Lettonia

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La transizione della Lettonia verso l’adesione all’Unione europea

Le relazioni tra la Lettonia e l’Unione europea furono intraprese il 27 agosto 1991, quando l’Unione europea riconobbe l’indipendenza della Lettonia dall’Unione Sovietica. Le prime elezioni postsovietiche furono indette nel giugno 1993 ed ebbero come risultato il governo di Valdis Birkavs, guidato dal partito di centrosinistra Via della Lettonia (LC). Dal principio il governo mostrò chiaramente il suo orientamento filo occidentale e si impegnò ad attuare un pacchetto di riforme che avrebbero facilitato la futura adesione della Lettonia all’Unione europea, sebbene a causa dell’instabilità della coalizione governativa seguire fedelmente il percorso intrapreso verso tali riforme non fosse un’impresa facile.

La Lettonia mostrò il suo impegno verso l’adesione all’UE ancor prima delle elezioni del 1993. Il governo provvisorio, infatti, firmò un Accordo sulla Cooperazione commerciale ed economica con l’Unione europea l’11 maggio 1992 (v. Accordi europei), dopo soli nove mesi dalla proclamazione dell’indipendenza della Lettonia. Fu al summit del Consiglio europeo di Copenaghen nel giugno 1993, che venne considerata per la prima volta la possibilità che la Lettonia aderisse all’Unione europea e che vennero definite le condizioni per l’adesione. L’Unione europea stabilì che l’adesione sarebbe avvenuta non appena la Lettonia avesse ottemperato ai cosiddetti “criteri di Copenaghen” (v. Criteri di adesione).

Nel 1994, la responsabilità generale della gestione e del coordinamento dell’integrazione della Lettonia nell’UE (v. Integrazione, metodo della) fu affidata a una nuova istituzione, l’Ufficio per l’Integrazione europea, un ente statale che faceva direttamente capo al primo ministro e che era affiancato da 23 gruppi di lavoro tecnici. Il 18 luglio 1994, la Lettonia e l’Unione europea firmarono un Accordo sul libero scambio e sulle questioni commerciali, che entrò in vigore il primo gennaio 1995, sostituendo l’accordo del 1992. Tale accordo sarebbe stato alla base delle relazioni tra le due parti sino alla ratifica e alla conseguente entrata in vigore il 1° febbraio 1998 dell’Accordo europeo, firmato dalla Lettonia il 12 giugno 1995. Da allora l’Accordo europeo fu il fondamento giuridico delle relazioni tra la Lettonia e l’Unione europea e cercò di fornire «un quadro di riferimento al dialogo politico, di promuovere l’ampliamento degli scambi e delle relazioni economiche fra le parti, di fornire una base per l’assistenza tecnica e finanziaria della Comunità (Comunità economica europea) nonché una cornice adeguata a sostenere la graduale integrazione della Lettonia nell’UE». La candidatura ufficiale della Lettonia all’Unione europea fu firmata dal Presidente e dal primo ministro il 13 ottobre 1995 e inoltrata alla Spagna, che esercitava la presidenza di turno dell’Unione europea, il 27 ottobre 1995 (v. Presidenza dell’Unione europea).

Il 10 ottobre 1995, pochi giorni prima che fosse presentata la candidatura, il Consiglio dei Ministri lettone istituì il Consiglio per l’Integrazione europea, un organo di Stato che si riunisce una volta al mese «per sviluppare e promuovere una politica congiunta sull’integrazione della Lettonia nell’Unione europea a tutti i livelli delle istituzioni governative». Il Consiglio è guidato dal Direttore dell’Ufficio per l’Integrazione europea.

Si ritenne che i criteri di Copenaghen, pur rappresentando una base solida per valutare le credenziali politiche dei paesi candidati, non considerassero sufficientemente le specifiche circostanze dei singoli Stati. Nel dicembre 1995, quindi, il Consiglio europeo a Madrid richiese alla Commissione europea di redigere pareri (avis) su ognuno dei nuovi paesi candidati che fossero pubblicati col nome di “Agenda 2000”. Il Consiglio decise inoltre di organizzare una conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) in vista dell’Allargamento dell’UE.

