Fini, Gianfranco

image_pdfimage_print

F. (Bologna 1952) è un uomo politico italiano. Laureato in psicologia e giornalista professionista, assume nel dicembre 1987 la segreteria nazionale del Movimento sociale italiano-Destra nazionale (MSI-DN). Nel 1995 assume la carica di presidente di Alleanza nazionale. Parlamentare dal 26 giugno 1983, è stato dal 2001 al 2006 vicepresidente del Consiglio dei Ministri nel II e nel III Governo di Sivio Berlusconi. Dal 30 aprile 2008 è presidente della Camera dei Deputati.

Con riferimento ai temi dell’integrazione europea nel gennaio del 2002 è stato nominato rappresentante dell’Italia alla Convenzione europea per la redazione del progetto di Trattato costituzionale (v. Costituzione europea). Dal novembre del 2004 al maggio del 2006 ha ricoperto l’incarico di ministro degli Affari Esteri.

La visione di F. sui temi dell’integrazione europea ha trovato espressione innanzitutto nei documenti che, su proposta della Presidenza, l’Assemblea dei delegati di Alleanza nazionale ha approvato nelle due occasioni congressuali sin qui tenute: Fiuggi, gennaio 1995 e Bologna aprile 2002 (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

Nel primo caso le tesi politiche presentate da F. dal titolo “Pensiamo l’Italia il domani c’è già, Valori, idee e progetti per l’Alleanza Nazionale” tratteggiavano un «Allargamento dell’Unione europea dall’Atlantico agli Urali, a condizione che tutti gli Stati membri rispettino i principi democratici» in cui l’Italia deve perseguire «il disegno di una costruzione europea non ridotta alla sola dimensione economico-monetaria, ma saldamente ancorata ai grandi ideali dei Padri fondatori come Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Jean Monnet, Robert Schuman, nello spirito del precursore Richard Coudenhove-Kalergi che con “Paneuropa” preconizzò l’unità europea già dal 1923. L’idea dell’“Europa delle Patrie”, propria del gollismo degli anni ’60, può garantire, attraverso un intelligente adeguamento, quell’unità storica degli Stati Nazionali che è peculiare caratteristica della civiltà del continente».

E l’appello, fin dalla Conferenza intergovernativa (CIG) (v. Conferenze intergovernative) prevista per l’anno successivo al Congresso fondativo di Alleanza nazionale, affinché l’Italia si schierasse «con coloro che vogliono […] la revisione del Trattato di Maastricht» per «dotare l’Unione di Istituzioni che abbiano le competenze necessarie e possano essere in grado di gestire democraticamente le politiche degli Stati membri, nel rispetto del Principio di sussidiarietà». L’altra priorità per la Conferenza intergovernativa doveva essere secondo la Presidenza di Alleanza nazionale quella di «operare affinché l’Unione si faccia carico della politica mediterranea in modo convincente e duraturo» e di «promuovere una forte politica adriatica tesa a riaffermare il suo ruolo». In questo senso la trattativa per l’adesione della Slovenia e della Croazia andava «condotta su basi forti, fuori dalla logica di “Osimo” (che può ben dirsi superato e decaduto per l’estinzione di uno dei contraenti) e collegando all’esito positivo di tale trattativa l’assenso all’ingresso delle due nuove repubbliche nell’Unione Europea». In concreto prioritario risultava «ottenere la restituzione – non il semplice indennizzo – agli espulsi giuliano-dalmati (e loro discendenti) dei beni espropriati dal regime comunista jugoslavo» e «agire per affermare la tutela reale della minoranza italiana oggi vivente in queste terre […], nella sua unitarietà e specificità».

