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Estonia

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Inizialmente la transizione dell’Estonia verso l’Unione europea (UE) seguì un percorso simile a quello della Lettonia e della Lituania, prima di divergere a metà degli anni Novanta per poi riconvergere verso la fine del decennio. Allo stesso modo dei vicini meridionali, le relazioni dell’Estonia con l’UE furono instaurate il 27 agosto 1991, quando Bruxelles riconobbe l’indipendenza degli Stati baltici dall’Unione Sovietica, dichiarando che «era giunto il momento che la Lettonia, la Lituania e l’Estonia occupassero il loro legittimo posto tra i popoli d’Europa» (Foreign Broadcast Information Service: FBIS-SOV-91-173, 6 settembre 1991, p. 63).

La transizione dello Stato verso l’adesione all’UE fu inizialmente governata attraverso l’accordo di libero scambio che fu concluso il 18 luglio 1994 ed entrò in vigore il 1° gennaio dell’anno successivo. Tale accordo venne in seguito incorporato negli Accordi europei, firmato dall’Estonia con l’Unione europea il 12 giugno 1995. La firma degli Accordi con Estonia, Lettonia e Lituania rappresentò per l’UE il ritorno a casa dei tre Stati baltici: «Dopo molti anni di lontananza, l’evento rappresenta il ritorno degli Stati baltici nella famiglia europea» (Comunicato stampa del Consiglio dei ministri, 12 giugno 1996). L’accordo venne ratificato dal Riigikogu (Parlamento estone) il 1° agosto 1995 e dal Parlamento europeo il 15 novembre. L’accordo aveva l’obiettivo di fornire un quadro istituzionale che sostenesse l’integrazione dell’Estonia nell’Unione europea (v. Integrazione, metodo della). Oltre ad approfondire la cooperazione nel settore economico e commerciale, l’Accordo europeo facilitava anche il dialogo politico e la cooperazione culturale e finanziaria. Il 28 novembre 1995, subito dopo la ratifica dell’Accordo da parte del Parlamento europeo, l’Estonia presentò la sua candidatura per l’adesione all’UE.

Si ritenne che i criteri di Copenaghen (v. Criteri di adesione), pur rappresentando una base solida per valutare le credenziali politiche dei paesi candidati, non considerassero sufficientemente le specifiche condizioni dei singoli Stati. Nel dicembre 1995, quindi, il Consiglio europeo di Madrid richiese alla Commissione europea di redigere pareri (v. Parere) (avis) su ognuno dei nuovi paesi candidati che fossero pubblicati col nome di “Agenda 2000”. Il Consiglio decise inoltre di organizzare una conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) in vista dell’Allargamento dell’UE.

Sul versante estone, diversi organismi contribuirono all’adesione dello Stato all’UE, il più importante dei quali fu il Consiglio di alti funzionari statali. Il Consiglio comprendeva alti funzionari di tutti i ministeri del governo (eccetto il ministero della Difesa) e si riuniva due volte al mese per discutere sul coordinamento delle attività relative all’integrazione dello Stato nell’UE. Il Consiglio venne coadiuvato dall’Ufficio per l’integrazione europea, le cui principali responsabilità erano tenere aggiornato il primo ministro sul processo di integrazione e mantenere un data base completo riguardo all’Armonizzazione della legislazione estone con l’Acquis comunitario. L’Ufficio si occupava anche di apportare ogni modifica al programma nazionale per l’adozione dell’acquis richiesta dal processo negoziale e di aumentare la consapevolezza pubblica e il sostegno all’adesione dell’Estonia all’UE. Le attività del primo ministro, del Consiglio di alti funzionari statali e dell’Ufficio per l’integrazione europea furono strettamente monitorate dai tredici membri della multipartitica Commissione affari europei del Parlamento che venne istituita nel gennaio 1997.

