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Pleven, René

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P. (Rennes 1901-Parigi 1993) è profondamente segnato dalla figura del padre, bretone, militare e repubblicano. Il colonnello, direttore di studi nella prestigiosa scuola militare di Saint-Cyr, si schiera a sostegno del capitano Dreyfus, ingiustamente accusato nell’affaire che provoca la più turbolenta tempesta politica della fine del XIX secolo in Francia. Allievo brillante, il giovane P. studia legge e scienze politiche alla Sorbona di Parigi e all’École libre des sciences politiques. Nel 1924 scrive una tesi sugli operai nell’agricoltura britannica durante la Grande guerra. Al principio degli anni Venti è vicino ad un gruppo di studio del movimento di Marc Sangnier, la Jeune république, che tenta di conciliare cattolicesimo e democrazia, e diventa membro della principale organizzazione giovanile cattolica, l’Association catholique de la jeunesse française (ACJF). Inoltre è attivo nei circoli briandisti, che promuovono l’idea di un’unità europea e sostengono la Società delle Nazioni (SDN), e partecipa alla fondazione del Groupement universitaire pour la SDN (GUSDN) alla fine del 1922. Qui incontra la sua futura moglie, Anne Gompard, il cui padre, dreyfusiano della prima ora, è stato deputato radicale della Seine. Il matrimonio, nel 1924, lo introduce negli ambienti di centrosinistra della borghesia parigina e rinsalda la sua visione del mondo repubblicana e centrista. Nel 1924-1925 fallisce nel tentativo di entrare all’Inspection des finances, una delle strade più prestigiose per accedere all’alta amministrazione, e il giovane ambizioso decide di cercarsi un’occupazione negli affari.

Mentre ancora è incerto sul suo avvenire professionale, il mondo degli affari lo mette in contatto con uno dei suoi due maestri politici, Jean Monnet. In seguito alla militanza nel GUSDN P. viene presentato all’ex vice segretario generale della SDN. Questo primo incontro, avvenuto nel 1925 o forse qualche anno prima secondo le sue memorie, rappresenta «una delle grandi opportunità della sua vita» (v. Pleven, 1984, p. 21).

L’ex direttore della sezione informazioni della SDN, Pierre Comert, lo raccomanda a Monnet che cerca un assistente. Dopo aver lasciato la SDN e aver risanato l’impresa paterna a Cognac Monnet, nel 1926, è diventato vicepresidente della Blair Foreign Corp., la filiale francese di una rinomata società di investimenti americana, la Blair and Co., legata alla Chase Manhattan Bank. Assumendo P. nel 1927, Monnet lo introduce nel mondo della finanza internazionale e nella sua vasta rete di relazioni. Per due anni P. accompagna Monnet nei suoi frequenti viaggi nell’Europa centrale orientale e lavora al rafforzamento delle monete polacca e rumena, partecipando al negoziato molto delicato sui prestiti di stabilizzazione – un tirocinio intenso e proficuo che lo mette in contatto con i ceti dirigenti in Polonia e Romania, con la Banca di Francia, la Banca d’Inghilterra, le grandi banche d’affari europee, ma anche con il gruppo Blair in America, e in particolare con un giovane avvocato destinato a una brillante carriera, John Foster Dulles. Nel 1929, incoraggiato da Monnet che in quel periodo si stabilisce negli Stati Uniti, P. accetta un posto di responsabilità all’Automated telephone company. Creata a Londra da una società di Chicago cliente della Blair, la Theodore Gary and Co., questa società intende trapiantarsi in Europa per commercializzare un prodotto nuovo, il telefono automatico, e stabilire alleanze contro la sua potente concorrente americana, la ITT. Malgrado la crisi del 1929, P. ottiene ottimi risultati in questo settore di punta diventando direttore nel 1934 e poi direttore generale per l’Europa nel 1939, senza interrompere i suoi stretti rapporti con Monnet. In quindici anni acquista una notevole esperienza di negoziati internazionali, una coscienza chiara della potenza industriale dell’America del Nord e una visione globale dell’Europa.

