Linthorst Homan, Johannes

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Entusiasta e appassionato frequentatore del dibattito politico della prima metà del Novecento L.H. (Assen 1903-Roma 1986) fu cofondatore della Nederlandse Unie, europeista e diplomatico di rilievo nel primo ventennio della storia comunitaria.

L’estrazione familiare di L.H. (il nonno e il padre Jan Tijmens erano tra gli illustri Commissari della regina a Drente e, nel ramo materno, Jannette Madelaine Stall era figlia del ministro della Guerra nel governo De Meester), oltre a garantirgli un’infanzia serena, sembrava prospettargli un sicuro approdo, a vario titolo, nell’establishment politico olandese. Ma lo spirito libero del giovane Homan lo spinse a tutta prima ad allontanarsi da quei circoli elitari per seguire la vocazione per la carriera giuridica. Pertanto, nel 1921, terminata la scuola secondaria, si trasferì a Leida per seguire i corsi di diritto presso l’ateneo locale. Tornato ad Assen, nel 1924, cominciò a esercitare la professione di avvocato e procuratore presso lo studio legale del fratello Harry, con esiti tutt’altro che brillanti. Alle deludenti prestazioni professionali, a ogni modo, Homan contrappose un rinnovato interesse per gli aspetti teorici del diritto. Tra il 1926 e il 1934, infatti, si dedicò con passione alla stesura della tesi di dottorato, sulla nascita dei comuni a Drente per approfondire successivamente le tematiche concernenti l’amministrazione locale di Groningen nel periodo batavo e francese, nonché lo sviluppo amministrativo delle città di Vledder e Havelte.

L’iscrizione al Vrijheidsbond, il partito liberale olandese nella sua denominazione prebellica, nel 1926, proiettò L.H. verso quello che si sarebbe rivelato il suo campo d’azione più congeniale, quello delle amministrazioni locali. Nel 1932, in particolare, le straordinarie qualità organizzative, nonché lo spiccato intuito politico evidenziati nell’ambito del partito, furono alla base della sua elezione a sindaco di Vladder, una cittadina della campagna meridionale olandese di fatto amministrata dalla Maatschappij van Weldadigheid, società di beneficienza in possesso di ampie porzioni del patrimonio fondiario locale. Chiamato a ripristinare il controllo pubblico sul comune, il nuovo sindaco seppe trovare agevolmente una formula di compromesso praticabile, accolta con favore sia dalle autorità statali, sia dalla Maatschappij van Weldadigheid, in virtù della quale si guadagnò ampio credito negli ambienti del policy-making nazionale. Non sorprende, pertanto, la rapidità della sua ascesa nell’ambito delle amministrazioni comunali e provinciali, dall’elezione a Consigliere provinciale di Drente, alla nomina, nel 1937, di commissario della regina a Groningen.

In tale funzione, soprattutto, L.H. seppe imprimere un’impronta marcatamente personale e una straordinaria vivacità al suo operato, pur trovandosi a fronteggiare le controverse problematiche innescate dalla crisi economica degli anni Trenta. Una situazione di eccezionale complessità che tuttavia diede forte impulso all’azione del neocommissario, stimolando altresì la sua riflessione politica. In costante apprensione per il dissesto finanziario nazionale, egli cominciò a manifestare crescente disappunto rispetto all’incapacità dell’Aia di arginare le drammatiche ricadute del collasso economico internazionale sul tessuto sociale del paese. Da qui, iniziò un riesame scrupoloso del sistema politico-economico olandese, a seguito del quale si convinse che la paralisi generalizzata dell’iniziativa politica, piuttosto che conseguenza di un fenomeno congiunturale, fosse espressione di un malessere più profondo, strutturale. In altre parole, nell’ottica di L.H., il crollo del 1929 aveva contribuito a evidenziare – e non provocato ex abrupto – il declino della democrazia parlamentare nei Paesi Bassi, non meno che gli effetti devastanti della compartimentazione sociale (verzuiling), ossia la rigida segmentazione della società olandese negli ambiti pertinenti la sfera pubblica, in base all’appartenenza politica piuttosto che alla confessione religiosa, dei singoli cittadini.

