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Comitato economico e sociale

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Durante i negoziati per l’attuazione del Piano Schuman le varie delegazioni coinvolte nelle trattative decisero che sarebbe stato opportuno coinvolgere nella futura Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), viste le sue caratteristiche e le sue finalità, alcuni rappresentanti delle associazioni dei lavoratori, almeno quelle di matrice non comunista. A questa decisione corrispondeva d’altronde l’interesse di alcuni sindacati, in particolare quelli cattolici, per la costruzione europea (v. anche Confederazione europea dei sindacati). Due leader sindacali – il belga Paul Finet e il tedesco Heinz Potthoff – furono così inseriti nella prima Alta autorità della CECA; venne inoltre creato un organo – il Comitato consultivo – che avrebbe dovuto fornire pareri all’Alta autorità, un organo composto da rappresentanti dei sindacati, delle associazioni imprenditoriali e di gruppi di “utilizzatori e commercianti” (v. anche Unione delle industrie della Comunità europea). In occasione del “rilancio dell’Europa” che avrebbe condotto ai Trattati di Roma, i governi dei “Sei” decisero al contrario che il negoziato sarebbe stato compito di esperti e di diplomatici sotto il controllo delle autorità nazionali, senza quindi un coinvolgimento diretto di membri delle associazioni rappresentative delle Parti sociali. Ciò in parte spiega lo scarso spazio dedicato sia dai negoziatori, sia dal Trattato al possibile sviluppo di una Politica sociale europea e al ruolo di quegli attori che avrebbero potuto mostrare interesse nei confronti di questi temi.

Ciò nonostante, alcune forze sindacali e il Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa, creato tra il 1955 e il 1956 da Jean Monnet, esercitarono pressioni affinché i futuri Trattati tenessero conto della funzione delle parti sociali. Solo nella fase conclusiva del negoziato, su spinta in modo particolare dell’Olanda (v. Paesi Bassi) e nonostante l’aperta opposizione della delegazione tedesca, si decise che nel Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) sarebbe stata prevista la creazione di un Comitato economico e sociale (CES), organo consultivo legato alla Commissione europea e al Consiglio dei ministri. Il Comitato, il quale aveva come modello analoghi organismi nazionali esistenti in alcuni paesi della Comunità (basti pensare, nel caso italiano, al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro – CNEL), avrebbe potuto esprimere pareri, dietro richiesta della Commissione e del Consiglio, su temi relativi a numerose politiche di rilievo economico e sociale; esso sarebbe stato composto su una base tripartita: rappresentanti “nazionali” di associazioni imprenditoriali, forze sindacali e gruppi degli “interessi diversi” (ad esempio associazioni professionali, degli artigiani, ecc.) scelti dai singoli Stati.

Il CES vedeva la luce nel 1958 con l’approvazione del regolamento interno; esso si articolava in una struttura amministrativa con un segretario generale (il primo fu il francese Jacques Genton) e in una assemblea, che si sarebbe riunita a intervalli regolari. Il primo presidente del CES fu il belga Roger de Staercke, amministratore delegato della Federazione delle industrie belghe, al quale due anni dopo sarebbe succeduto il leader sindacale belga Ludwig Rosenberg, inaugurando così la regola dell’alternanza tra rappresentanti dei tre gruppi.

Al momento della sua costituzione il CES parve suscitare forte interesse fra le organizzazioni rappresentative delle forze economiche e sociali dell’Europa dei Sei, e vennero così designati rappresentanti di spicco dei vari organismi nazionali. Ben presto, però, ci si rese conto che il CES, proprio per la sua natura consultiva e per la sua sostanziale subordinazione rispetto alle istituzioni europee, in particolare alla Commissione, poteva influire solo in misura marginale sul Processo decisionale della Comunità. Era spesso difficile comprendere quale fosse l’effettiva “ricaduta” dei pareri del CES sulle decisioni comunitarie e, in alcuni casi, i pareri, per quanto risultato di attente valutazioni e di accurati studi, raggiungevano la Commissione dopo che le decisioni erano già state prese. In più occasioni, soprattutto su spinta dei presidenti che si succedettero alla guida del CES, il Comitato esercitò pressioni al fine di ottenere più ampie competenze, ma senza esito; anzi, la Commissione parve spesso considerare il CES quale semplice struttura ausiliaria con compiti di natura tecnica e senza alcuna funzione “politica”. Tale situazione spinse già intorno alla metà degli anni Sessanta le associazioni imprenditoriali a indicare come rappresentanti funzionari dei propri uffici studi, ritenendo tra l’altro che fosse possibile – e più utile – influenzare il processo decisionale europeo attraverso un’azione di Lobbying esterna o con il coinvolgimento di propri membri nei numerosi comitati ad hoc che la Commissione prese a istituire al fine di esaminare singole questioni. Da parte, loro i sindacati continuarono a mostrare interesse nei riguardi del CES, il quale veniva spesso considerato come l’unica struttura europea che riconoscesse un ruolo ufficiale alle forze sindacali. Non vi è da stupirsi se numerosi pareri del CES fossero ispirati a una visione “progressista” delle scelte che la CEE avrebbe dovuto compiere e a una particolare attenzione per lo sviluppo di una efficace politica sociale.

