Politica estera e di sicurezza comune

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Dal fallimento della Comunità europea di difesa alla Cooperazione politica europea

La Politica estera e di sicurezza comune (PESC) è il punto di arrivo di una lunga evoluzione della quale vanno ricordate le tappe fondamentali. L’avvio dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della) è avvenuto nel quadro della formazione del blocco occidentale sotto l’egemonia degli Stati Uniti d’America e della Guerra fredda con il blocco sovietico. In effetti l’Unione occidentale, detta anche Patto di Bruxelles, costituita nel 1948 fra Regno Unito, Francia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo – un’alleanza militare che nel 1954, con l’adesione di Germania e Italia, diventerà l’Unione dell’Europa occidentale (UEO), alla quale aderiranno negli anni Novanta Spagna, Portogallo e Grecia e si collegheranno in varie forme quasi tutti i paesi europei – divenne quasi subito un’organizzazione strettamente subordinata all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), sulla quale si fondò effettivamente la difesa dell’Europa occidentale. Ci fu peraltro, parallelamente alla costruzione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), il tentativo – promosso dalla Francia fra il 1950 e il 1954 per evitare il riarmo nazionale tedesco – di unificare la difesa e la politica estera degli Stati partecipanti al nascente sistema comunitario attraverso la creazione di un quadro istituzionale fornito della concreta potenzialità di raggiungere in tempi brevi il traguardo dello Stato federale (v. anche Federalismo). Se i progetti della Comunità europea di difesa (CED) e della connessa Comunità politica europea (CPE) – questa aveva tra i suoi obiettivi anche l’unificazione economica – fossero giunti in porto, non solo l’integrazione europea sarebbe progredita assai più rapidamente, ma alla NATO avrebbe partecipato un’Europa occidentale decisamente più autonoma e, quindi, con l’effettiva possibilità di mettere in discussione in tempi relativamente brevi l’egemonia americana in direzione di un sistema mondiale pluripolare. In seguito al rigetto della CED, e quindi della CPE, da parte dell’Assemblea nazionale francese il 30 agosto 1954, queste prospettive furono bloccate, la NATO istituzionalizzò la delega da parte dell’Europa della propria difesa al protettorato politico-militare americano e si affermò la scelta di far progredire l’integrazione funzionalistico-comunitaria (v. Funzionalismo) solo sul terreno economico, che, a differenza di quello politico-militare, non avrebbe posto fin dall’inizio il problema del trasferimento di sovranità a organi sopranazionali, su cui si era incagliata la CED.

Dopo l’avvio della Comunità economica europea (CEE) ci fu un altro tentativo abortito di allargare l’integrazione alla politica estera e alla difesa con il Piano Fouchet (1961-1962), cioè con un progetto, promosso da Charles De Gaulle, di unione politica che avrebbe dovuto affiancarsi alle Comunità e coordinare le politiche estere e di difesa attraverso una Cooperazione intergovernativa su basi rigorosamente confederali. Dopo il fallimento di questo progetto ebbe maggior fortuna la Cooperazione politica europea (CoPE) introdotta a partire dal 1970. Si trattava di un meccanismo di armonizzazione delle politiche estere (era esclusa la cooperazione nel campo della difesa, considerata di competenza dell’UEO e della NATO) di cui si sentiva l’esigenza soprattutto in conseguenza dell’entrata in funzione della Politica commerciale comune (in seguito all’Unione doganale acquisita nel 1968), data l’evidente interdipendenza fra politica commerciale e politica estera. La CoPE era un sistema di cooperazione – in sostanza consisteva in riunioni sistematiche non solo dei ministri degli Esteri, ma anche degli alti funzionari dei ministeri degli Esteri – rigorosamente intergovernativa, fondata cioè su deliberazioni unanimi e al di fuori del quadro istituzionale comunitario, con i suoi embrioni federali (ruolo della Commissione europea, della Corte di giustizia delle Comunità europee e del Parlamento europeo, spazio crescente delle decisioni a maggioranza da parte del Consiglio dei ministri) (v. anche Corte di giustizia dell’Unione europea; Maggioranza qualificata). Con l’Atto unico europeo, entrato in vigore nel 1987, oltre a istituzionalizzare la CoPE nel quadro di un trattato (v. anche Trattati), sempre mantenendo la sua separazione dal sistema comunitario, fu creato un Segretariato leggero e fu stabilito che la cooperazione doveva essere estesa anche agli aspetti politici ed economici della sicurezza (sempre esclusa la difesa).

