Adenauer, Konrad

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A. (Colonia 1876-Rhöndorf 1967). Cancelliere all’età di 73 anni, sembra che tutta la vita precedente di A. fosse solo una preparazione al compito di restituire rispetto di sé a un paese nel quale pochi possono ricordare un passato di cui andare orgogliosi e sul quale costruire un incerto futuro. La Conferenza di Potsdam del luglio 1945 decide che la Germania sarà disarmata e smilitarizzata, la vita politica rinnovata su basi democratiche.

Coloro che tornano a far politica provengono in gran parte dalla esperienza della Repubblica di Weimar e confluiscono per lo più nei loro vecchi partiti, rifondati su base locale. Tra questi il Partito socialdemocratico (Sozialdemokratische Partei Deutschlands, SPD), che si costituisce ad Hannover sotto la guida di Kurt Schumacher, il Partito liberaldemocratico (Freie demokratische Partei, FDP), che attinge alle file degli ex liberali, i comunisti sostenuti da Mosca. Una formazione del tutto nuova è invece l’Unione cristiano-democratica (Christilch-demokratische Union) con la sua variante bavarese, l’Unione cristiano-sociale (Christlich-soziale Union CSU), che mira a superare l’impostazione confessionale del vecchio partito cattolico (Zentrum), per abbracciare un più ampio fronte, fino ai sindacati cristiani. Presto la sua guida è assunta da un gruppo della Renania e della Westfalia che fa capo ad A., eletto Presidente per la zona britannica nel marzo 1945, dagli inglesi nominato sindaco di Colonia nello stesso mese e deposto nell’ottobre successivo.

La soluzione del problema tedesco uscita da Potsdam è ancora unitaria. Ma la Germania diventa ben presto luogo di una contesa che si concluderà solo nel 1990 e che ha come posta in gioco il dominio del continente e la vittoria o la sconfitta nella Guerra fredda. Nel luglio 1946 gli Stati Uniti propongono al Comitato di controllo di procedere all’unificazione economica delle quattro zone, ma l’Unione Sovietica rifiuta. Il 1° gennaio 1947 sono riunite la zona americana e quella britannica, alle quali nell’aprile 1949 si aggiunge quella francese. I due Stati tedeschi nascono nel giro di sei mesi. Alla introduzione del marco nella zona occidentale l’Unione Sovietica risponde con il blocco dell’accesso a Berlino, nel giugno 1948. Per undici mesi la ex capitale del Reich sarà approvvigionata solo grazie ad un gigantesco ponte aereo. Il 7 ottobre viene proclamata la Repubblica Democratica Tedesca (RDT).

La divisione della Germania è il precipitato nel punto di massimo attrito della Guerra fredda, della sua definitiva, rigida coagulazione. La Riunificazione tedesca diviene un gioco a somma zero: quello dei due schieramenti che e assorbirà l’intera Germania conseguirà una inaccettabile vittoria sull’altro mentre l’olocausto nucleare rende improponibile ogni ipotesi di conquista con la forza.

Già il 1° luglio 1948 i governatori militari occidentali avevano sollecitato la convocazione di una Assemblea costituente. Una bozza di Costituzione, elaborata da esperti nel castello bavarese di Herrenchiemsee, è sottoposta ai rappresentanti delle assemblee territoriali. A. presiede alla nascita della Costituzione americana, il cui carattere provvisorio si riflette già nella denominazione dell’organo deliberante – “Consiglio parlamentare” – e nella sua approvazione, non con un referendum bensì attraverso i Länder. I lavori iniziati il 1° settembre 1948 a Bonn si concludono il 23 maggio 1949, secondo tempi che al Presidente sembrano troppo lunghi. La Legge fondamentale, titolo anche esso inteso a sottolinearne la transitorietà, àncora le istituzioni del nuovo Stato alla tradizione del diritto naturale e della divisione dei poteri, conservando, della scuola tedesca, il federalismo e una forte vocazione sociale. Rafforza l’esecutivo attraverso la sfiducia costruttiva ed evita che, come a Weimar, un presidente eletto direttamente abbia una legittimità più alta dell’esecutivo di nomina parlamentare.

Impera in Germania una disoccupazione di massa che ricorda i peggiori anni di Weimar. La ripresa mondiale e la guerra di Corea danno tuttavia rilevante impulso all’economia. Si registra un forte recupero dei consumi, le industrie smantellate e distrutte investono in moderni impianti, il Piano Marshall fornisce i capitali necessari e innesca il processo di integrazione sovranazionale (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). I tassi di incremento delle retribuzioni restano al di sotto di quelli del prodotto sociale. I salari medi crescono comunque del cinque per cento l’anno. Dopo la maggiore disfatta i tedeschi conoscono la maggiore fioritura economica della loro storia.

Il capitalismo renano diviene il cuore economico, il motore propulsivo del grande ciclo di sviluppo. Grazie anche alle leggi di previdenza, agli indennizzi, alla tutela dei rifugiati, è messo in atto un gigantesco processo redistributivo. La concertazione sociale ed il ruolo dei sindacati rappresentano il fondamentale veicolo di integrazione e di coesione. «Bonn non è Weimar» diviene l’efficace formula per indicare la trasformazione in atto, il passaggio da un popolo «di eroi» a un popolo «di mercanti», per usare una famosa dicotomia di Werner Sombart. Un modello che ha coniugato un incredibile livello di produttività a una fortissima inclusione, attraverso la concertazione tra management e sindacato, opposizione e governo, autorità centrale e poteri periferici, e che solo oggi, nell’era della globalizzazione, questo modello incontra i suoi limiti.