La svolta vissuta dalla Comunità a partire dal 1969 con il Vertice dell’Aia ebbe influenza anche sulla sorte del CES. Come è noto, i leader europei presero a considerare la politica sociale come un obiettivo rilevante nel processo di integrazione e vi furono alcuni tentativi per un maggiore coinvolgimento delle parti sociali, in particolare dei sindacati, in alcune politiche comunitarie. In occasione del Vertice europeo di Parigi del 1972 si decideva che il Comitato economico e sociale potesse esprimere pareri in maniera autonoma sui temi di sua competenza. Questa scelta fu uno stimolo a una maggiore attività da parte del CES. Ciò nonostante, alla fine degli anni Settanta in ambito comunitario si esprimevano dubbi sulla utilità del Comitato. Inoltre, nel 1979 l’elezione a suffragio universale diretto del Parlamento europeo (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo) conferiva all’assemblea di Strasburgo un alto grado di rappresentatività e un certo prestigio, consentendole di proporsi come espressione delle esigenze, non solo dei cittadini dei paesi membri, ma anche delle necessità dei vari gruppi sociali, attraverso i partiti che tendevano a organizzarsi sulla base di grandi famiglie politiche (v. Partiti politici europei). Ciò privava il CES di uno dei suoi punti di forza: la convinzione di essere uno dei pochi strumenti in grado di far pervenire le istanze dei cittadini all’attenzione delle più importanti Istituzioni comunitarie.

La nomina alla guida della Commissione di Jacques Delors, la sua iniziativa per l’avvio di un regolare Dialogo sociale e l’atteggiamento delle grandi forze sindacali europee parvero favorire un rilancio del ruolo del CES, il quale, d’altronde, nella sua attività di studio si poneva spesso all’avanguardia nel proporre progetti per più forti forme di integrazione e per un incremento dei poteri della Comunità, in particolare negli ambiti sociale ed economico. Tra il 1988 e il 1989, il CES fu incaricato dalla Commissione di elaborare la base del testo della futura Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali. Nell’opinione di Delors la funzione del CES sarebbe risultata utile anche perché, essendo le decisioni del Comitato prese a maggioranza, ciò avrebbe significato un ovvio coinvolgimento di rappresentanti di associazioni imprenditoriali nella politica del presidente della Commissione a favore di precise competenze comunitarie in campo sociale. In effetti, la presa di posizione del CES risultò utile, ma la questione venne poi affrontata soprattutto a livello della Commissione e delle autorità governative.

Inoltre, l’apparente prevalenza di tendenze neoliberiste e la crisi di alcune grandi forze sindacali europee sembravano destinate a provocare un’interpretazione ancor più riduttiva delle competenze del CES. Su questo organo influiva d’altronde in maniera negativa la presenza delle forze sociali quale espressione delle organizzazioni nazionali, mentre si andava rafforzando la presenza dei gruppi di pressione e di interesse su base europea, dalla imprenditoriale Unione delle industrie della Comunità europea (UNICE) alla sindacale Confederazione europea dei sindacati. Né va, infine, trascurata la “concorrenza” portata al CES dal Comitato delle regioni. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, soprattutto fra i membri del gruppo del CES rappresentativo degli “interessi diversi”, si manifestò la tendenza a individuare per il Comitato nuovi compiti che gli consentissero di acquisire una diversa “identità”. A tale riguardo, partendo dalle considerazioni circa le trasformazioni vissute dalla società europea e dal prepotente emergere di nuove forme di associazionismo, spesso slegate dalle organizzazioni tradizionali (organizzazioni non governative – ONG, gruppi femministi, associazioni ambientaliste, ecc.), la leadership del CES puntò sulla possibilità che il Comitato desse espressione alle esigenze di quella che venne definita Società civile organizzata (SCO); nel settembre del 1993 il CES organizzava ad esempio un’importante conferenza su “L’Europa dei cittadini”. Va comunque sottolineato come il Comitato non trascurasse i suoi più tradizionali interessi e come cercasse tra l’altro di sviluppare stretti rapporti con analoghi organismi nazionali, non solo in ambito continentale, ma anche in paesi esterni all’Unione europea, dall’Africa all’America Latina.

Al momento il CES vive ancora questa fase di trasformazione, che è sottolineata dalla non facile convivenza fra la sua componente “tradizionale”, da un lato, e spinte verso la determinazione di nuovi obiettivi più coerenti con i mutamenti della società europea, dall’altro.

Antonio Varsori (2007)

Bibliografia

Toft-Nielsen P., Un bref historique du Comité economique et social depuis sa création en 1957, CES, Bruxelles 1994.

Van der Voort W.J., In Search of a role. The Economic and social committee in European decision making, University of Utrecht, Leiden 1997.

Varsori A. (a cura di), Il Comitato economico e sociale nella costruzione europea, Marsilio, Venezia 2000.

Varsori A., Politica e amministrazione nel Comitato economico e sociale europeo (1957-1998), in “Storia, amministrazione, costituzione. Annale dell’Istituto per la Scienza dell’Amministrazione pubblica”, n. 8, 2000.