La fine della Guerra fredda: dalla Politica estera e di sicurezza comune alla Politica europea di sicurezza e difesa

Il passo successivo –connesso con la svolta epocale rappresentata dalla fine della Guerra fredda e dalla dissoluzione del sistema bipolare – fu il passaggio dalla CoPE alla PESC, che si realizzò con il Trattato sull’Unione europea (TUE) (v. Trattato di Maastricht), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993. L’Unione europea (UE) istituita con il TUE è articolata in tre pilastri (v. Pilastri dell’Unione europea), il primo dei quali è rappresentato dalle Comunità europee (la più importante delle quali, la CEE, fu ampiamente riformata per poter realizzare l’obiettivo dell’Unione economica e monetaria), mentre gli altri due sono sistemi di cooperazione intergovernativa nel settore della politica estera e di sicurezza (v. Politica estera e di sicurezza comune), il secondo, e in quello della Giustizia e affari interni, il terzo. La fondamentale novità della PESC rispetto alla CoPE è l’estensione della cooperazione, fatto salvo il rispetto degli obblighi verso l’Alleanza atlantica, a tutti gli aspetti della politica estera e di sicurezza «ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa comune che potrebbe, successivamente, condurre a una difesa comune». Il meccanismo decisionale (v. Processo decisionale) rimane rigorosamente intergovernativo e, quindi, fondato su deliberazioni unanimi (v. Voto all’unanimità), ma vengono fissati alcuni obiettivi sia pur generici della PESC (vedi sotto) e si prevede la possibilità di decidere non solo posizioni comuni, ma anche azioni comuni comprendenti tra gli altri aspetti militari. In questi casi si prevede il supporto tecnico dell’UEO, che fa parte integrante dello sviluppo dell’UE e il cui ruolo operativo dovrebbe essere rafforzato. A questo proposito va ricordato che, prima ancora della ratifica del TUE, fu rilasciata la Dichiarazione di Petersberg il 19 giugno 1992 con la quale si tracciavano le linee direttrici per lo sviluppo dell’UEO quale componente della difesa dell’UE e strumento per il rafforzamento del pilastro europeo della NATO. Gli Stati membri si dichiararono pronti a mettere a disposizione dell’organizzazione unità militari ai fini non solo della difesa comune, come già previsto dai trattati dell’Alleanza atlantica e della stessa UEO, ma anche di altri compiti richiesti dal contesto internazionale successivo alla fine della Guerra fredda, nel quale il problema della sicurezza assume una rilevanza crescente rispetto a quello della difesa in un conflitto interstatale. Si tratta di tre ordini di missioni, da allora conosciute come Missioni di tipo “Petersberg”, e precisamente: missioni umanitarie o di evacuazione di persone; missioni di mantenimento della pace; missioni di forze armate ai fini della gestione di crisi, ivi comprese le operazioni di ripristino della pace.