Sulla base di questa maturata consapevolezza, L.H. elaborò la propria strategia per la rinascita di Groningen. In pratica, nel 1938, si cimentava nell’organizzazione del cosiddetto “Groninger Dag”, un incontro a livello provinciale aperto alla partecipazione dei rappresentanti del mondo agricolo, industriale, commerciale e scientifico e finalizzato alla costruzione di un dialogo trasversale tra le diverse componenti della società, nonché alla riscoperta dei valori comuni e alla promozione di un rinnovamento complessivo della struttura sociale olandese. Constatato il successo dell’iniziativa, la quale conobbe diverse riedizioni negli anni successivi, il funzionario dell’Aia decise di fondare la Groningen Maatschappij, un ente diretto a istituzionalizzare, conferendo loro un preciso significato politico, le forme di cooperazione avviate in occasione del Groninger Dag.

Sebbene feconda di risultati apprezzabili, la carriera amministrativa di L.H. fu irrimediabilmente compromessa dallo scoppio della guerra, la quale avrebbe altresì condizionato la sua esperienza personale e intellettuale, conducendola al suo decisivo turning point. Che l’invasione tedesca, nel maggio del 1940, e la pressoché simultanea capitolazione della provincia di Groningen, avessero avuto un impatto violento sulla sua coscienza – sensibilmente disorientata dall’atteggiamento passivo con cui la popolazione olandese aveva assistito all’avanzata degli eserciti occupanti – traspariva con forza nelle pagine del primo opuscolo redatto da L.H., “Aanpakken!”, uscito il 1° luglio dello stesso anno. E certo il vivace commissario della regina, che era uomo d’azione piuttosto che un teorico, non poteva restare inerme di fronte al progressivo asservimento del proprio paese ai voleri del Reich, non soltanto sotto il profilo politico-amministrativo, ma anche e soprattutto sul piano intellettuale e culturale (v. Kersten A.E., 1986-1987, p. 105).

Rimasto in carica a Groningen, L.H. tentò inizialmente di far leva sul prestigio di cui godeva presso l’opinione pubblica locale per «dare freschezza, rinvigorire e rafforzare il nostro popolo», battendo peraltro la strada che gli era più familiare, nonché quella che fino ad allora aveva prodotto risultati immediati e concreti. Ritornò quindi, con la sollecitudine che gli era propria, a organizzare convegni, corsi e settimane di studio, con l’obiettivo di profondere nella società una nuova fiducia nella propria capacità di resistere e di autorinnovarsi. A nulla valsero, però, i tentativi messi in atto per sensibilizzare altri leader politici ad intraprendere altrove, in Olanda, iniziative analoghe. Sicché L.H. risolse di affidarsi esclusivamente all’azione personale, procedendo a fondare, insieme a Louis Einthoven, liberale e commissario di polizia a Rotterdam, e allo studioso cattolico Jan De Quay il discusso movimento Nederlandsche (poi Nederlandse) Unie. Sorta come antagonista dell’impopolare Nationaal-Socialistische Beweging (NSB) di Antoon Mussert – il partito nazionalsocialista olandese fondato negli anni Trenta, i cui membri avevano peraltro avviato una stretta collaborazione con le forze occupanti – la Nederlandse Unie guadagnò fin dalla nascita un’elevata percentuale di adesioni, reclutando, nelle prime otto settimane dalla fondazione, quattrocento mila iscritti, destinati ad aumentare fino alle ottocento mila unità nel gennaio del 1941 (v. Lipgens, 1985, vol. I, pp. 556-558).

Con la solenne proclamazione inaugurale, effettuata il 24 luglio del 1940 non senza il consenso tedesco, il triumvirato fondatore dell’organizzazione fece breccia nella coscienza nazionale con un invito aperto a tutti coloro che avessero voluto «lavorare assiduamente per la sopravvivenza e il rafforzamento della patria e della comunità di cittadini, preparando le condizioni ed elaborando le strategie idonee a garantire il futuro benessere». L’intento, precisava la proclamazione, non era quello di creare un partito politico, bensì un movimento quanto più possibile ampio ed eterogeneo, capace in primo luogo di costruire un «nuovo senso di comunità» nel paese, in secondo luogo di superare la compartimentazione e infine di sostenere i futuri governi ad affrontare e risolvere definitivamente i problemi economico-sociali che da oltre un decennio affliggevano l’Olanda (ibid.).