Così sintetizzava F. in conclusione: «Come forza politica presente in Europa intendiamo lavorare per il raggiungimento di un’Unione che nei prossimi anni si occupi non solo e non tanto di unificazione monetaria, ma di politiche comuni per alcuni grandi temi, quali: 1) politica estera comune, 2) politica di difesa e esercito europeo, 3) lotta comune alla grande criminalità organizzata, 4) lotta coordinata al radicarsi di qualsiasi tipo di fondamentalismo, da qualsiasi parte provenga, 5) difesa delle identità europee, come modo per preservare le identità anche dei Paesi terzi, 6) potenziamento della ricerca scientifica e tecnologica, in particolare nei campi della salute e dei mezzi di comunicazione, 7) piano comune per l’energia e per la tutela del territorio, 8) politica per il Mediterraneo, in identità di vedute con quanto espresso su questo punto dal premier francese Édouard Balladur (…), 9) politica per i giovani, in sintonia con quanto esposto da Jacques Chirac in uno dei suoi ultimi lavori. A questi punti programmatici va aggiunto il problema della Cittadinanza europea, riconosciuta, è vero, dal trattato di Maastricht, ma che deve essere resa effettiva attraverso una serie di misure sul piano civico e sul piano culturale ed educativo (piani di studio coordinati, insegnamento delle lingue, storia dei nostri Paesi vista in un più ampio contesto europeo, informazione comunitaria)».

Il Congresso di Bologna del 2002 si collocava invece nella cornice post 11 settembre e vedeva F. nella nuova veste di vicepresidente del Consiglio dei Ministri e membro designato del governo italiano alla Convenzione europea. La sfida dell’assise tenutasi dal 4 al 7 aprile 2002 nel capoluogo emiliano aveva una forte caratterizzazione sui temi dell’Unione Europea fin dal titolo “Vince la Patria, nasce l’Europa”.

In tal senso si ricordava in apertura come «la convenzione e la successiva conferenza intergovernativa contribuiranno a sciogliere numerosi nodi»; infatti «è giunto per l’Europa il momento di superare una ambiguità nata nel periodo post bellico e che si è perpetuata nei decenni successivi, portando ad un vero e proprio deficit democratico delle istituzioni comunitarie, oggi finalmente ammesso da tutti. Fin dal dibattito tra i padri fondatori si sono infatti confrontate due idee di Europa. La prima è quella di una Europa tecnocratica, connubio tra tecnoelitismo e dirigismo. La seconda ritiene al contrario che l’Europa non possa essere una “entità socialista sopranazionale” […]. Oggi ci troviamo alle prese con un continente bifronte, a due velocità: quella dell’euro, grande conquista. Quella della politica, enigmatico ectoplasma. È arrivata al termine una parabola che percorre un cinquantennio. Dall’Europa sintesi delle visioni illuminate di Monnet (l’Unione come obiettivo politico che precede i mezzi) e di Schuman (collaborazioni in settori concreti da cui scaturisce l’unione) all’Europa paralizzata dall’interminabile dibattito tra euro hegeliani ed euro kantiani (come li chiama Ralf Dahrendorf). I primi profeti di un super stato, i secondi pragmatici differenziatori di Competenze. Da questa analisi parte la sfida di Alleanza nazionale: un’Europa politica più unita e consapevole perché somma armonica delle sovranità. Un’Europa più democratica, che sappia: approfondire per allargare, consolidare per agire, fondare per tutelare. “Approfondire per allargare”, significa dar vita a cooperazioni rafforzate su temi strategici per l’Unione lasciando che su basi meno impegnative accedano i Paesi candidati. “Consolidare per agire” significa dare potere effettivo all’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune (PESC), al Commissario per le relazioni internazionali ed alla Presidenza di turno nei loro ruoli di rappresentanza dinnanzi alle crisi internazionali in cui l’Europa deve poter intervenire (v. Presidenza dell’Unione europea). Per questo non è più procrastinabile la creazione già decisa a Helsinki di una forza militare europea di reazione rapida. “Fondare per tutelare” significa porre le basi, anche attraverso la Carta costituzionale dell’Europa, di una piena integrazione anche nel delicato terzo pilastro della giustizia e degli affari interni» (v. Pilastri dell’Unione europea).