Dopo il TUE la configurazione della PESC ha subito alcune innovazioni, che però non ne hanno modificato la sostanza intergovernativa. Le modifiche fondamentali introdotte dal Trattato di Amsterdam (TA), firmato il 4 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio 1999, sono le seguenti: la possibilità da parte del Consiglio europeo di decidere strategie comuni nei settori in cui gli Stati membri hanno interessi che condividono; l’attribuzione al segretario generale del Consiglio del titolo di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, il quale oltre ad assistere la presidenza e a contribuire alla preparazione delle decisioni politiche del Consiglio e alla loro attuazione, dirige una cellula di programmazione politica e tempestivo allarme (a questa carica è stato nominato nel 1999 Javier Solana, ex segretario generale della NATO e segretario dell’UEO); la decisione di trasformare le missioni Petersberg in compiti strategici dell’UE. In tal modo si è avviata concretamente la Politica europea di sicurezza e difesa (PESD) e l’assorbimento nell’UE dell’UEO; quest’ultima pertanto nel 2000 ha cessato di esistere come agenzia operativa, trasferendo le proprie competenze all’UE e mantenendo su di sé il solo compito della difesa collettiva (che di fatto è assunto dalla Alleanza atlantica) e, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha deciso nel marzo 2010 di porre termine a tutte le proprie attività entro il giugno 2011.

Come conseguenza dell’inserimento delle missioni di Petersberg nel quadro della PESC introdotto dal TA, il Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999 ha deciso di dar vita alla Forza europea di reazione rapida e di creare apposite istituzioni politico-militari a livello dell’UE, e cioè il Comitato politico e di sicurezza, il Comitato militare e lo Stato maggiore. A Helsinki si è anche affrontata la questione della gestione civile delle crisi, diventata di importanza cruciale per le emergenze complesse e multidimensionali del nuovo sistema internazionale. Pertanto si è deciso di inserire fra le missioni che l’UE avrebbe dovuto assolvere per rendere stabili le aree di suo interesse i compiti di polizia civile (per assicurare l’ordine interno a paesi privi di strutture politiche funzionanti), di assistenza amministrativa e giuridica, di ricerca, salvataggio e monitoraggio del rispetto dei diritti umani (v. Diritti dell’uomo), di osservazione elettorale. Il Trattato di Nizza (TN), firmato il 26 febbraio 2001 e entrato in vigore il 1° febbraio 2003, ha istituzionalizzato le decisioni di Helsinki.

Alcune fondamentali innovazioni erano contenute nel Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa (v. Costituzione europea), firmato a Roma il 29 ottobre 2004, ma accantonato dopo il voto negativo espresso alla ratifica dai referendum popolari indetti in Francia e nei Paesi Bassi, rispettivamente nel maggio e nel giugno 2005. Queste innovazioni, che non modificavano la natura intergovernativa della PESC, erano le seguenti: la trasformazione dell’Alto rappresentante per la PESC in ministro per gli affari Esteri dell’Unione, nominato dal Consiglio europeo (di cui fa parte), vicepresidente della Commissione e incaricato di presiedere il Consiglio dei ministri degli Esteri; la clausola di solidarietà, che comporta l’aiuto con tutti i mezzi, compresi quelli militari messi a disposizione da parte degli Stati membri nei confronti di uno Stato membro che subisce un attacco terroristico o è vittima di una calamità naturale o provocata dall’uomo; l’istituzione di una Agenzia europea per gli armamenti, la ricerca e le capacità militari; la possibilità di una cooperazione strutturata nella PESD fra i paesi favorevoli a un’integrazione più approfondita; l’istituzione di un Corpo volontario europeo per gli aiuti umanitari.

Nonostante la mancata ratifica, dopo un periodo di riflessione il Consiglio europeo di Bruxelles del 21 e 22 giugno 2007, chiamato a decidere sul futuro del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa ha stabilito che anche per la PESC e la PESD le principali novità sarebbero state mantenute nella riforma dei Trattati (non più una Costituzione ma un nuovo Trattato) trasmettendo un mandato dettagliato alla Conferenza intergovernativa (CIG) (v. Conferenze intergovernative) incaricata di formulare il testo finale per sua definitiva approvazione entro il 2009. Le modifiche già inserite nel Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa riguardanti la PESC e la PESD sono state quindi confermate, a eccezione del mutamento della denominazione dell’Alto rappresentante in ministro per gli affari Esteri dell’Unione, benché siano state confermate le sue nuove attribuzioni (vicepresidente della Commissione europea e presidenza del Consiglio dei ministri degli Esteri).