Nel valutare singolarmente le candidature dei paesi, l’Unione europea riconobbe che alcuni Stati realizzavano maggiori progressi di altri e al summit di Lussemburgo nell’aprile 1997, il Consiglio europeo annunciò che aveva deciso «di convocare una serie di conferenze intergovernative bilaterali nella primavera del 1998 per avviare negoziati con Cipro, Ungheria, Polonia, Estonia, Repubblica Ceca e Slovenia sulle condizioni della loro adesione all’Unione e i conseguenti adeguamenti dei Trattati». Sebbene l’Estonia fosse rientrata in questa lista ristretta di candidati grazie soprattutto ai progressi compiuti sul fronte economico, rimaneva comunque il paese più povero tra i candidati dell’Europa orientale ad avviare i negoziati nel 1998, con un PIL pro capite pari ad appena il 23% della media europea. Riconoscendo la delusione dei vicini baltici per non essere stati inclusi nella prima ondata, Tallinn cercò di promuovere l’idea che l’inclusione dell’Estonia avrebbe portato benefici anche alla Lettonia e alla Lituania «facendo conoscere meglio all’UE i problemi e le prospettive di riforma di tutti e tre gli Stati» (v. Lofgren, 1998). Sul piano della sicurezza, si ritenne che avere almeno uno Stato baltico in “Occidente” avrebbe avvantaggiato tutti e tre, poiché qualsiasi minaccia di aggressione da parte della Russia verso un membro dell’UE avrebbe comportato gravi conseguenze per le relazioni della Russia con l’intera Europa, creando pertanto «una sorta di associazione tra il comportamento russo nei riguardi degli Stati baltici e la relazione generale dell’UE con la Russia» (v. Asmus, Nurick 1996, p. 134).

Il 31 marzo 1998, l’UE aprì i negoziati di adesione con la prima ondata di paesi candidati, subito dopo l’entrata in vigore dell’Accordo europeo il 1° febbraio. Esso fornì a ogni paese candidato un partenariato per l’adesione (v. anche Strategia di preadesione), in cui venivano definite «in un unico quadro le aree prioritarie di ulteriore intervento individuate nel parere della Commissione sulla candidatura dell’Estonia all’adesione all’Unione europea, gli strumenti finanziari disponibili per consentire al paese di realizzare tali priorità», nonché le condizioni cui sarebbe stata soggetta tale assistenza. All’epoca, tuttavia, la società estone attraversava una fase di crescente Euroscetticismo. In un sondaggio d’opinione condotto nel maggio 1998, solo il 44% dei cittadini estoni si espresse a favore dell’adesione all’UE e furono sollevate particolari critiche alla velocità del programma di riforme e all’impatto dell’adesione su questioni quali l’agricoltura e l’immigrazione. Inoltre, si riteneva che tale adesione potesse paralizzare l’impronta economica liberista dell’Estonia. Alcuni estoni arrivarono al punto di sostenere che attraversare il Golfo di Finlandia avrebbe significato un “ritorno al socialismo”.

Nel settembre 1998, la Commissione pubblicò la prima delle sue relazioni periodiche sui progressi dell’Estonia verso l’adesione, nella quale pur lodando il Parlamento estone per i progressi compiuti nelle riforme economiche si deplorava il fatto che il Parlamento non avesse ancora apportato le modifiche alla legge sulla cittadinanza «per facilitare la naturalizzazione dei bambini apolidi»

Il processo negoziale fu diviso in quattro fasi: controllo della legislazione, preparazione delle posizioni, negoziati e conclusione dell’Accordo di adesione. Al raggiungimento della penultima fase del processo, il governo formò una delegazione per condurre i negoziati con i rappresentanti dell’UE. Tale delegazione venne guidata dai vari ministri degli Esteri estoni e incluse rappresentanti di tutti i ministeri (escluso quello della Difesa), l’Ufficio dell’integrazione europea e la Missione estone presso l’UE, 47 persone in totale.

La Commissione continuò a monitorare i progressi dell’Estonia verso l’adesione. Nella relazione periodica del 1999, pur apprezzando le riforme economiche intraprese, la Commissione espresse preoccupazione in merito all’adozione della legge sulla lingua, che limitava «l’accesso degli allofoni nella vita politica e economica», costituiva «un regresso» e si sarebbe dovuta modificare. Ciò nonostante, furono avviati i negoziati per 23 dei 31 capitoli dell’acquis, otto dei quali erano stati chiusi alla fine del 1999.