Più avanti F. tratteggiava «un progetto di sovranità concentriche imperniato sulle istituzioni nazionali legittimate dal voto popolare e su istituzioni europee più democratiche e trasparenti. In una Europa che gestisce da Bruxelles più della metà delle decisioni che incidono sulle politiche nazionali, con punte significative nel settore economico e agricolo, è indispensabile garantire la massima partecipazione dei cittadini. Il futuro dell’Europa non può essere l’uniformità nel centralismo, ma l’unità nelle diversità. Nell’Europa riunificata emergerà ancor più evidente l’esigenza di un effettivo riconoscimento del principio di sussidiarietà. All’Unione spettano tutte le competenze che traggono chiaro vantaggio da una trattazione a livello Europeo: la politica estera e di sicurezza, la stabilità monetaria e le regole commerciali, l’immigrazione e il diritto di asilo, la lotta al terrorismo e alle organizzazioni criminali internazionali, la politica agricola, la ricerca e l’innovazione.

Edmund Stoiber, riprendendo un concetto espresso da Tony Blair, ha sintetizzato con grande efficacia: “integrazione ove è necessario, decentramento ove è possibile”. La sussidiarietà ed il maggior coinvolgimento dei cittadini rappresentano la strada maestra per aprire spazi di democrazia. Oggi ancora troppe decisioni dell’Unione, lungi dall’essere adottate in sede parlamentare, scaturiscono dalle riunioni del Consiglio dei ministri e sono attuate dagli organi della Commissione europea. Il primo decide in segreto, la seconda attua in maniera politicamente non responsabile. Questi due evidenti paradossi, in chiara contraddizione con lo spirito democratico di cui l’Europa è stata nei secoli portatrice, devono essere prontamente superati».

Come detto dal gennaio del 2002 tali visioni si concretizzarono nella partecipazione di F. alla Convenzione europea quale delegato del governo italiano. Il contributo del presidente di Alleanza nazionale ha preso le mosse dalla consapevolezza che «la revisione in senso Costituzionale dei Trattati rappresenta l’occasione per portare finalmente a compimento il processo di integrazione, costruendo un’Unione che sia al tempo stesso una comunità di valori e di diritti, uno spazio economico e monetario unificato ed una potenza in grado di costituire un arco di volta del nuovo sistema di relazioni internazionali del 21° secolo». In tal senso F. ha orientato la propria azione su un ventaglio di priorità:

  1. relativa al metodo: La Convenzione, nel suo complesso, doveva consentire di superare i veti incrociati che avevano frenato le precedenti Conferenze Intergovernative e creare un “discorso pubblico” aperto e trasparente. Essenziale in tal senso l’aver stabilito un forte legame con il Presidium affinché la presidenza italiana del Consiglio UE (secondo semestre 2003) potesse assumere un testo consolidato e far sì che il nuovo Trattato costituzionale venisse firmato prima delle Elezioni dirette del Parlamento europeo (giugno 2004), in modo da fare di quest’ultime un momento di verifica dell’adesione dei cittadini europei alla nuova Costituzione.
  2. relativa ai contenuti: obiettivo del rappresentante del governo italiano alla Convenzione fu quello di consegnare alla successiva CIG un testo che segnasse il «superamento della complessa struttura a pilastri dei vigenti Trattati» e aprisse «alla ripartizione di competenze basata sul principio di sussidiarietà e sulla rafforzata partecipazione dei Parlamenti nazionali; alla tipizzazione degli atti e degli strumenti giuridici e finanziari, con l’introduzione di una gerarchia delle norme; alla creazione di un Ministro degli Esteri europeo; all’estensione del processo di Codecisione; alla razionalizzazione e miglioramento delle disposizioni sulla politica estera, sulla difesa e sullo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia; al rafforzamento di tutti e tre i principali organi dell’Unione – Commissione, Consiglio e Parlamento Europeo – che non altera l’equilibrio di fondo del triangolo istituzionale». In più rilevava l’acquisizione di Personalità giuridica dell’Unione europea e l’attribuzione di valore giuridico alla Carta dei diritti di Nizza, senza divenire un “super Stato” e neppure uno “Stato federale” (v. anche Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). Ad avviso di F. «il metodo della Cooperazione rafforzata, sulla scorta di un complesso articolato ma ragionato di interessi convergenti», rappresentava «il miglior strumento di elaborazione di una crescita armoniosa ed organica della società europea, nel rispetto del patrimonio dello sviluppo sociale dei singoli gruppi nazionali». L’individuazione del ministro degli Affari Esteri dell’Unione destinato a raccogliere in una sorta di “unione personale” (“doppio cappello”) le competenze degli attuali “Alto rappresentante” e Commissario responsabile per le Relazioni esterne andava a rappresentare la metafora del principio più volte ribadito da F. dell’“equilibrio istituzionale”. La creazione di un “ministro degli Esteri-doppio cappello” era peraltro una riformulazione della idea italiana della “ibridazione”. Sorte meno fortunata ebbe l’emendamento presentato da F. all’articolo 2 del progetto del trattato, quello sui valori dell’Unione, sul rispetto della dignità umana, della libertà e della democrazia. La proposta italiana di prevedere la menzione delle «comuni radici giudaico-cristiane come valori fondanti del suo patrimonio» non trovò una maggioranza favorevole e venne rigettata.