Sempre più assorbito dalla causa dell’Unie, il 2 dicembre del 1940, L.H. decise di rassegnare le dimissioni da commissario. Non sospettava certo che tale richiesta sarebbe stata respinta dall’amministrazione civile preposta dal Reich e che, di conseguenza, si sarebbe ritrovato a dover combinare la funzione pubblica, al servizio delle autorità occupanti, con la guida della NU. E proprio nel tentativo di conciliare i due incarichi, L.H. maturò la decisione di veicolare l’apertura di un dialogo formale, nell’ambito di un “Consiglio di consulenza” (Raad van advies), tra la Nederlandse Unie e i due partiti fascisti, il NSB e il Nationaal Front (fondato il 17 marzo del 1940 da Arnold Mejier). Molteplici le ragioni al fondo di tale scelta. In primo luogo, la determinazione ad evitare, anche a costo di qualche concessione al nazionalsocialismo da parte dell’Unie, la formazione di una struttura politico-amministrativa olandese interamente dominata dalle forze filonaziste. In secondo luogo, la volontà di scongiurare la soppressione della NU e di conferire semmai al movimento un’identità solida e ampiamente riconosciuta. Considerazioni che tradivano, nel loro insieme, la sostanziale ingenuità politica di L.H. il quale, di lì a breve, avrebbe verificato alla prova dei fatti l’intrinseca erroneità delle proprie valutazioni.

Sia da parte degli altri due fondatori della Nederlandse Unie, sia sul fronte delle autorità occupanti, la reazione alla nuova, e certo controversa, linea di condotta del leader della NU non tardò a manifestarsi. Sul primo versante, i continui richiami del triumviro al cambiamento radicale e al “nuovo ordine” postbellico, fin troppo vicini agli slogan nazisti, nonché i suoi frequenti contatti con il commissario generale del Reich, Schmidt, suscitarono le decise rimostranze di De Quay ed Einthoven, i quali, nel dicembre del 1940, giunsero persino a minacciare le dimissioni dalla guida dell’Unie. In tale contesto, un accordo patrocinato da L.H. evitò lo smembramento del triumvirato. Cosa che, al contrario, non fu sufficiente a impedire una notevole perdita di credibilità e di coesione interna del movimento (v. Kersten, 1989, vol. III, p. 383). Sul secondo versante, l’indirizzo collaborazionista intrapreso da L.H. incoraggiò progressivamente gli ufficiali tedeschi a confidare in una prossima riconversione della NU ai principi del nazionalsocialismo. Una prospettiva che sembrò tanto più concreta alla luce della crisi del dicembre 1940.

Soltanto dalla metà del 1941, allorché il commissario olandese prese apertamente le distanze dalla linea politica del Reich, condannando dapprima l’attacco della Germania all’Unione Sovietica, e poi, con più enfasi, le incursioni naziste nel quartiere ebreo di Amsterdam, si palesò l’entità della sua avversione per la “folle ideologia hitleriana” (v. Lipgens, 1985, vol. I, p. 558). I funzionari nazionalsocialisti risposero immediatamente sottoscrivendo la sentenza di morte della Nederlandsche Unie, ufficialmente sciolta il 14 dicembre del 1941. Sette mesi dopo, il 13 luglio del 1942, L.H. veniva arrestato e deportato dapprima a Haaren, un comune del Brabante settentrionale, e poi a Sint-Michielsgestel, ove si ritrovò a condividere l’esperienza della prigionia con altri esponenti dell’élite politico-intellettuale olandese. Tra questi, il socialdemocratico Hendrik Brugmans, il quale ebbe un ruolo fondamentale nell’entusiasmare il leader della NU alla causa dell’unificazione continentale e nel proiettarlo, in seguito, sulla via dell’europeismo militante (v. Kersten, cit., p. 107).

Liberato nell’aprile del 1944, L.H. rimase nel Brabante fino ad agosto, allorché, dopo un vano tentativo di raggiungere l’Inghilterra (v. Regno Unito), decise di tornare a Groningen. Fino alla liberazione partecipò attivamente alla Resistenza, impegnandosi a preparare il ritorno dell’amministrazione provinciale prebellica. Nonostante l’impegno profuso in tale contesto, cessate le ostilità, l’ex commissario della regina non venne ripristinato nella sua funzione. Era lo scotto da pagare per l’atteggiamento sconsiderato assunto nei confronti del nazionalsocialismo durante l’occupazione, con buona pace dei pur apprezzabili propositi di fondo. Fortemente amareggiato, piuttosto che accettare passivamente quello che considerava un ingiusto trattamento, L.H. cercò, anche con il sostegno dei suoi ex collaboratori di Groningen, di spingere le autorità competenti del suo giudizio a rivedere la decisione. Rispettivamente nel maggio e nel dicembre del 1945, tuttavia, sia la commissione presieduta dall’ex ministro degli Esteri Hendrik van Boeijen, sia la commissione Scholten per l’epurazione confermarono l’impossibilità di una reintegrazione di L.H. nell’amministrazione pubblica, concedendogli tuttavia la possibilità di congedarsi con onore dal servizio. Lungi dal rassegnarsi, nel gennaio 1946, L.H. continuò a sostenere energicamente la propria difesa di fronte alla commissione Fockema Andreae, incaricata di giudicare sulla condotta del triumvirato fondatore della Nederlandse Unie, forse l’esperienza più amara nel quadro della di per sé dolorosa vicenda dell’epurazione. Oltre a veder confermata la condanna a suo carico per collusioni col nazismo, infatti, L.H. ebbe la sensazione, neanche troppo ingiustificata, di trovarsi a fungere da “capro espiatorio”, il cui sacrificio sarebbe stato utile a chiudere rapidamente la spinosa questione dell’Unie, nonché a scagionare in via definitiva Einthoven e De Quay, i quali, già all’indomani della liberazione, erano stati destinati ad alti incarichi – il primo essendo stato nominato a capo del Binnenlandse Veiligheidsdienst (il servizio per la sicurezza interna) e il secondo commissario della regina nel Nord Brabante – nell’amministrazione pubblica postbellica.

