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Nocciolo duro

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L’idea del nucleo duro: nascita del concetto

L’idea di un nucleo duro di Stati membri della Comunità europea è più antica di quanto si pensi. Se è vero che solo con il Trattato di Amsterdam del 1997 hanno fatto pieno ingresso nel lessico europeo vocaboli come Cooperazione rafforzata, Europa “a geometria variabile”, Europa “a più velocità” (v. Cannone, 2005) è altrettanto vero che da un punto di vista politico il tema è dibattuto da molto prima.

Si potrebbe datarne la nascita, addirittura, ai primi anni cinquanta, quando si iniziò a discutere del progetto di una Comunità europea di difesa (CED), dopo una nota in tal senso del governo italiano del maggio 1950, per opera di Carlo Sforza, allora ministro degli Esteri. La Francia dovette formulare una propria proposta in merito: il problema principale era la Germania, al cui riarmo la stessa Francia si era fermamente opposta. Così Jean Monnet stese un piano, che poi prese il nome di “Piano Pleven” (v. Pleven, René), perché presentato dal primo ministro francese: si ideò un esercito europeo, di sei divisioni, sotto il comando dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e gestito da una sorta di ministro della Difesa europeo. Il Piano aveva il chiaro scopo di impedire il riarmo tedesco e allo stesso tempo di non ostacolare la possibilità di costituire un esercito europeo.

È qui che nasce l’idea del nocciolo duro: i sei Stati fondatori avrebbero devoluto una divisione del proprio esercito per la formazione di un esercito europeo, mantenendo ovviamente il proprio esercito, tutti, tranne la Germania, che, invece, avrebbe potuto armare soltanto la divisione da devolvere al costituendo esercito europeo. Il destino del piano non fu felice: nonostante il reiterato impegno italiano, anche per merito di Altiero Spinelli, nonostante l’interessamento americano, il voto contrario del Parlamento francese del 1954 bloccò l’entrata in vigore di quello che nel frattempo era diventato il Trattato istitutivo della CED.

L’idea del nucleo duro: l’erompere del concetto per merito della CDU tedesca

L’idea di un nocciolo duro di paesi europei impegnati nel processo di integrazione (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), di cui si iniziò a discutere proprio in riferimento al problema della difesa europea, non uscì più dal dibattito politico europeo. Durante gli anni Settanta se ne parlò in riferimento alla creazione del Sistema monetario europeo (SME) e Valery Giscard d’Estaing e Helmut Schmidt esercitarono forti pressioni politiche affinché il nucleo degli Stati fondatori facessero da traino al processo di integrazione monetaria (v. anche Unione economica e monetaria). Anche François Mitterrand pronunciò parole favorevoli al concetto di nocciolo duro di paesi membri, come d’altro canto fece Jacques Delors ancora in merito al problema della difesa europea.

Si potrebbe dire, tuttavia, che il tema esplose nel 1994. Parte della Christlich-demokratische Union (CDU) tedesca, capeggiata da Wolfang Schäuble e da Karl Lamers, espose in un documento presentato al Bundestag in modo chiaro il concetto di nocciolo duro, in modo talmente radicale da suscitare immediate reazioni tanto all’interno della stessa CDU quanto dei paesi che non rientravano tra il nocciolo duro ipotizzato, tra i quali l’Italia.

Si era da poco firmato il Trattato di Maastricht ed era già prevista la convocazione nel 1996 di una Conferenza intergovernativa (CIG) (v. Conferenze intergovernative) per la riforma dello stesso Trattato. Il periodo era quindi molto indicato per affermare, in chiave politica, l’idea che un certo numero di paesi membri, il nocciolo duro appunto, avrebbe dovuto porsi come vagone di testa della futura unione monetaria: Francia, Germania e i paesi del Benelux (v. anche Belgio; Paesi Bassi; Lussemburgo) avrebbero dovuto trainare gli altri paesi verso la moneta unica (v. Euro) e verso nuovi stadi di sviluppo del processo di integrazione politica.