La successiva relazione annuale rilevò con soddisfazione che le esportazioni dell’Estonia verso l’UE erano aumentate raggiungendo il 73% delle esportazioni complessive e che le importazioni dall’UE costituivano il 73% delle importazioni totali. La Commissione esprimeva soddisfazione per l’introduzione delle modifiche alla legge sulla lingua e per l’adozione del programma nazionale di integrazione per i cittadini non estoni, ma sollecitò l’Estonia a garantire che venisse implementata la legge sulla lingua al fine di adeguarla agli standard internazionali e all’accordo europeo. Si raccomandava altresì di rafforzare i poteri dell’Ombudsman (v. Difensore civico) in particolare in merito alla tutela delle minoranze. Alla fine del 2000 tutti i capitoli vennero negoziati e altri otto erano stati chiusi.

Il Riigikogu portò avanti il programma di armonizzazione prestando particolare attenzione all’integrazione dei cittadini non estoni. L’UE si congratulò con il parlamento per gli sforzi compiuti, incoraggiandolo a migliorare ulteriormente il processo di naturalizzazione, a diffondere l’insegnamento della lingua e a sensibilizzare maggiormente la popolazione in generale sulla questione dell’integrazione. Tuttavia, nel marzo 2001, il sostegno all’adesione all’UE scese al di sotto del 40% a causa della velocità delle riforme economiche e del loro impatto sul tenore di vita nonché per ciò che fu avvertita come interferenza della Commissione in merito alle leggi sulla cittadinanza e sulla lingua estoni.

La sesta e ultima relazione periodica sull’adesione dell’Estonia all’Unione europea fu pubblicata il 14 ottobre 2002 e confermò i progressi compiuti nell’integrazione della comunità russofona, con l’eliminazione dei requisiti linguistici per i candidati alle elezioni parlamentari e locali e la promozione dell’apprendimento della lingua e di scambi culturali nell’ambito del programma nazionale di integrazione. Essa attestava inoltre che l’Estonia aveva un’economia di mercato funzionante e che il proseguimento del percorso di riforme intrapreso avrebbe consentito all’Estonia di far fronte alla pressione della concorrenza e alle forze di mercato all’interno dell’Unione (v. anche Politica europea di concorrenza).

Considerando che l’Estonia era riuscita a chiudere provvisoriamente i negoziati di tutti e 31 i capitoli, i capi di Stato e di governo degli esistenti Stati membri al Consiglio europeo di Copenaghen del 13 dicembre 2002 stabilirono che i paesi candidati avrebbero firmato il Trattato di adesione il 16 aprile 2003 ad Atene. Con l’approvazione da parte dell’UE, l’unico ostacolo rimanente per l’Estonia era il referendum sull’adesione all’UE fissato il 14 settembre 2003. Considerato che nell’estate del 2003 il sostegno all’adesione era solo del 48%, non vi era alcuna garanzia che il referendum venisse approvato.

Il referendum sull’adesione all’Unione europea e sull’approvazione della legge sugli emendamenti alla Costituzione ebbe esito positivo, con il 66,8% dei voti a favore, la percentuale più bassa tra quelle registrate negli altri paesi candidati all’adesione dell’Europa orientale. I vincoli potenziali all’economia estone, l’impatto delle riforme sul reddito personale e la perdita di sovranità erano le motivazioni principali dei voti contrari. L’Estonia diventò alla fine membro ufficiale dell’UE il 1° maggio 2004.

Come avvenne in Lettonia, il processo che l’Estonia intraprese per armonizzare le sue strutture politiche, economiche e sociali con quelle dell’UE entrò in conflitto con il processo di costruzione dello Stato nazione che il paese andava attuando allo stesso tempo, in particolare riguardo alla cittadinanza, alla lingua e ai diritti delle minoranze. Il periodo iniziale dell’indipendenza è forse il più importante della storia estone, poiché la repubblica tra le due guerre fornì lo spazio politico all’interno del quale fu promossa per la prima volta l’identità nazionale degli estoni, che a sua volta fu interiorizzata dalla popolazione in generale. Dopo cinquant’anni di occupazione dell’URSS e di politica sovietica della nazionalità, tuttavia, la percentuale autoctona della popolazione estone era diminuita passando dal 90% del 1939 al 64,7% della fine degli anni Ottanta. Partendo dalla riconquista dell’indipendenza dall’URSS, quindi, il nuovo governo nazionale cercò di ricreare la repubblica degli anni fra le due guerre, di sgomberare il proprio territorio da ogni vestigia del dominio sovietico e di rivendicare gli elementi di statualità e lo status di entità nazionale andati perduti.