Quando scoppia la Seconda guerra mondiale P. è chiamato nell’aviazione, ma poi è rapidamente convocato da Monnet, presidente del Comité de coordination franco-britannique (CCFB), che gestisce in comune le importazioni dei due paesi. Questo periodo drammatico per P. rappresenta «un tirocinio politico e diplomatico […] ad una velocità accelerata» (v. Bougeard, 1994, p. 66). Per conto di Monnet negozia a due riprese l’acquisto di materiale aeronautico negli Stati Uniti come capo della missione francese, nel dicembre 1939 e poi nel marzo-aprile 1940. Dopo l’invasione tedesca, nel giugno 1940 partecipa alla stesura di un piano d’unione franco-britannico redatto da Monnet sotto l’incalzare degli eventi e accettato dal gabinetto di guerra britannico, per sostenere – invano – il governo traballante di Paul Reynaud. Il suo successore, il maresciallo Philippe Pétain, chiede l’armistizio. A Bordeaux, dove accompagna in missione Monnet il 19 e 20 giugno, P. assiste al tracollo del potere in Francia. Di ritorno a Londra, si confronta con una scelta difficile tra la visione di Monnet – che si dimette dal CCFB e parte per Washington, contando sulla mobilitazione industriale americana, per sostenere la missione d’acquisto britannica – e quella di Charles de Gaulle, effimero sottosegretario di Stato alla Difesa, che intende proseguire la lotta da Londra e incarnare la Francia legittima di fronte al governo di Vichy. Dopo molte incertezze P., malgrado il parere contrario di Monnet, alla fine di giugno decide di unirsi alle Forces françaises libres.

Dall’estate del 1940 si impone rapidamente come uno dei principali collaboratori di de Gaulle, che gli affida alcune missioni delicate a Londra, in Africa e negli Stati Uniti, in merito all’impero, alle questioni economiche e agli affari esteri. Collabora alla stesura dell’accordo del 7 agosto 1940 fra il governo britannico e i Français libres; poi, dopo un viaggio movimentato, insieme al comandante Leclerc de Hauteclocque e al capitano Hettier de Boislambert, e con l’aiuto di Félix Éboué, alla fine di agosto riesce a ottenere l’adesione del Ciad alla France libre, una tappa importante nell’adesione di quasi tutta l’Africa equatoriale francese (AEF) e del Camerun. Si tratta di un successo fondamentale, in quanto raggruppa intorno alla France libre 12 milioni di abitanti e una notevole base territoriale. In autunno P. diventa segretario generale dell’AEF a Brazzaville, presso l’alto commissario francese Edgar de Larminat. Alla fine del 1940 è richiamato a Londra da de Gaulle, che gli affida una delle quattro grandi direzioni amministrative civili create all’epoca – quella degli affari esteri ed economici – e lo manda a Washington. Tra la fine di maggio e l’ottobre 1941 è incaricato di perorare negli Stati Uniti la causa della France libre: procurarle armi e approvvigionamenti, procedere verso il riconoscimento diplomatico, ottenere l’apertura del prestito alla Francia. Nominato in autunno commissario nel Comité national français (CNF), embrione del governo costituito nel settembre 1941, poi nel 1942 vicepresidente del CNF e membro del Conseil de défense de l’empire, P. sviluppa la sua esperienza governativa. In seguito fa parte del più solido governo della France libre formato ad Algeri nel 1943, il Comité français de libération nationale (CFLN). Si occupa delle colonie e mette a profitto la sua esperienza nell’AEF per preparare la conferenza di Brazzaville del gennaio 1944, in cui si riesamina la politica coloniale della Francia. Nel CFLN ritrova Monnet, incaricato degli armamenti e degli approvvigionamenti. Dopo la Liberazione P. partecipa ovviamente al governo provvisorio della Repubblica francese del generale de Gaulle (GPRF, agosto 1944); è incaricato delle Colonie e poi in dicembre delle Finanze. Durante l’inverno 1944-1945, in un celebre conflitto si oppone a Pierre Mendès France, ministro dell’Economia nazionale e sostenitore di una riforma economica e monetaria radicale, mentre P. propone una soluzione più pragmatica, indubbiamente meno efficace ma meno controversa politicamente, che convince de Gaulle e il Consiglio dei ministri. Nell’aprile 1945 sostituisce Mendès France dimissionario e aggiunge l’Economia al portafoglio delle Finanze. Quindi fa ratificare gli accordi di Bretton Woods e prepara una serie di riforme importanti, fra cui la svalutazione del franco, la creazione del Commissariato generale del Piano, affidato a Monnet, e la nazionalizzazione della Banca di Francia. Nel gennaio 1946 lascia il governo in seguito alle dimissioni del generale de Gaulle.