Helmut Kohl dovette scendere in campo di persona per evitare attriti diplomatici con il governo italiano: il problema era molto avvertito, perché il fallimento dell’unione monetaria, della moneta unica, poteva dipendere proprio dal mancato rispetto dei parametri di Maastricht (v. Criteri di convergenza) da parte non di tutti ma di alcuni paesi membri, tra i quali l’Italia.

Il problema del nocciolo duro esplose di colpo: tutti ne parlavano, alcuni per elogiarlo altri per criticarlo, ma indubbiamente entrò nel gergo politico europeo e da quel momento non ne uscì più.

Resta famosa la frase di Kohl sul fatto che non poteva essere la nave più lenta a determinare la velocità dell’intero convoglio europeo: nonostante l’abilità diplomatica del cancelliere tedesco, che seppe ricucire gli strappi con i paesi esclusi dal progetto di nocciolo duro, soprattutto con l’Italia, ma anche rispetto al Regno Unito, il progetto continuò a essere visto con una sorta di sospetto, in particolare, per due motivi.

Da una parte, perché parlare di nocciolo duro significava in un modo o nell’altro fare una sorta di classifica di merito tra gli Stati membri: i più “bravi” vanno avanti, gli altri arriveranno dopo. Ma non solo, perché, dall’altra parte, vi era un altro problema, se si vuole meno politico, ma altrettanto fondamentale: il concetto di nocciolo duro avrebbe sì potuto contribuire ad imprimere una maggiore velocità al processo di integrazione, avrebbe sì potuto contribuire a raggiungere gli obbiettivi che ci si era prefissati di comune accordo ma che non si era riusciti a raggiungere, ma nulla avrebbe potuto evitare che l’idea del nocciolo duro avrebbe anche potuto rivolgersi contro lo stesso processo di integrazione, minandolo dalle fondamenta, in altre parole, minando la ben nota politica dei “piccoli passi” che fin dalla Dichiarazione Schuman del 1950 aveva contraddistinto il processo di integrazione europea.

Come disse un esponente di spicco della stessa CDU tedesca, che si spaccò sulla proposta Schäuble, l’idea di una sorta di “Europa carolingia”, alla fine, non solo avrebbe potuto fruttare problemi per la politica estera tedesca, ma sarebbe potuta diventare una “bomba a tempo” contro il processo di unificazione europea.

D’altro canto, la reazione francese fu emblematica: in apparenza dichiarò la propria contrarietà a stilare una classifica di paesi “bravi” e di paesi “cattivi”, ma, nella sostanza, non si distaccò di molto dalle tesi di Schäuble, in quanto fu proprio in risposta a queste che il primo ministro Édouard Balladur elaborò un concetto simile a quello di nocciolo duro, ma forse politicamente meno impegnativo, ossia, quello di Europa a “cerchi concentrici”. Da un punto di vista politico era un concetto meno forte e radicale di quello tedesco, ma sostanzialmente non se ne distaccava di molto, perché l’idea base era sempre la stessa, ossia quella di impedire che la velocità del convoglio europeo dipendesse dalla nave più lenta. Era un concetto più sfumato, perché non escludeva a priori nessuno Stato, ma la sostanza non si discostava di molto dalla proposta tedesca, tanto è vero che John Major, allora premier inglese, non esitò a criticare tanto il progetto tedesco quanto il progetto francese.

La diatriba politica, come detto, scoppiò e non si fermò più: Lisbona espose le sue preoccupazioni, cui si aggiunsero quelle dell’Austria, paese che sarebbe entrato l’anno seguente, nel 1995.

L’idea del nucleo duro nella prima Risoluzione del PE del 1994 in materia

Intervenne, a questo punto, il Parlamento europeo, dedicando un’apposita seduta, il 28 settembre 1994, al problema dell’Europa a più velocità. Il Parlamento, quasi all’unanimità, approvò una Risoluzione in materia. Dopo aver riaffermato la propria visione di un’Unione nella quale tutti gli Stati membri solleciti nel procedere sulla via dell’integrazione avrebbero dovuto avere pari diritti e doveri, dopo aver ribadito la propria contrarietà a che fossero esclusi in modo aprioristico dall’Unione Stati membri desiderosi e in grado di continuare i propri sforzi di integrazione, la Risoluzione espose in modo conciso ma chiaro due concetti fondamentali.