Le principali riforme riguardanti la PESC sono state quindi inserite nel Trattato di Lisbona, il quale, dopo un iter travagliato – a seguito del referendum negativo alla ratifica in Irlanda nel giugno 2008, poi superato da una seconda consultazione tenutasi con esito positivo nell’ottobre 2009 – è entrato in vigore dal 1° dicembre 2009. In particolare la nuova figura del Presidente del Consiglio europeo (v. Presidenza dell’Unione europea) eletto a Maggioranza qualificata per un mandato di due anni e mezzo e rinnovabile una volta soltanto, è chiamato ad assicurare la rappresentanza esterna dell’UE per le materie relative alla PESC, fatte salve le attribuzioni dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Quest’ultimo contribuisce con proposte all’elaborazione della PESC, assicura l’attuazione delle decisioni adottate in questo ambito dal Consiglio europeo e dal Consiglio dei ministri, conduce a nome dell’Unione il dialogo politico con terzi ed esprime la posizione dell’Unione nelle organizzazioni internazionali e in seno alle conferenze internazionali.

Principi ispiratori e obiettivi, istituzioni e strumenti

Conclusa la ricostruzione storica, vediamo ora in modo più dettagliato il sistema della PESC nella sua configurazione attuale prevista nel Trattato di Lisbona, suddiviso nel Trattato sull’Unione europea (TUE) e nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Il Titolo V del TUE contiene le Disposizioni generali sull’azione esterna dell’Unione e disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune e individua gli obiettivi dell’azione esterna dell’UE e della PESC che sono: difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali, dell’indipendenza e dell’integrità dell’UE; consolidamento e sostegno della democrazia, dello Stato di diritto, dei diritti dell’uomo e dei principi del diritto internazionale; mantenimento della pace, prevenzione dei conflitti e rafforzamento della sicurezza internazionale conformemente alla Carta dell’ONU, nonché all’Atto finale di Helsinki e alla Carta di Parigi; promozione dello sviluppo sostenibile nei paesi in via di sviluppo sul piano economico, sociale e ambientale, con l’obiettivo primario di eliminare la povertà; promozione dell’integrazione di tutti i paesi nell’economia mondiale; partecipazione all’elaborazione di misure internazionali per la preservazione e il miglioramento della qualità dell’ambiente e per la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali; aiuto alle popolazioni, ai paesi e alle regioni colpiti da calamità naturali o provocate dall’uomo; promozione di un sistema internazionale basato su una cooperazione multilaterale rafforzata e il buon governo mondiale.

Nel meccanismo istituzionale della PESC gli attori principali sono: il Consiglio europeo, che definisce i principi e orientamenti generali e le strategie comuni e il suo Presidente il quale, come si è visto, garantisce la rappresentanza esterna per la PESC (attualmente il primo presidente nominato dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona è l’ex primo ministro belga Herman Van Rompuy, in carica dal 1° gennaio 2010); il Consiglio dei ministri, che adotta su questa base le posizioni comuni, le azioni comuni e le decisioni per la messa in opera della PESC, e la cui presidenza di turno è affiancata dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (a questa carica è stata designata, assumendo le funzioni il 1° gennaio 2010, la britannica Catherine Margaret Ashton, già commissaria europea al commercio), di cui si è già detto prima, chiamato a dare coerenza e unitarietà all’azione esterna dell’UE nel suo duplice ruolo di vicepresidente della Commissione incaricato delle relazioni esterne e di presidente del Consiglio dei ministri degli Esteri (Consiglio “Affari esteri”) avvalendosi di un Servizio europeo per l’azione esterna, organo autonomo e funzionale dotato di un segretariato centrale, separato dalla Segreteria del Consiglio dei ministri e dalla Commissione, composto da funzionari e diplomatici e chiamato a operare per rendere efficace l’azione esterna dell’UE in collaborazione con i servizi diplomatici nazionali, costituito con decisione del Consiglio dei ministri su proposta dell’Alto rappresentante, previa consultazione del Parlamento europeo e previa approvazione della Commissione europea nel luglio 2010; la Commissione, associata alla PESC mediante un potere di proposta non esclusivo in quanto condiviso con i governi, e responsabile del coordinamento delle politiche comunitarie con la PESC; il Parlamento europeo, che viene consultato regolarmente e informato sulla PESC dall’Alto rappresentante, può rivolgere interrogazioni e formulare raccomandazioni al Consiglio e all’Alto rappresentante e procede due volte all’anno a un dibattito sui progressi compiuti nell’attuazione della PESC e della PESD, ma non può emettere in materia pareri vincolanti.