Nel valutare singolarmente le candidature dei paesi (v. Paesi candidati all’adesione), l’Unione europea riconobbe che alcuni Stati stavano realizzando maggiori progressi di altri e, il 13 aprile 1997, la Commissione dell’UE annunciò che la prima ondata di adesioni all’UE avrebbe incluso Estonia, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovenia e Cipro, mentre Lettonia, insieme a Lituania, Bulgaria, Romania e Slovacchia, avrebbero fatto parte della seconda ondata. Tale decisione fu fortemente criticata in Lettonia, poiché si riteneva che tutti e tre gli Stati baltici avrebbero dovuto aderire contemporaneamente. Il ministro degli Esteri Valdis Birkavs insisté per l’ammissione simultanea di tutti e tre gli Stati alle trattative d’adesione con l’Unione europea: «Il nostro obiettivo di aderire all’Unione europea sarà raggiunto solo nel momento in cui tutti e tre gli Stati baltici saranno diventati membri di tale organizzazione. […] Non si può immaginare un’Europa unita senza i tre Stati baltici».

Il 15 luglio 1997 la Commissione pubblicò il proprio Parere sulla candidatura della Lettonia all’Unione europea (“Agenda 2000”). La Commissione espresse apprezzamento alla Lettonia per la stabilità delle sue istituzioni politiche e per il clima di libertà e correttezza in cui si erano svolte le elezioni del 1993 e 1995. La principale critica in ambito politico faceva riferimento alla necessità «di accelerare la procedura di naturalizzazione delle minoranze russe in modo da meglio integrarle nella società lettone». La Commissione espresse soddisfazione per i progressi compiuti dalla Lettonia nella creazione di un’economia di mercato ma riconobbe che la Lettonia avrebbe avuto «notevoli difficoltà a far fronte, a medio termine, alle pressioni competitive e alle forze di mercato all’interno dell’Unione». Il summit del Consiglio europeo di Lussemburgo nel dicembre 1997 diede all’Estonia e agli altri paesi della prima ondata il via libera a iniziare i negoziati di adesione nell’aprile dell’anno successivo, e stabilì che le trattative con la Lettonia avrebbero dovuto attendere finché il paese non avesse compiuto «progressi sufficienti per soddisfare le condizioni per l’adesione stabilite dal Consiglio europeo di Copenhagen». Tuttavia, la Commissione si impegnò a sviluppare una strategia rafforzata di preadesione (v. anche Strategia di preadesione) per consentire alla Lettonia di adempiere «agli obblighi dell’adesione adoperandosi ad affrontare i punti deboli individuati dal parere».

Il 31 marzo 1998 l’Unione europea aprì le trattative di adesione con la prima ondata di paesi candidati, subito dopo l’entrata in vigore dell’Accordo europeo il 1° febbraio 1998. L’Accordo fornì a tutti i paesi candidati un partenariato per l’adesione e stabilì obiettivi specifici per ottenere l’adesione. Il partenariato intendeva rappresentare «lo strumento chiave della strategia potenziata di pre-adesione, mobilitando in un quadro unico tutte le forme di assistenza ai paesi candidati».

Nel settembre 1998, la Commissione pubblicò la prima delle sue Relazioni periodiche sui progressi compiuti dalla Lettonia verso l’adesione. Pur riconoscendo i passi avanti realizzati nell’ambito dell’integrazione dei non cittadini, il rapporto concludeva che occorreva impegnarsi maggiormente «nella promozione dell’insegnamento della lingua lettone ai non-cittadini, nella riforma della pubblica amministrazione, nel rafforzamento del sistema giudiziario e nella lotta contro la corruzione». Sul fronte economico e amministrativo la situazione era di gran lunga migliore. Tuttavia, l’anno terminò con una delusione, quando, a dicembre, il Consiglio europeo di Vienna votò contro l’avvio dei negoziati di adesione con la seconda ondata di paesi candidati.

Imperterrita, la Lettonia proseguì nella sua strategia di preadesione all’UE. Durante la sessione del Consiglio di Associazione tra la Lettonia e l’Unione europea svoltasi a Riga il 22 febbraio 1999 (v. anche Associazione), si prese atto che «il completamento della fase multilaterale dell’esame analitico dell’acquis (screening) e l’imminente passaggio alla fase bilaterale di tale esame» avrebbe dato «un nuovo dinamismo al processo, accelerando quindi i preparativi per i negoziati». Infatti, nella Relazione periodica del 1999, la Commissione si espresse in favore dell’avvio dei negoziati con la Lettonia. Tale decisione fu confermata al Consiglio europeo di Helsinki nel dicembre 1999.