Da un lato, il Parlamento bocciava «l’idea di un’Europa “alla carta” nella quale ogni governo avrebbe il diritto di dissociarsi da qualunque politica comunitaria», mentre, dall’altro lato, affermava che, qualora «una piccola minoranza di Stati» avesse cercato di impedire qualsiasi progresso in occasione della Conferenza intergovernativa del 1996», sarebbe stato necessario trovare modalità che consentissero agli Stati che lo desideravano di «portare avanti ugualmente i loro sforzi di integrazione europea».

Fa così l’ingresso ufficiale in una Risoluzione del Parlamento europeo il concetto di nocciolo duro, che poi, con diverse sfumature e anche parziali trasfigurazioni rispetto al concetto originario, sarà alla base del sistema delle cooperazioni rafforzate introdotto con il Trattato di Amsterdam.

Il nucleo duro: attualità e prospettive

Dopo la Risoluzione del Parlamento europeo il dibattito politico e istituzionale sul concetto di nocciolo duro si affermò in misura crescente. Una delle prese di posizioni più note a riguardo fu il discorso di Joschka Fischer, allora ministro degli Esteri tedesco, all’Università Humboldt di Berlino del 12 maggio 2000, nel quale, dopo aver tessuto le lodi della politica dei “piccoli passi” degli anni Cinquanta, si affermava che per le sfide attuali europee era necessario un diverso approccio, appunto, quello della differenziazione dei gradi di integrazione, che è poi una sfumatura del concetto di nocciolo duro. Si fecero gli esempi dell’Euro e degli Accordi di Schengen, ma il problema politico più importante che Fischer disse di voler affrontare ricorrendo al concetto di “nocciolo duro” era quello dell’Allargamento.

Il problema fondamentale, secondo l’allora ministro degli Esteri tedesco, era quello di trovare il giusto bilanciamento tra la politica dei “piccoli passi” propria dell’origine del processo di integrazione e la politica del “nocciolo duro” propria, invece, della fase di avanzamento in cui si trovava il processo di integrazione stesso, bilanciamento necessario per evitare una perdita di identità europea e di coesione interna.

Dopo aver ricordato le tesi più discusse, come quella di Delors di effettuare una distinzione sulla base dei sei Stati fondatori e quella di Schmidt e Giscard d’Estaing di usare invece come criterio di discrimine l’adozione dell’euro, e dopo aver ricordato proprio la proposta del 1994 della CDU tedesca, che si riconobbe avere il grave difetto di lasciare fuori dal nocciolo duro uno dei paesi fondatori, vale a dire l’Italia, Fischer esponeva la propria idea di nocciolo duro: nessuna accelerazione verso una federazione europea avrebbe potuto escludere a priori due paesi, la Germania e la Francia, attorno ai quali sarebbe dovuto nascere un “centro di gravità” di paesi d’accordo su un maggiore sviluppo dell’integrazione in determinati settori, comunque sia, lasciando sempre aperta la possibilità di entrare a far parte di questo gruppo d’avanguardia a tutti quei paesi che inizialmente non avevano invece i requisiti per entrare a farne parte.

Il concetto, se si vuole, è il medesimo di quello espresso nella Risoluzione del 1994 del Parlamento europeo: nessuno Stato membro può venire obbligato a fare passi oltre quanto possa o voglia, ma, allo stesso tempo, nessuno Stato membro che non possa o voglia procedere non potrebbe obbligare in questo senso anche gli Stati che, invece, vorrebbero accelerare il processo di integrazione.

Questa è ancora oggi la sostanza del concetto di nocciolo duro: nessuna possibilità di obbligare gli Stati a proseguire in modo più veloce sulla via dell’integrazione, ma egualmente nessuna possibilità di evitare che questo maggiore sviluppo dell’integrazione possa essere per questo bloccato.

Davide Galliani (2010)

Bibliografia

Cannone A., Le cooperazioni rafforzate: contributo allo studio dell’integrazione differenziata, Cacucci, Bari 2005.