Gli Stati si impegnano a sostenere la PESC in uno spirito di lealtà e solidarietà reciproca e, quindi, ad astenersi da qualsiasi azione contraria agli interessi dell’Unione o che nuocciano all’efficacia della sua azione internazionale. Tuttavia non esiste soluzione a un eventuale contrasto tra gli atti compiuti dagli Stati membri nell’ambito della loro politica estera e le decisioni della PESC perché la Corte di giustizia dell’UE non è competente a riguardo.

Gli strumenti attraverso i quali viene attuata la PESC sono: i principi e orientamenti generali; le Strategie comuni che possono riferirsi alle relazioni dell’UE con un paese o una regione o avere un approccio tematico; le posizioni comuni; le azioni comuni; la cooperazione sistematica (informazione e concertazione reciproca e coordinamento fra gli Stati membri nell’ambito delle organizzazioni internazionali). Per l’adozione degli atti relativi alla PESC vale la regola generale dell’unanimità in seno al Consiglio. Rispetto a questa regola (che resta assoluta in riferimento alle questioni militari) sono previste le seguenti deroghe: l’Astensione costruttiva, che dispensa lo Stato che vi ricorre dall’obbligo di applicare la Decisione comune, ma non può ostacolarne la formazione, né impedire che essa impegni l’UE – astensione che tuttavia, se assunta da almeno un terzo degli Stati membri che rappresentino almeno un terzo della popolazione dell’UE porta alla non adozione della decisione in base a quanto previsto dal Trattato di Lisbona; la possibilità da parte del Consiglio di decidere di votare a maggioranza qualificata quando adotta decisioni esecutive di una strategia comune o, in base a quanto prevede il Trattato di Lisbona, di decisioni del Consiglio europeo relative a interessi e obiettivi strategici dell’UE, quando adotta una decisione che definisce un’azione o una posizione dell’UE in base a una proposta dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza presentata in seguito a una richiesta specifica rivolta a quest’ultimo dal Consiglio europeo di sua iniziativa o su iniziativa dell’Alto rappresentante, quando adotta decisioni relative all’attuazione di una azione comune o di una posizione comune, quando nomina un rappresentante speciale incaricato di seguire problemi politici specifici. Tuttavia qualora un membro del Consiglio si opponga all’adozione di una decisione a maggioranza qualificata non si procede alla votazione e se l’Alto rappresentante non riesce a trovare una soluzione accettabile per lo Stato membro il Consiglio può votare a maggioranza qualificata di rimettere la questione al Consiglio europeo che si esprime all’unanimità. Il Consiglio ha inoltre facoltà di decidere all’unanimità nuovi casi in cui sia possibile decidere a maggioranza qualificata. Il Trattato di Lisbona indica esplicitamente che nell’ambito della PESC non è possibile adottare atti legislativi.