Con l’inizio del nuovo millennio le relazioni della Lettonia con l’Unione europea divennero sempre più strette. Nel corso dell’anno si svolsero ulteriori sessioni del Consiglio di Associazione, del Comitato di Associazione e del Comitato Parlamentare misto (che comprendeva membri del Parlamento lettone e del Parlamento europeo). In campo economico, nel 2000 le esportazioni della Lettonia verso l’Unione europea erano aumentate raggiungendo il picco storico del 68% delle vendite all’estero complessive. Alla periodica riunione ministeriale della Conferenza Intergovernativa sull’adesione della Repubblica di Lettonia all’Unione europea, svoltasi a Bruxelles il 21 novembre, fu deciso che i capitoli dei negoziati relativi all’Unione economica e monetaria, alla Politica industriale, alla Tutela dei consumatori (v. Politica dei consumatori) e alla Salute (v. Politica della salute pubblica) e alle Relazioni esterne (v. Politica estera e di sicurezza comune) sarebbero stati chiusi provvisoriamente. Sul fronte politico, le Relazioni periodiche UE del 2000 e 2001 riconobbero che la Lettonia continuava a soddisfare i criteri di Copenaghen ed espressero apprezzamento per l’iniziativa del governo di stanziare 200.000 lati per la gestione del Fondo per l’integrazione sociale. Venne anche confermata l’efficacia del processo di naturalizzazione: 14.900 persone, infatti, furono naturalizzate nel 2000, il numero annuo più alto da quando, nel 1995, era iniziato il processo di naturalizzazione. A partire dal 1996, più di 36.000 persone avevano partecipato al Programma Nazionale per l’Insegnamento della Lingua Lettone e il 2001 fu il primo anno in cui fondi pubblici ($US 710.000) furono destinati direttamente al programma. Tuttavia, nel 2002 la Lettonia rimaneva l’unico paese candidato a non aver ancora ratificato la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali.

La sesta e ultima Relazione periodica della Commissione sull’adesione della Lettonia all’Unione europea fu pubblicata il 9 ottobre 2002 e raccomandava di concludere le trattative con la Lettonia per l’adesione entro la fine dell’anno. Considerato il caso della Lettonia, che era riuscita a concludere provvisoriamente i negoziati di tutti e 31 i capitoli, i capi di Stato e di governo dei paesi membri presenti al Consiglio europeo di Copenaghen del 13 dicembre 2002 decisero che i paesi candidati avrebbero firmato il Trattato di Adesione il 16 aprile 2003 ad Atene (v. anche Trattati).

L’ultimo ostacolo sulla strada dell’adesione della Lettonia all’UE fu il referendum popolare. Alla fine, la campagna a favore del Sì ottenne una vittoria schiacciante, raggiungendo il 67% dei voti su un’affluenza alle urne del 72,53%. Il primo ministro Einars Repse accolse la decisione come uno dei tre più importanti eventi della storia lettone, insieme all’indipendenza dall’Impero russo nel 1918 e alla nuova indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991. La campagna per il No si appellò invano al popolo lettone affinché non cedesse a Bruxelles la sovranità che solo recentemente aveva riconquistato dall’Unione Sovietica, senza ottenere risultati di sorta. Così si espresse la Presidente Vaira Vike-Freiberga: «Per la Lettonia [l’adesione all’UE] chiude definitivamente le vicende della Seconda Guerra Mondiale e cancella per sempre le divisioni sulla mappa dell’Europa che l’odioso patto Molotov-Ribbentrop del 1939 aveva posto in essere». La Lettonia aderì all’UE il 1° maggio 2004.