Durante il mandato di ministro degli Esteri F. è intervenuto sovente sul tema della costruzione europea affrontando dossier di estrema delicatezza: in primis quello relativo al bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) per gli anni 2007-2013 imperniato sul tema del rebate britannico versus la piattaforma Juncker. F. in quel contesto ribadì come vi siano «due questioni che l’Italia ritiene pregiudiziali. La prima è che non si può ridurre nemmeno di un centesimo, rispetto alla proposta lussemburghese, lo stanziamento europeo per la Politica di coesione, cioè fondi per il nostro Mezzogiorno». «Secondo paletto non aggirabile – per F. – che i costi dell’allargamento siano sulle spalle di tutti, in misura proporzionale a quello che è il prodotto interno lordo. In altri termini il Regno Unito non può continuare ad avere un rimborso, come trattamento di favore, che fu strappato 20 anni fa da Margaret Thatcher, e che, cosa che pochi sanno, per un quarto paghiamo noi».

In quegli anni prese forma anche una involuzione sui temi della concorrenza (v. Politica europea di concorrenza): F. ebbe a stigmatizzare alcune scelte compiute da paesi membri dell’UE non rispettose del libero mercato, in particolare sul caso Enel. Parimenti F. ebbe a confrontarsi con l’impasse europea a seguito della bocciatura del Trattato da parte di Francia e Paesi Bassi nonché con i nuovi equilibri di forze venutisi a creare in seno all’Autorità nazionale palestinese dopo la vittoria di Hamas nelle elezioni e la necessità di chiara stigmatizzazione da parte UE.

Nei mesi successivi al cambio di Governo, F. ebbe a proporre una nuova pagina all’interno di Alleanza nazionale attraverso il documento “Ripensare il Centrodestra nella prospettiva europea” (luglio 2006). Si enfatizzava in particolare il concetto di accoglienza; «accoglienza, nella logica delle massime opportunità nei servizi, in una Europa finalmente (e veramente) liberalizzata; accoglienza in un’Unione europea che sappia optare decisamente per “campioni continentali” nei settori high tech e dell’energia che siano da traino alla realizzazione degli obiettivi di Lisbona ed alla progressiva riduzione del divario tecnologico transatlantico (con una particolare attenzione all’energy security tema delicatissimo per l’Europa che passa per una politica comune negli approvvigionamenti, la liberalizzazione del mercato, il completamento dei Trans-European Energy Networks, il sostegno alle energie rinnovabili, al nucleare e all’idrogeno); accoglienza di nuovi paesi in un’Europa che si amplia geograficamente e politicamente, a cominciare dai vicini prossimi dove massima è la proiezione italiana (Europa sud-orientale e balcanica)».

Significativamente il primo atto compiuto due anni dopo, appena eletto presidente della Camera, nel discorso inaugurale di mercoledì 30 aprile 2008 sarebbe stato un «vivo auspicio che il futuro Governo invii sollecitamente alle Camere il disegno di legge di ratifica del nuovo Trattato europeo di Lisbona, perché l’Italia, Paese fondatore dell’Unione, deve esercitare anche in questa occasione un deciso ruolo di impulso e di stimolo». Il 31 luglio 2008 il Parlamento italiano completava l’iter per l’approvazione del Trattato di Lisbona.

Federico Eichberg (2008)