Quali prospettive per la PESC? L’estensione dell’integrazione europea al settore della sicurezza e della difesa

Dopo l’illustrazione del processo che ha portato all’attuale PESC e la descrizione degli aspetti fondamentali del suo meccanismo istituzionale, occorre prendere ora in considerazione la sua adeguatezza rispetto ai problemi che deve affrontare. Partiamo dalle ragioni strutturali che richiedono l’estensione dell’integrazione al settore della politica estera, di sicurezza e di difesa. Esse emergono nel documento fondativo dell’integrazione comunitaria, cioè nella Dichiarazione Schuman (v. anche Piano Schuman) del 9 maggio 1950, che indica il traguardo finale della federazione per contribuire alla pace nel mondo. Parlare di federazione vuol dire parlare di statualità federale, la quale non può non comprendere una politica estera e di sicurezza e una difesa uniche, sia per rendere possibile un ruolo europeo autonomo ed efficace sul piano mondiale, sia per poter imporre all’interno in modo irresistibile, sulla base del monopolio della forza, l’ordinamento giuridico federale. Certo, l’integrazione europea, pur avendo continuamente rinviato una coerente scelta federale, ha compiuto, sotto l’ombrello del protettorato politico-militare americano, progressi grandiosi, il cui risvolto più significativo è stato il continuo allargamento fino all’attuale fase di unificazione dell’intera Europa. D’altro canto, negli anni Novanta sono emerse sfide esistenziali nei confronti del processo di integrazione europea che hanno reso il rinvio della scelta federale gravido di pericoli per la stessa sopravvivenza del grado di integrazione finora acquisito. Delle tre fondamentali sfide con cui l’UE si confronta – la moneta senza Stato (v. anche Euro), l’Allargamento all’intera Europa, l’instabilità postbipolare – ci interessa in questa sede soprattutto la terza.

In termini molto sintetici, si può dire che l’esigenza, che è sempre stata presente, di estendere l’unificazione al campo della politica estera, della sicurezza e della difesa ha subito una fortissima accelerazione in una situazione caratterizzata dagli effetti combinati della fine del sistema bipolare e del processo di globalizzazione. La fine della Guerra fredda e la connessa dissoluzione dei blocchi ha fatto venir meno il rischio di una guerra generale fra le grandi potenze e ha, quindi, reso possibili spettacolari riduzioni degli armamenti nell’area degli ex blocchi contrapposti e aperto promettenti possibilità di espansione del sistema della democrazia pluralistica e dell’economia di mercato. Dall’altra parte, ha fatto emergere un quadro generale di forte instabilità in Europa e nel mondo, di cui le manifestazioni più evidenti sono le tendenze alla balcanizzazione micronazionalistica e tribalistica, il terrorismo e la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Queste tendenze si sono incrociate con le contraddizioni esplosive prodotte da una globalizzazione non inquadrata da un adeguato sistema di governance globale. In particolare, vanno sottolineate le catastrofiche turbolenze economico-finanziarie e l’intollerabile ingiustizia per cui il 20% della popolazione mondiale ha a disposizione più dell’80% delle risorse mondiali. Questa ingiustizia (che proprio perché viviamo in un mondo sempre più interdipendente e integrato sul piano economico, dell’informazione e della mobilità umana è diventata un problema politico bruciante) non può che alimentare su larga scala odio fanatico, nichilismo, fondamentalismo religioso, dispotismi e avventurismo internazionale, e quindi, il terreno di coltura naturale delle reti terroristiche. Tali contraddizioni si sommano ai massicci flussi migratori, alle epidemie globali, all’aggravarsi delle emergenze ecologiche.

