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Normalizzazione

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Con il termine “normalizzazione”, in ambito europeo, s’intende quel processo di Armonizzazione delle norme e degli standard tecnici che stabiliscono criteri e caratteristiche di prodotti, servizi e processi (v. anche Ravvicinamento delle legislazioni). Tali norme contribuiscono ad assicurare l’idoneità di prodotti e servizi all’impiego indicato, nonché la loro comparabilità e compatibilità. Il processo di normalizzazione è dunque fondamentale per garantire l’accesso e la libera circolazione nel mercato interno, eliminando gli ostacoli tecnici e le barriere legali ed evitando ai produttori di fabbricare prodotti diversi a seconda del paese di destinazione.

L’approccio all’armonizzazione tecnica si è evoluto nel corso del tempo, la chiave di volta collocandosi nel 1985 con la pubblicazione del Libro bianco (v. Libri bianchi) sul completamento del Mercato unico europeo, fortemente voluto dall’allora Presidente della Commissione europea, Jaques Delors. Nel documento chiaramente si mette in luce la necessità, dopo il completamento dell’Unione doganale nel 1968, di dare un nuovo impulso al perseguimento del mercato interno, concepito come uno spazio libero da ogni tipo di barriera agli scambi commerciali, sia essa fisica, tecnica, amministrativa o fiscale. Per raggiungere l’obiettivo del mercato interno entro il 31 dicembre 1992 il Libro bianco individuava una strategia, successivamente tradottasi, anche se non nella sua interezza, nell’Atto unico europeo (AUE) adottato nel 1996. Pilastri di questa strategia sono: la possibilità di ricorrere in maniera generalizzata alla Maggioranza qualificata (tranne che per le questioni fiscali, la Libera circolazione delle persone e i diritti dei lavoratori dipendenti) come previsto dal nuovo articolo 100A dell’AUE (ora articolo 95) sul ravvicinamento delle legislazioni per l’instaurazione del mercato interno; un nuovo sistema di armonizzazione tecnica e di normalizzazione (il cosiddetto “nuovo approccio” lanciato con la Risoluzione del Consiglio dei ministri del 7 maggio 1985), che consiste nel limitare le direttive di armonizzazione ai requisiti essenziali, delegando la definizione delle specifiche tecniche ad organismi di standardizzazione (cosiddetto “rinvio alle norme”) e applicando il principio del mutuo riconoscimento.

Fino al 1985 la Commissione europea perseguiva l’eliminazione degli ostacoli creati dalle differenze nazionali nelle specifiche tecniche di prodotto attraverso l’uniformazione di queste ultime a livello europeo: venivano infatti predisposte direttive (v. Direttiva) di armonizzazione estremamente minuziose e laboriose, che regolamentavano un determinato settore attraverso dettagliate specifiche descrittive e requisiti tecnici e con complesse procedure di omologazione (famosa la direttiva sul cacao). È chiaro che un tale sistema, oltre a essere estremamente faticoso poiché gli Stati membri dovevano accordarsi e negoziare su ogni dettaglio, aveva il grande limite di prevedere che le regole tecniche fossero emanate da autorità pubbliche, con tempi e procedure troppo lunghe per stare al passo con le innovazioni di mercato e soprattutto senza il coinvolgimento degli operatori e organismi del settore.