Al momento della Liberazione quest’uomo d’affari sedotto dalla carriera politica deve costruirsi una legittimità fondata sul responso delle urne. Fra il 1945 e il 1950 si stabilisce nella sua regione natale; nel settembre 1945 diventa consigliere generale del cantone di Dinan-Est, poi in ottobre deputato delle Côtes-du-Nord. Si attiva per modernizzare la regione e diventa un notabile stimato che dispone di due efficaci reti d’influenza: il “Petit Bleu des Côtes-du-Nord”, giornale di cui diviene il direttore politico nel marzo 1946, e il Comité d’études et de liaison des intérêts Brétons (CELIB), un gruppo di pressione creato nel 1950 che P. dirige a partire dal 1951. Sebbene de Gaulle lo incoraggi a iscriversi in una lista del Mouvement républicain populaire (MRP cristiano-democratico), poi a partecipare al Rassemblement pour la France (RPF), P. aderisce all’Union démocratique et socialiste de la Résistance (UDSR), un piccolo partito di centrosinistra uscito dalla Resistenza che ha contribuito a fondare nel 1945 e che svolge un ruolo di cerniera fra i grandi partiti della IV Repubblica. Nel maggio 1947 P. ne è eletto presidente e nel 1949 è nominato presidente del Consiglio generale delle Côtes-du-Nord (rieletto fino al 1976). A capo di un partito modesto ma cruciale per costruire le maggioranze, nel giro di alcuni anni P. diventa un personaggio chiave della prima metà degli anni Cinquanta, forte del suo radicamento politico locale, ed è spesso invitato a partecipare ai governi detti “Terza forza”.

Tra la fine del 1949 e la metà del 1954 P. si trova quasi senza interruzione al centro dello Stato: dal 27 ottobre 1949 al 24 giugno 1950 è ministro della Difesa nel governo di Georges Bidault; dall’11 luglio 1950 al 28 febbraio 1951 è presidente del Consiglio; dal marzo all’agosto 1951 è vice presidente del Consiglio nel governo Queuille; dall’agosto 1951 al gennaio 1952 è di nuovo presidente del Consiglio; alla fine ritrova il ministero della Difesa in tre governi successivi (Antoine Pinay, René Mayer e Joseph Laniel) dall’8 marzo 1952 al 12 giugno 1954 – è il ministro della Difesa in carica più a lungo sotto la IV Repubblica. Guida una politica estera atlantista ed europea e anticomunista all’interno.

Convinto fautore dell’Alleanza atlantica, nel 1950 è al centro di un’ambiziosa iniziativa francese – destinata a fallire – diretta a realizzare una difesa integrata su scala atlantica, con un budget comune e limiti di sovranità politica ed economica (v. Vial, 1997, pp. 307-342). Con Bidault nel 1954 assume la vicepresidenza di un gruppo privato atlantista, l’Association française pour la communauté atlantique (AFCA), un incarico che conserverà a lungo.

P. è anche un europeista convinto. Molto vicino a Monnet, è uno dei pochi al corrente del Piano Schuman qualche giorno prima della dichiarazione del 9 maggio 1950, che nel 1951 sfocerà nella Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). La difende con i suoi colleghi di governo ed è lui a far ratificare il trattato CECA (v. Trattato di Parigi) dall’Assemblea nazionale nel dicembre 1951, durante la sua seconda presidenza del Consiglio. Quando, nel luglio 1950 ha assunto per la prima volta quest’incarico, dopo una vacanza governativa prolungata nel momento in cui scoppia la guerra di Corea, il contesto internazionale è molto teso, le pressioni americane per il riarmo immediato della Repubblica Federale Tedesca (v. Germania) si accentuano, il suo progetto atlantico fallisce e le élites francesi sono disorientate. La sua amicizia con Monnet si rivela cruciale: l’antico mentore, con il quale è in stretto contatto, lo avvicina alla fine di settembre del 1950 all’idea di un esercito europeo e lo aiuta a preparare, con grande riservatezza, quello che in ottobre diventerà il Piano Pleven Il piano prevede un esercito europeo di 100.000 uomini e consente la partecipazione delle truppe tedesche, ma senza ricostituire un esercito tedesco-occidentale indipendente. P. riesce anche a farlo accettare dal suo governo il 21 ottobre, qualche giorno dopo dall’Assemblea e con difficoltà dal Consiglio dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) l’8 dicembre 1950. Nelle forze della NATO sotto il comando del Supreme Allied Commander Europe (SACEUR) – nel 1951 il generale Dwight Eisenhower – si inserirebbe quindi un esercito europeo integrato, ormai battezzato Comunità europea di difesa (CED). Il trattato CED è firmato il 27 maggio 1952, ma in seguito si abbina a una Comunità politica europea (CPE) destinata a controllare l’esercito europeo. P. non è più in grado di influire su questi sviluppi. Nella storica seduta dell’Assemblea nazionale sulla CED, il 30 agosto 1954, tenta invano di impedire che il trattato sia accantonato senza essere esaminato, dopo anni di controversie, e vive molto dolorosamente questo fallimento.