Dopo le dimissioni da funzionario, che comunque non gli furono accordate prima dell’ottobre del 1947, L.H. prese a operare all’interno delle associazioni di agricoltori. Tra il 1946 e il 1952, in particolare, fu nominato successivamente presidente della Federatie van Coöperatieve Nederlandse Zuivelbonden, una federazione di cooperative olandesi di produttori di latticini, e della International federation of agricultural producers (v. Kersten, cit., p. 107). Nello stesso arco di tempo, sempre più attratto dalla retorica di Brugmans, divenne membro attivo dell’Europese Beweging in Nederland (EBN), il movimento europeo olandese (v. anche Movimenti europeistici), e iniziò a sostenere la campagna europeista anche nell’ambito delle due organizzazioni agricole di cui era presidente, trasponendo nella promozione dell’unità europea e nella lotta al nazionalismo lo stesso fervore e la stessa intraprendenza dei quali, a partire dagli anni Trenta, aveva nutrito la sua battaglia per il rinnovamento politico-sociale dell’Olanda e per l’abolizione della compartimentazione. Nel 1952, tornato a ricoprire un incarico istituzionale, quello di direttore della sezione Integrazione Europea presso la Direzione generale per i rapporti economici con i paesi esteri (Buitenlandse Economische Betrekkingen, BEB), influenzò significativamente la definizione della politica europea olandese.

Voce di rilievo, nei Paesi Bassi come pure sulla scena comunitaria, nel dibattito sui possibili sviluppi federali del Trattato istitutivo della Comunità europea di difesa (CED) – il quale, all’art. 38, contemplava la prospettiva dell’unità politica sotto il profilo istituzionale – L.H. si fece apertamente interprete delle istanze olandesi sulla necessità di far marciare parallelamente il processo di integrazione politica e l’approfondimento dell’unificazione economica (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Pur continuando a perseguire l’obiettivo ultimo della federazione europea (v. Federalismo), dopo una prima fascinazione per il metodo settoriale di ispirato a Jean Monnet, L.H. divenne un acceso fautore del modello orizzontale propugnato dall’allora ministro degli Esteri olandese, Johan Willem Beyen, nonché del piano, formulato dallo stesso ministro, per la graduale realizzazione di un mercato comune europeo (v. Kersten, cit., p. 107).

Anche in questa circostanza l’esperto negoziatore olandese si impegnò intensamente e in prima persona nella promozione del Piano Beyen, allorché si trattò di precisarne i contenuti ai rappresentanti dei governi dei paesi membri della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Nel febbraio-marzo del 1953, infatti, con Ernst H. van der Beugel e Henri F. Eschuzier, entrambi funzionari del ministero degli Esteri, si recò nelle rispettive capitali dei suddetti Stati per partecipare a una serie di incontri formali. E già il 9 marzo, alla presentazione della bozza di trattato della Comunità politica europea (CPE) ai ministri degli Esteri dei Sei da parte dell’Assemblea ad hoc, L.H. assisteva, in qualità di leader della delegazione economica olandese, alla celebrazione del suo successo diplomatico, sancito dall’inclusione del piano Beyen nel testo ufficiale.