Con il “nuovo approccio” il legislatore comunitario si limita invece a definire i requisiti essenziali, ritenuti d’interesse collettivo, in materia di salute, sicurezza e soglie minime di qualità, che devono essere soddisfatti affinché i prodotti possano essere messi in libera circolazione nella Comunità. La definizione delle specifiche tecniche di cui gli operatori hanno bisogno per progettare e fabbricare prodotti conformi ai requisiti essenziali è demandata agli organismi europei di normalizzazione (OEN), che approvano le necessarie norme armonizzate. Queste sono poi trasformate in norme tecniche nazionali da parte degli organismi nazionali di normalizzazione (ONN) e vengono recepite mediante atto statale, cosicché possa operare in ciascuno Stato la presunzione di conformità. Gli OEN sono il Comitato europeo di normalizzazione elettrotecnica (CENELEC), l’Istituto europeo di normalizzazione per le telecomunicazioni (ETSI) e il Comitato europeo di normalizzazione (CEI) con una competenza su tutti gli altri settori. Tali organismi ricevono mandati di normalizzazione dalla Commissione. Tuttavia, le norme da essi prodotte non hanno carattere obbligatorio; solamente le amministrazioni nazionali sono tenute a riconoscere ai prodotti che le applicano una presunzione di conformità ai requisiti essenziali. Nel caso in cui il fabbricante non si attenga a tali norme armonizzate sarà tenuto a provare la conformità dei suoi prodotti ai requisiti fondamentali sottoponendoli alle previste procedure. Sono sempre previste clausole di salvaguardia, per cui le autorità nazionali, in casi eccezionali e particolarmente rischiosi, possono bloccare la commercializzazione di un prodotto con attestato di conformità, informandone la Commissione.

Qualora la procedura di fabbricazione non faccia riferimento specifico a norme armonizzate comunitarie, la libera circolazione è garantita attraverso la previsione di procedure di valutazione della conformità (v. anche Libera circolazione delle merci), il riconoscimento reciproco dei risultati delle prove e la fissazione di norme armonizzate relative al funzionamento degli organismi nazionali di certificazione. Tali organismi sono notificati alla Commissione e le autorità di tutti i paesi membri sono tenute, di norma, a riconoscere i certificati da essi rilasciati, proprio grazie al principio del mutuo riconoscimento. Nel 1989 il sistema europeo di armonizzazione tecnica è stato integrato da una nuova risoluzione del Consiglio relativa a un approccio globale in materia di certificazione e valutazione della conformità, poi completato con la decisione 93/465/CEE sul marchio CE di conformità. Tale marcatura indica che il prodotto è stato sottoposto a tutte le procedure di valutazione previste e pertanto può liberamente circolare nel mercato comunitario.

I costi della normalizzazione sono piuttosto alti e, trattandosi di un’attività volontaria basata sul consenso, sono in gran parte a carico delle parti interessate. La Commissione vi contribuisce per un ammontare compreso tra i 15 e 20 milioni di euro all’anno (pari circa al 5% delle spese complessive del processo), in particolare sostenendo gli OEN cui affida i mandati di normalizzazione.

Il 18 ottobre 2004, la Commissione inviava al Consiglio e al Parlamento europeo una Comunicazione sul ruolo della normalizzazione europea nel quadro delle politiche e della legislazione europea in cui veniva espresso un bilancio positivo sulla normalizzazione come strumento complementare ma essenziale delle politiche europee per l’effettivo funzionamento del mercato interno. Le norme armonizzate, volontarie ma nello stesso tempo comuni a tutta l’Europa, offrono infatti numerosi vantaggi: semplificano il quadro legislativo, rimuovono le barriere al commercio, garantiscono l’interoperabilità e la qualità di merci e servizi, forniscono informazioni affidabili ai cittadini, promuovono la concorrenza e consentono alle imprese di ridurre i costi di vendita e di produzione (poiché permettono di superare la frammentazione dei mercati e di realizzare economie di scala), rafforzando così la competitività complessiva del sistema imprenditoriale europeo (v. anche Politica europea di concorrenza). Infine, non bisogna dimenticare che il processo di normalizzazione è guidato dalle imprese e gestito dagli organismi di normalizzazione europei e nazionali, che, grazie alla loro competenza e maggiore flessibilità rispetto alle autorità pubbliche, permettono una continua evoluzione del sistema normativo per tener conto degli sviluppi tecnologici, abbandonando per sempre il carattere statico delle direttive basate sul vecchio approccio. Ciononostante, è sempre più necessario accelerare il processo di normalizzazione e garantire al tempo stesso un coinvolgimento maggiore di tutte le parti interessate (quali, ad esempio, le associazioni di lavoratori o di consumatori, ovvero i gruppi di interesse in materia di protezione ambientale), per poter rispondere meglio alle esigenze in continua evoluzione delle imprese, in particolare nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (v. Politica dell’informazione).

Elisabetta Holsztejn (2007)