Al contempo, il nuovo governo estone cercò di distaccarsi il più possibile dal controllo russo. Sebbene il Cremlino fosse stato costretto a riconoscere l’indipendenza degli Stati baltici, il governo russo continuò a trattare l’Estonia, la Lettonia e la Lituania come se facessero ancora parte della sua sfera di influenza. Il desiderio degli estoni di aderire all’UE e quindi di “ritornare in Europa” fu alimentato tanto dalle preoccupazioni relative all’identità nazionale e alla sicurezza, quanto da considerazioni di carattere economico.

Nel tentativo di distaccarsi dalla Russia e di ricreare lo Stato nazione del periodo tra le due guerre, la politica estera e interna dell’Estonia ebbe inevitabilmente un impatto significativo sulla vita delle numerose minoranze russofone all’interno dello Stato e minacciò di mettere a repentaglio gli impegni assunti in merito al rispetto e alla protezione delle minoranze nell’ambito dei criteri di Copenaghen. Il trattamento preferenziale accordato agli estoni autoctoni in termini di diritti di cittadinanza e di lingua spinse l’UE e altre organizzazioni europee a intervenire ripetutamente a favore delle minoranze russofone. La questione dell’integrazione nell’Unione europea pertanto sollevò un importante dibattito in Estonia. Mentre alcuni ritenevano che l’integrazione europea fosse l’unico modo per garantire la sicurezza, per proteggere lo Stato dal controllo russo e per salvaguardare la cultura e l’identità nazionali dall’assimilazione della civiltà ortodossa, altri criticavano l’influenza esercitata da Bruxelles nell’ambito della legislazione sulla cittadinanza e dei diritti delle minoranze nel loro Stato, e ritenevano che l’adesione all’UE minacciasse l’identità che loro speravano innanzitutto di difendere.

Sebbene il presidente Lennart Meri respingesse le critiche secondo cui la nazione estone avrebbe perso la propria identità culturale a causa dell’integrazione europea, sottolineando come gli estoni fossero riusciti a preservare e difendere la loro cultura nel corso dei secoli e che l’Europa alla fine del secolo sarebbe stata in grado di trovare un modo armonioso per associare le aspirazioni condivise con le diverse identità, questa posizione non sembrava valere per l’identità all’interno dei confini dell’Estonia. Le richieste delle organizzazioni europee affinché Tallinn ammorbidisse la sua posizione verso le minoranze russe furono spesso oggetto di forti critiche nel paese. Kristiina Ojuland, leader della delegazione estone presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e futuro ministro degli Affari esteri, criticò l’insistenza del Consiglio affinché l’Estonia garantisse l’istruzione secondaria in lingua russa fino all’età di 18 anni e fino a quando ci fosse stata una sufficiente richiesta da parte dei genitori.

Ciò nonostante, il governo avviò sin da allora un programma nazionale di integrazione, riconoscendo che in Estonia emergendo emergeva un modello di «due società in un unico paese», il quale poteva diventare «pericoloso sia sul piano sociale che su quello della politica di sicurezza. Una volta raggiunto l’obiettivo a lungo termine dell’adesione all’UE, il compito primario dell’Estonia dovrà essere quello di creare una società coesa.

Richard Mole (2008)

Box 1 → Banca centrale della Repubblica di Estonia

Box 2 → Camera di commercio e industria dell’Estonia (ECCI)

Box 3 → Open Estonia Foundation (OEF)

Box 4 → Movimento europeo in Estonia

Bibliografia

Asmus R.D., Nurick R.C., NATO enlargement and the Baltic States, in “Survival”, vol. 38, n. 2, estate 1996, p. 134.

Lofgren J., Back in Europe, in “Transition Online”, 16 gennaio 1998.