Un entusiasmo destinato tuttavia a spegnersi rapidamente, giacché il 30 agosto del 1954 il parlamento francese cancellava dall’ordine del giorno la ratifica della CED e insabbiava definitivamente il processo di integrazione politica. Con la CPE crollavano anche le speranze, ampiamente coltivate da L.H. come da molti europeisti militanti dell’epoca, di una rapida realizzazione dell’Europa federale. In tale contesto, il diplomatico olandese non mancò di manifestare la sua riprovazione nei confronti dei governi nazionali, i quali, a suo avviso, per mancanza di coraggio politico, cioè per aver ceduto alle resistenze interne alla sovranazionalità, avevano condotto il processo di integrazione alla deriva intergovernativa (v. Cooperazione intergovernativa).

L.H. reagì alla delusione intensificando il suo impegno per la causa europea. Pertanto, pur non condividendo l’interpretazione di Beyen, secondo il quale l’integrazione economica rappresentava l’unica strada percorribile per ridare impulso all’unificazione sovranazionale, diede ampio sostegno all’iniziativa del cosiddetto “rilancio europeo”, patrocinata dallo stesso ministro degli Esteri dell’Aia. Per la precisione, nel 1955, come vicepresidente della delegazione olandese alla Conferenza di Messina, 1-3 giugno, collaborò attivamente all’elaborazione dell’importante impianto programmatico messo a punto dai ministri degli Esteri dei Sei. Inoltre, durante i lavori del Comitato intergovernativo (istituito a Messina con l’incarico di studiare l’implementazione delle proposte contenute nel Memorandum del Benelux), partecipò, in qualità di capo delegazione per i Paesi Bassi, alla fase di realizzazione del Rapporto che porta il nome di Paul-Henri Charles Spaak, il quale di fatto precisava la fisionomia di due nuove Comunità, la Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea dell’energia atomica (Euratom), solennemente istituite a Roma il 25 marzo del 1957 (v. Kersten, cit., p. 108) (v. Trattati di Roma). In realtà, in questi anni determinanti per il futuro comunitario, il lavorio diplomatico di L.H. si sviluppò, piuttosto che in sede di negoziato internazionale, prevalentemente nell’ambito del Binnenhof, il palazzo del governo olandese, nonché roccaforte del fronte euroscettico (v. Euroscetticismo) guidato dal premier Willem Drees. L’adesione dell’Aia al rilancio europeo, pertanto, secondo le linee indicate dapprima nel Memorandum del Benelux e poi nel Rapporto Spaak, fu anche il risultato dell’efficace azione negoziale condotta da L.H.

L’importante contributo offerto dal funzionario olandese al proprio governo fu peraltro ricompensato, nel 1958, con la nomina a primo rappresentante permanente per i Paesi Bassi alla CEE e all’Euratom, cui seguì, nel 1962, l’incarico presso l’Alta autorità della CECA, come membro del consesso. Con la fusione degli esecutivi, nel 1967, L.H. veniva inviato a Londra in qualità di rappresentante della CEE. In tale veste partecipò, tra il 1970-1971, alle trattative sull’ingresso britannico nel Mercato comune europeo (MEC) (v. Comunità economica europea). Nel vivo delle discussioni, tuttavia, l’esperto negoziatore olandese, giunto alla soglia del sessantanovesimo anno di età, decise di abbandonare la carriera diplomatica. A tale decisione, ad ogni modo, non seguì, come poteva sembrare logico, un improvviso disinteresse di L.H. per le sorti del negoziato britannico. Al contrario, egli intraprese un’azione sistematica di sensibilizzazione dell’opinione pubblica del Regno Unito, spesso confinata nella propria insularità, al tema dell’unificazione europea sovranazionale.

Dalla fine del 1971 L.H. si ritirò a Roma per trascorrere serenamente gli ultimi anni della sua vita. Lontano dagli affanni dell’attività istituzionale decise di dedicarsi alla stesura dell’autobiografia, Wat zijt ghij voor een vent? Levensherinneringen, uscita ad Assen nel 1974. Dalle pagine del testo traspare l’immagine di un uomo appassionato, di un personaggio discusso e oggetto di critiche violente, il quale, tuttavia, animato da un profondo slancio ideale, ebbe una parte importante nel condurre l’Olanda sulla via dell’Europa.

Giulia Vassallo (2010)

Bibliografia

Kersten A.E., Johannes Linthorst Homan, in Jaarboek van de Maatschappij der Nederlandse Letterkunde, Leiden 1986-1987.

Kersten A.E., Linthorst Homan, Johannes (1903-1986), in Biografisch Woordenboek van Nederland, vol. III,Den Haag 1989.

Lipgens W. (a cura di), Documents on the history of European integration, vol. I, De Gruyter, Berlin-New York 1985.