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Deficit democratico

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L’espressione “deficit democratico” viene frequentemente utilizzata, fin dagli anni Settanta, in relazione al funzionamento reale dei processi politici e decisionali (v. Processo decisionale) in seno all’Unione europea e precedentemente delle Comunità europee (v. Comunità europea del carbone e dell’acciaio; Comunità economica europea; Comunità europea dell’energia atomica). Con essa si vuole evidenziare l’insufficiente legittimazione democratica nella struttura organizzativa comunitaria, che si riflette conseguentemente sugli atti e le politiche da essa promossi (v. anche Diritto comunitario). L’esistenza di tale deficit democratico viene riconosciuta anche in documenti prodotti dalle stesse Istituzioni comunitarie, specie per giustificare alcune riforme, e in varie pronunce di Corti costituzionali nazionali (v. Corti costituzionali e giurisprudenza), tra cui la più rilevante appare quella del Bundesverfassungsgericht tedesco del 12 ottobre 1993, relativa alla legge tedesca di ratifica del Trattato di Maastricht.

All’origine, l’espressione era riferita essenzialmente agli scarsi poteri attribuiti all’istituzione parlamentare in seno alla struttura istituzionale comunitaria, che pur evolvendosi nel tempo da mero organo rappresentativo dei parlamenti nazionali (Assemblea) a vero e proprio Parlamento europeo eletto direttamente a suffragio universale dai cittadini (dal 1979 in poi) (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo), concretamente non è mai riuscita ad assicurare il rispetto del principio della democrazia parlamentare a un livello comparabile con quello garantito nei singoli Stati membri.

In tale quadro la principale responsabilità del deficit democratico viene comunemente attribuita al ruolo preponderante assegnato dai Trattati al Consiglio (v. Consiglio dei ministri; Consiglio europeo) nel campo delle scelte politiche, ma ancor più in quello dell’adozione degli atti normativi europei. Essendo rappresentato nel Consiglio il potere esecutivo di ciascuno Stato membro piuttosto che quello legislativo, accade che collegialmente a livello europeo tali soggetti si ritrovino a esercitare poteri e ad adottare norme efficaci sull’insieme del corpo sociale europeo che sarebbero prerogativa degli organi parlamentari nei rispettivi ambiti nazionali.

In tutte le occasioni di Revisione dei Trattati la questione della legittimità democratica, nell’ambito della funzione legislativa comunitaria, si è imposta con forza crescente, e per porre rimedio a tale situazione è stata percorsa principalmente la strada del coinvolgimento sempre maggiore dell’organo direttamente rappresentativo dei cittadini, il Parlamento europeo, prevedendo percorsi decisionali in cui esso risulta detenere poteri paritari a quelli del Consiglio (Procedura di codecisione), in un numero sempre crescente di materie e ambiti di competenza (v. Competenze). Da più parti si ritiene, inoltre, che un coinvolgimento sempre più stretto dei parlamenti nazionali nel processo decisionale europeo, possa concorrere al miglioramento dei fondamenti di legittimazione degli atti comunitari.

Nell’ambito più generale del funzionamento delle istituzioni comunitarie, però, la persistenza di un deficit democratico è stata di volta in volta rilevata anche in situazioni che non sempre sono direttamente ed esclusivamente ricollegabili a un insufficiente rispetto del principio della separazione dei poteri. Rilevanza particolare assume a questo riguardo l’insieme di disposizioni o dati di fatto che rendono meno trasparente e poco efficace il rapporto tra coloro che prendono le decisioni a livello europeo e coloro che scelgono o dovrebbero scegliere i decisori (rappresentatività dei responsabili politici europei). Vengono solitamente comprese tra queste fattispecie sia la procedura di scelta dei membri della Commissione europea – in cui solo recentemente si è cominciato a riconoscere un certo peso anche al parere del Parlamento europeo –, sia la sostanziale scarsa responsabilità politica dei singoli membri del Consiglio, che il più delle volte non agiscono a livello europeo sulla base di mandati richiesti espressamente, su tali questioni, durante le campagne elettorali nazionali, e spesso nemmeno sulla base di precise direttive impartite dai rispettivi parlamenti.

Nel dibattito relativo al deficit democratico attribuito all’Unione europea si fa riferimento altresì al monopolio dell’iniziativa legislativa affidata alla Commissione europea (facoltà riconosciuta solitamente anche ai deputati nelle varie costituzioni nazionali) e all’ampio ricorso al Voto all’unanimità nelle deliberazioni del Consiglio., indubbiamente lesivo del principio in base al quale la volontà della maggioranza dei cittadini europei costituisce il fondamento ultimo della costruzione comunitaria.

Va sottolineato come il problema dell’attuale deficit democratico dell’Unione venga sollevato periodicamente sia da coloro che sostengono la necessità di progredire ulteriormente nel processo di integrazione europea, attuando incisive riforme che tendano a un modello di organizzazione di tipo federale (v. anche Federalismo) in grado di compensare le attuali imperfezioni negli equilibri istituzionali e nell’efficacia delle diverse politiche, sia da coloro che si oppongono al trasferimento di competenze e, quindi, della sovranità a livello europeo, ritenendolo intrinsecamente inadeguato a garantire il controllo da parte del cittadino. Ciò dimostra che qualsiasi soluzione proposta per diminuire il deficit democratico non possa essere separata dalle diverse interpretazioni avanzate sia sul concetto più generale di democrazia, sia sulla natura stessa dell’Unione europea, in cui convivono elementi intergovernativi e sopranazionali.

Con il testo del Trattato che adotta una Costituzione europea, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, al titolo VI (artt. da I-45 a I-52) denominato “La vita democratica dell’Unione”, si tenta di dare una definizione più precisa della democrazia perseguita a livello europeo. Tra gli elementi più rilevanti introdotti vi è quello dell’espresso riconoscimento del principio della democrazia partecipativa accanto a quello della democrazia rappresentativa.

Più recentemente il problema del deficit democratico viene sollevato anche in relazione alle difficoltà dei cittadini di venire correttamente informati sulle vicende politiche europee e sul funzionamento delle sue istituzioni, nonché alla difficoltà di formazione di una vera e propria opinione pubblica europea (v. anche Opinione pubblica ed Europa)

Stefano Milia (2007)