Box 1→ Banca della Lettonia

Box 2 → Agenzia lettone per l’investimento e lo sviluppo

Box 3 → Istituto privato di economia dell’Accademia delle scienze di Lettonia

Box 4 → Ufficio per l’integrazione europea

Conseguenze dell’adesione all’Unione europea per la Lettonia

Il processo di Armonizzazione intrapreso dalla Lettonia per conformare le sue strutture politiche, economiche e sociali a quelle dell’Unione europea, entrò in conflitto con molte delle misure adottate allo stesso tempo in merito a state-building e nation-building, in particolare riguardo alla cittadinanza, alla lingua e alla tutela delle minoranze (v. Lingue minoritarie nell’Unione europea). Infatti, negli anni ’90, la Lettonia e l’UE avevano una visione del mondo piuttosto differente. In Europa occidentale la fine della Guerra fredda e il crollo dell’Unione Sovietica modificarono le priorità della sicurezza degli Stati dalla sopravvivenza alla “gestione e prevenzione delle crisi”. Come conseguenza della sua storia di occupazione e annessione, la Lettonia continuò a considerare la Russia (e per estensione i russi) come una minaccia per la propria integrità territoriale. Queste Weltanschauung così contrastanti hanno portato all’adozione, da entrambe le parti, di posizioni fondamentalmente divergenti in merito alla legislazione sulla cittadinanza, sulla lingua e sui diritti delle minoranze.

Il primo periodo dell’indipendenza è forse il più importante nella storia lettone. La repubblica tra le due guerre mondiali aveva fornito lo spazio politico all’interno del quale si era diffusa per la prima volta l’identità nazionale del popolo lettone che era stata recepita dall’intera popolazione. Inoltre la Lettonia si riteneva uno Stato rinnovato, non nuovo, e riteneva che la propria sovranità fosse stata interrotta, non annullata durante il periodo di occupazione sovietica. Dopo aver riconquistato l’indipendenza dall’Unione Sovietica, quindi, il nuovo governo nazionale cercò semplicemente di ricominciare da dove era stata interrotto e ricreare la repubblica esistente tra le due guerre mondiali. Ciò significò cancellare dal proprio territorio tutte le tracce dell’ordinamento sovietico, reclamando gli elementi di Stato e nazione sovrana che si erano persi, e tenendosi il più lontano possibile dall’influenza russa.

La decisione del governo lettone di impegnarsi in favore dell’adesione all’Unione europea dipese, quindi, ben più da una percezione dell’identità nazionale e del sé geografico e storico come cultura occidentale, che non da una valutazione razionale dei vantaggi economici e politici. Questo spiega il motivo per cui il governo lettone fu molto critico quando l’Unione europea rifiutò di far partecipare la Lettonia alla prima ondata dell’allargamento dell’Unione insieme all’Estonia. Se fosse stata solo una valutazione in termini di crescita economica, difficilmente la Lettonia avrebbe potuto sostenere di aver raggiunto gli stessi risultati del vicino nordico. Tuttavia, poiché l’adesione all’UE testimoniava l’identità e i valori occidentali dello Stato – come affermò il governo lettone – i tre paesi baltici sarebbero dovuti essere ammessi congiuntamente.

Il timore della Lettonia nei confronti della Russia era rafforzato dalla visione russa del mondo e di se stessa: un mondo governato da grandi potenze, tra cui potersi annoverare. Per essere una grande potenza uno Stato necessita di una sfera di influenza e questo spiega perché Mosca voglia mantenere il controllo sui tre Stati baltici. Ovviamente, ciò ha avuto pesanti ripercussioni sulla comunità di lingua russa in Lettonia e ha fatto sì che l’attenzione dell’UE si concentrasse in particolare sul capitolo dell’acquis comunitario relativo al “rispetto e la protezione delle minoranze”.

I dibattiti all’interno della società lettone sulle implicazioni dell’adesione all’Unione europea furono molto animati. Mentre alcuni ritenevano che l’integrazione europea fosse l’unico modo per garantire la propria sicurezza (v. anche Integrazione, teorie della), proteggere il proprio Stato dall’ingerenza russa e difendere la propria cultura e identità nazionali dall’assimilazione della cultura ortodossa, altri erano critici sull’influenza che Bruxelles esercitava sulla legislazione in materia di cittadinanza e diritti delle minoranze nel proprio ordinamento e considerava l’appartenenza all’UE come una minaccia all’identità che stavano cercando in primis di proteggere.