Un altro elemento spicca nell’azione di governo di P.: essendo convinto dell’azione psicologica difensiva e offensiva nella Guerra fredda, lancia una grande campagna repressiva contro l’agitazione comunista e realizza un insieme di strutture che devono organizzare quest’azione psicologica sul piano militare e civile. La più nota è senz’altro l’agguerrito movimento anticomunista Paix et Liberté, creato all’inizio di settembre del 1950 e finanziato da fondi segreti della Presidenza del Consiglio. La direzione è affidata al deputato radicale Jean-Paul David. Ma è solo uno degli aspetti della complessa organizzazione costruita all’epoca alla Difesa e alla Presidenza del Consiglio da P., che alla fine del 1953 propone anche (invano) un coordinamento dell’azione psicologica a livello della NATO (v. Villatoux, 2005). In materia coloniale P. è un liberale moderato, fautore delle riforme, ma l’Union française per lui resta molto importante: è attratto dall’idea di Eurafrica, in cui vede la modernizzazione del rapporto coloniale. Al governo non riesce a evitare che il conflitto indocinese si impantani e che nell’Africa settentrionale si inaspriscano le tensioni. Il 7 maggio 1954 quest’uomo profondamente attaccato all’esercito – e che si è adoperato per la sua modernizzazione – è oggetto delle critiche crescenti degli ambienti militari e deve assumersi la responsabilità della disfatta di Dien Bien Phu che accelera l’indipendenza dell’Indocina.

A questo punto P. inizia una traversata del deserto: è battuto dal rivale François Mitterrand alla presidenza del suo partito nell’ottobre 1953, si oppone al nuovo capo del governo Mendès France, quindi è emarginato dall’attrazione per il mendesismo che sposta il suo partito verso il centrosinistra mentre lui si orienta verso il centrodestra. Al di là dei conflitti generazionali e politici la rivalità con Mitterrand è legata anche alle opzioni geopolitiche dei due uomini: P. accorda la priorità alla costruzione europea sul legame con l’Union française, mentre all’epoca Mitterrand privilegia quest’ultima, ricentrata sull’Africa (v. Duhamel, 1995). Dedicandosi ai suoi mandati regionali, P. mantiene l’impegno europeo nel Comitato d’azione per gli Stati uniti d’Europa di Monnet e nell’Assemblea parlamentare della CECA come deputato a partire dal giugno 1956. Alla fine della IV Repubblica tenta invano di formare un governo, nel maggio 1958, ed è per breve tempo ministro degli Esteri nel governo di Pierre Pflimlin dal 13 maggio al 1° giugno. Ma ormai non svolge più un ruolo di primo piano. Sotto la V Repubblica P. condivide il sostegno discreto dei “centristi d’opposizione”. È favorevole alla nuova Costituzione – e questo provoca la sua rottura con l’UDSR – e alla politica algerina del generale de Gaulle, ma respinge il presidenzialismo del regime e la sua politica europea e atlantica. Nel 1966 all’Assemblea si schiera energicamente contro il ritiro francese dall’organizzazione militare del patto atlantico e sostiene le proteste dell’AFCA, di cui è sempre vicepresidente, difendendo un “atlantismo rinnovato” che consenta di «mettere in risalto all’interno del sistema atlantico […] l’elemento europeo» (v. Pleven, 1966, pp. 19-28). Solo sotto Georges Pompidou P. torna al governo come guardasigilli fra il 1969 e il 1973. Si impegna nella campagna per il referendum del 1972 per l’Allargamento della Comunità economica europea (CEE), ma si dimette dopo la sconfitta nelle elezioni legislative del marzo 1973. Allo scadere del suo mandato di presidente del Consiglio generale nel febbraio 1976 si ritira dalla vita pubblica

Il centro di gravità della sua lunga carriera è stato in fondo sempre l’impegno europeo: qualche mese prima della sua scomparsa, nel gennaio 1993, ha invitato a votare «sì, risolutamente sì» (v. Froment-Meurice, 1993, p. 340) al referendum del 20 settembre 1992 sul Trattato di Maastricht.

Valérie Aubourg (2010)  

Bibliografia

Bougeard C., René Pléven. Un Français libre en politique, Presses Universitaires de Rennes, Rennes 1994.

Duhamel É., Pleven et Mitterrand, in “Vingtième Siècle”, LII, n. 45, gennaio-marzo 1995.

Froment-Meurice H., Images de René Pleven, in “Commentaire”, XVI, n. 62, 1993.

Pleven R., L’Union européenne: une construction continue et irréversible, Fondation Jean Monnet, Lausanne 1984, rist. in Témoignages à la mémoire de Jean Monnet, Fondation Jean Monnet, Lausanne 1989.

Pleven R., La France et l'Alliance atlantique, in L'Avenir de l'alliance atlantique, AFCA, Paris 1966.

Vial P., De la surenchère atlantiste à l'option européenne, in G. Bossuat, A. Wilkens (a cura di), Jean Monnet, l'Europe et les chemins de la Paix, Publications de la Sorbonne, Paris 1997.

Villatoux P., Villatoux M.-C., La République et son armée face au “péril subversif”, Les Indes Savantes, Paris 2005.