Conclusione

Questa situazione richiede in modo drammaticamente urgente un impegno straordinario da parte dell’UE a favore di un mondo più giusto e più pacifico, in conformità con il messaggio contenuto nella Dichiarazione Schuman. Si tratta in particolare di attuare una grandiosa politica di sviluppo, la quale dovrebbe generalizzare la logica del Piano Marshall consistente nel condizionare un aiuto di grandi dimensioni sul piano economico e della sicurezza alla scelta della pacificazione, dell’integrazione regionale e della democratizzazione. E si tratta altresì di riformare e rafforzare in modo decisivo le organizzazioni internazionali globali, a partire dall’ONU, per renderle in grado di realizzare un governo progressivamente più giusto ed efficace della globalizzazione. Questo impegno, che corrisponde a un interesse vitale dell’Europa e di tutti i paesi democratici, richiede una partnership egualitaria fra UE e USA, indispensabile per una divisione dei pesi e delle responsabilità e per superare le tendenze egemoniche americane, che sono il risvolto oggettivo della situazione unipolare.

In questo contesto si spiega l’emergere della PESC, ma anche la sua inadeguatezza, legata chiaramente al fatto che le resistenze nazionalistiche hanno finora impedito di andare al di là di una cooperazione su base confederale e quindi paralizzata dai diritti di veto nazionali. È difficile negare che con la PESC l’UE ha finora svolto un’azione prevalentemente declamatoria, una cui importante manifestazione è il documento “Un’Europa sicura in un mondo migliore” – elaborato dall’Alto rappresentante per la PESC, Javier Solana, e accolto dal Consiglio europeo di Bruxelles del 12-13 giugno 2003 – che contiene un orientamento di fondo coincidente con quello sopraindicato, ma in cui manca la chiara opzione a favore delle istituzioni federali indispensabili per rendere effettivo un tale orientamento. Ed è un dato di fatto che nelle crisi più serie successive alla fine della Guerra fredda – dalla prima guerra del Golfo passando per le tragiche vicende che hanno accompagnato la dissoluzione della Iugoslavia fino alla guerra contro l’Iraq del 2003 – l’Europa ha svolto un ruolo penosamente inadeguato. Solo il futuro potrà dire se questa esperienza di sistematica impotenza farà nascere la volontà politica di costruire una politica estera, di sicurezza e di difesa realmente unitaria, che significa diplomazia unica, esercito unico e presenza dell’UE negli organismi internazionali (l’ONU ad esempio) in sostituzione degli Stati nazionali. Per il momento si stanno moltiplicando gli sforzi in termini di missioni civili e militari nell’ambito della PESD, e di coordinamento di azioni e politiche volti a migliorare e a organizzare un’azione esterna dell’UE più coerente ed efficace. Risulta però ancora difficile considerare l’UE – che con il Trattato di Lisbona ha acquisito peraltro una personalità giuridica (v. Personalità giuridica dell’Unione europea) che le consente di stipulare accordi internazionali vincolanti sia per le sue istituzioni (v. Istituzioni comunitarie) che per gli Stati membri – un autorevole attore globale capace di agire con una sola voce nello scenario internazionale. Non è infatti ancora chiaro se e in che misura le diverse istituzioni introdotte o modificate dal Trattato di Lisbona riusciranno a garantire gli obiettivi ambiziosi che l’UE si è prefissi nella propria azione a livello internazionale, che oltre che alla PESC e alla PESD comprende anche diverse politiche comunitarie come la politica commerciale (v. Politica commerciale comune), la cooperazione allo sviluppo, l’aiuto umanitario, la cooperazione economica, finanziaria e tecnica con paesi terzi, gli accordi con i paesi terzi, le relazioni con le organizzazioni internazionali, la politica energetica (v. Politica dell’energia), la politica per la lotta al cambiamento climatico (v. Politica ambientale), ecc., e in questi ambiti coinvolge nella loro determinazione la Commissione europea e il Parlamento europeo. In particolare è da valutarsi se il nuovo assetto previsto dal Trattato di Lisbona riuscirà nella prassi a coordinare l’azione dell’UE al suo interno e nelle organizzazioni e nelle conferenze internazionali e a evitare sovrapposizioni e antagonismi.

Sergio Pistone, Giorgio Grimaldi (2010)

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Consiglio dei ministri – Politica estera:   http://www.consilium.europa.eu/showpage.aspx?id=248&lang=en.