabbrica d’Homécourt e agli scontri sociali del 1936. Seguono la sconfitta francese, la creazione del regime di Vichy e la collaborazione. D. viene proposto per il nuovo ministero dell’Industria, ma viene invece nominato al Comité d’organisation de la sidérurgie (CORSID). Per tutto il corso della guerra D. accumula funzioni nell’effimera macchina amministrativa che è stata messa in piedi.

D. partecipa all’amministrazione di guerra in modo funzionale: non è un collaboratore ideologico, né un resistente. Alla Liberazione manifesta il suo desiderio di contribuire al rinnovamento del patronato ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa. È uno dei fondatori della Association des cadres dirigeant de l’industrie pour le progrès social et économique (ACADI). Ma questa iniziativa avrà una scarsa risonanza.

D. torna alle sue fabbriche nel momento in cui si prendono le grandi decisioni per la modernizzazione dell’economia francese grazie al piano di modernizzazione e di infrastrutture della Francia (Piano Monnet).

Per D. la svolta viene dall’Europa. Dopo la Dichiarazione Schuman (v. Piano Schuman), le discussioni fra i siderurgici e il governo francese sono piuttosto rudi. Ma quando giunge il momento di mettere in atto il Trattato di Parigi (1951), Jean Monnet ha l’intelligenza di proporre alla corporazione delle ferriere di essere rappresentata nella futura Alta autorità della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Dopo qualche tergiversazione viene designato D.: per lui è senz’altro meglio il Lussemburgo piuttosto che l’attesa interminabile della presidenza del gruppo Marine. Inoltre è competente in merito ai complessi e promettenti interessi in gioco relativi alle relazioni siderurgiche franco-tedesche all’interno della prima comunità.

D. è membro dell’Alta autorità dal 1952 al 1959. Presiede il gruppo di lavoro Investimento-finanziamento-produzione, con una funzione tecnica ma fondamentale per lo sviluppo della Comunità. Non è possibile valutare il bilancio della sua azione personale, che si inscrive in quello, molto positivo soprattutto in ambito finanziario, della prima comunità. D. partecipa con entusiasmo ai suoi esordi e abbandona l’incarico nel momento in cui l’Alta autorità si vede rifiutare dal Consiglio dei ministri e dagli Stati la possibilità di applicare «lo stato di crisi manifesta» (articolo 58 del trattato di Parigi), per contrastare il declino delle miniere di carbone europee. D. ha comunque tutte le ragioni per conservare un buon ricordo della sua esperienza lussemburghese.

Le fonti, in particolare i commenti abbastanza aspri del patronato della siderurgia francese, dimostrano che D. si è gradualmente fatto coinvolgere dalla sua missione di artefice dell’Europa. Avrebbe potuto essere il primo mandatario della lobby dell’acciaio, mentre invece è stato il fideis commis di Jean Monnet.

Quando lascia il suo incarico nel 1959, D. si ritira senza riallacciare i rapporti con il mondo degli affari, contrariamente a tanti altri. Presiede un circolo franco-tedesco e assume una serie di funzioni onorifiche. Nel 1962, quattro anni prima della morte, scrive a Monnet a proposito dell’Alta autorità: «Là, sotto la sua presidenza, ho fatto il mio debutto in un mondo di persone e di idee nuovo per me – e mi sono reso conto dell’immensità dell’opera che stava sorgendo e prendendo forma. I dieci anni trascorsi hanno dimostrato la fecondità di questo programma, la solidità dell’apparato che lei ha creato con imperturbabile fermezza. Se la CECA e la sua Alta autorità oggi appaiono sonnolente e un po’ invecchiate, la Comunità economica europea, che è la loro figlia o almeno la loro sorella minore, mostra una magnifica vitalità e procede con passo sicuro in mezzo alle difficoltà» (lettera di D. a Jean Monnet, 12 agosto 1962).

Philippe Mioche (2012)

Bibliografia         

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Schwab K. (a cura di), The beginnings of the Schuman-Plan, Nomos Verlag-LGDJ, Baden Baden-Paris 1988.

Mioche Ph., Les cinquante années de l’Europe du charbon et de l’acier, 1952-2002, Commission européenne, Office des publications, Luxembourg 2004.

Mioche Ph., Roux J., Henri Malcor, un héritier des maîtres de forges, Editions du CNRS, Lyon 1988.

Spirenburg D., Poidevin R., Histoire de la Haute Autorité de la Communauté Européenne du Charbon et de l'Acier. Une expérience supranationale, Bruylant, Bruxelles 1993.