Alcuni gruppi in Lettonia erano particolarmente avversi alle richieste dell’UE di accelerare l’integrazione delle minoranze di lingua russa nella società lettone. Quando il 20 marzo 1996 il presidente Ulmanis informò Gunther Weiss, ambasciatore dell’UE a Riga, che la Lettonia era pronta a iniziare i negoziati per l’adesione, il diplomatico ribadì che sarebbe stato impossibile discutere dell’integrazione della Lettonia nell’Unione europea senza prendere in considerazione lo status dei non cittadini nella Repubblica. Allo stesso modo, nell’agosto 1998 le raccomandazioni provenienti dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) affinché si ammorbidisse la legge lettone sulla cittadinanza, furono criticate dai partiti di destra, che reputavano gli emendamenti approvati dal parlamento troppo liberali e insistevano affinché la materia fosse sottoposta a referendum. Il presidente Ulmanis affermò che l’ampio sostegno a favore del referendum tra la popolazione lettone fosse un segno di «protesta contro l’esagerata presa di posizione dei politici europei». Tuttavia, molti politici lettoni e capi di stato occidentali avvertirono che un rifiuto al referendum del 1998 sulla cittadinanza sarebbe andato contro lo spirito dei valori europei e avrebbe diminuito l’europeità dello stato. Il referendum fu approvato, un avvenimento che secondo il primo ministro italiano Romano Prodi «affermava chiaramente l’identità europea della Lettonia».

Analogamente, il Comitato per l’Istruzione, la cultura e la ricerca della Saeima si rifiutò di apportare le modifiche raccomandate dall’OSCE e dall’UE al disegno di legge sulla lingua nazionale. Gli esperti dell’OSCE e il Commissario per gli Affari esterni dell’Unione europea, Hans van den Broek, si erano opposti alla regolamentazione dell’uso della lingua nazionale nel settore privato. Il Comitato sostenne che non era possibile applicare tutte le norme europee concernenti la legislazione sulla lingua poiché i lettoni erano diventati una minoranza in molte aree del paese. Nel luglio 1999, tuttavia, la legge sulla lingua che era stata approvata dalla Saeima, fu respinta dal nuovo presidente Vaira Vike-Freiberga, grazie alle pressioni dell’OSCE e dell’UE. L’UE sosteneva che tale legge avrebbe impedito alla Lettonia di ottemperare ai criteri di Copenaghen e quindi di aderire all’Unione stessa.

Mentre la Lettonia, grazie alla pressione esercitata dall’Unione europea, ha liberalizzato in modo significativo la propria legislazione in materia di cittadinanza, lingua e diritti delle minoranze, una larga parte della minoranza di lingua russa non è riuscita a ottenere la cittadinanza lettone. Tra tutti gli Stati membri dell’UE, la Lettonia ha una delle più alte percentuali di non cittadini tra la propria popolazione. Ciò costituisce un argomento significativo nelle relazioni politiche tra la Lettonia e l’Unione europea.

Richard Charles Mole (2006)

Bibliografia

Fonti primarie

Relazione Periodica 1998 della Commissione sui progressi della Lettonia verso l’Adesione.

Relazione Periodica 2000 della Commissione sui progressi della Lettonia verso l’Adesione.

Relazione Periodica 2002 della Commissione sui progressi della Lettonia verso l’Adesione.

“Agenda 2000” – Parere della Commissione sulla candidatura della Lettonia all’Unione europea, Brussels, 15 luglio 1997, DOC/97/14.

Consiglio europeo di Copenaghen, 21-22 giugno 1993, Conclusioni della Presidenza, SN 180/93.

Comunicato Stampa Congiunto della seconda sessione del Consiglio di Associazione tra l’Unione europea e la Lettonia, Lussemburgo, 22 febbraio.

“The Regular Round of Latvia’s Accession Negotiations to the EU concluded in Brussels”, Comunicato Stampa, Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Lettonia, 21 novembre 2000.

Fonti secondarie

Tiilikainen T., The political implications of the EU’s enlargements to the Baltic states, in Pettai V., Zielonka J. (a cura di), The road to the European Union: Estonia, Latvia and Lithuania, Manchester University Press, Manchester 2003.

Fonti media

Baltic News Service, Tallinn.

BBC News.