Le elezioni del primo Parlamento federale si tengono il 14 agosto 1949. Il confronto è tra economia sociale di mercato ed economia pianificata e si risolve in un plebiscito a favore della prima. CDU e CSU ottengono il 31% dei voti, l’FDP l’11,9%; l’SPD il 29,2%, i comunisti il 5,7%. A. con un solo voto di maggioranza forma un governo costituito da CDU-CSU, FDP e Partito tedesco (Deutsche Partei, DP).

Lo Statuto di occupazione consegnato il 21 settembre 1949 sancisce i diritti sovrani delle potenze, che valgono al di sopra della Costituzione. Nessuna legge può entrare in vigore prima che sia approvata dagli Alti commissari. Già nel suo primo discorso programmatico, il 20 settembre 1949 il Cancelliere osserva di volere integrare nel mondo occidentale la debole Repubblica federale, che all’esterno è rappresentata dalle potenze vincitrici, e di volerne restaurare sovranità, sicurezza, capacità di azione. Colloca fin dall’inizio la questione tedesca all’interno del processo di unificazione dell’Europa occidentale e ne trae le conseguenze con coerenza e senza sentimentalismi.

La storia europea è stata storia di coalizioni ad hoc cui diversi Stati hanno dato vita per difendersi da quello che di volta in volta veniva percepito come un potenziale nemico. Lo Stato nazionale tedesco, che nel secondo dopoguerra è diviso in tre parti, se si includono i territori perduti sul versante orientale, risulta ancora incompatibile con la salvaguardia dell’equilibrio europeo. L’“impero inquieto”, troppo debole per dominare l’Europa, rischia, nonostante le amputazioni, di essere tuttavia troppo forte, troppo esteso geograficamente e troppo potente demograficamente per non essere percepito come una minaccia dagli altri Stati europei.

Il segretario di Stato James Byrnes aveva assicurato a Stoccarda nel settembre 1946 che le truppe americane sarebbero rimaste in Europa fino a quando quelle sovietiche avessero continuato ad occupare l’Europa orientale. Il “contenimento” della nuova minaccia prosegue con il Piano Marshall, nel 1947, con il ponte aereo di Berlino del 1948-1949 e, dopo la guerra di Corea, con la massiccia presenza di forze americane protette dal potere nucleare. A. ritiene che la divisione tedesca durerà a lungo. Vuole allora tenere insieme «questo resto della Germania», facendo assegnamento sul suo ruolo essenziale anche per gli Stati Uniti. L’antica posizione chiave, geografica e strategica, nel centro dell’Europa conferisce all’Occidente un migliore futuro economico e una maggiore profondità strategica a fronte della minaccia dell’Est.

Per un efficace contenimento, poiché gli occidentali non avevano dimenticato la forza esplosiva da sempre celata nella questione tedesca, è necessario salvaguardare gli altri europei di fronte alla Germania e l’Europa occidentale di fronte ai russi. Se neutrale e disarmata, come avrebbe potuto la Germania garantire la propria indipendenza? Se neutrale e armata, come avrebbero potuto gli altri europei garantire la loro? Gli europei occidentali risolvono il problema accettando la rinascita della Germania; i tedeschi subendone la divisione. Nelle intese tra la Repubblica federale ed i suoi alleati si ribadisce certo l’obiettivo dell’unità nazionale. Ma la precisa estensione della Germania rimane indefinita. Sovranità ed unificazione, che Schumacher, principale antagonista di A. e segretario della SPD, vorrebbe come presupposti dell’alleanza con l’Occidente, per il Cancelliere ne possono essere soltanto le conseguenze: una speranza per il lontano futuro; una riserva tedesca di fronte ai propri partner; un elemento di riconciliazione interna in un paese nel quale un abitante su cinque proviene dall’Est. Il recupero dell’unità nazionale, non conseguibile direttamente, passa allora attraverso quello che lo storico Heinrich August Winkler chiama «il lungo cammino verso l’Occidente».

Nell’Europa che si viene costruendo A. non accetta per il suo paese nessuna limitazione giuridicamente impegnativa cui non siano sottoposte le altre parti contraenti. D’altro canto il passato nazista e il presente sovietico spronano gli europei, al riparo della protezione loro offerta dall’ombrello atomico americano, a costruire l’unità europea quale antemurale dell’Occidente cristiano contro il bolscevismo. L’Europa diventa veicolo di identificazione in presenza di un nemico avvertito come totalmente altro. Attraverso molti passaggi successivi, A. porta avanti con accortezza uno scambio fondamentale: a ogni aumento di potenza tedesca fa da contrappunto un trasferimento di potere verso alleanze sovranazionali, europee o atlantiche. Cedere potere per recuperare potere è la traduzione in termini politici della dialettica, prodotto peculiare del pensiero tedesco. L’ancoraggio occidentale diviene per A. una sorta di pegno per suscitare la fiducia degli altri e alleviare il regime di occupazione.

A., alla testa di una coalizione dei partiti borghesi e moderati, conduce una politica della integrazione, mentre la sinistra socialdemocratica si candida come partito del primato della nazione e della riunificazione. A. non deve far fronte, come i governi di Weimar, a una opposizione nazionalista e antidemocratica sulla propria destra, bensì a una opposizione democratica, anticomunista e nazionale alla propria sinistra. La sua politica di adempimento verso le potenze occupanti (Erfüllungspolitik) è il presupposto per riconquistare credibilità e sovranità.

Nel progetto sovranazionale un alleato particolare si rivela Alcide De Gasperi. L’Unione Sovietica estende ormai la propria influenza fino al centro dell’Europa, ha dimezzato lo spazio che la separava dall’Atlantico. De Gasperi e A. avvertono l’ansia di mantenere un equilibrio europeo che distrae dall’unica vera questione, l’equilibrio internazionale. Nella visione franco-tedesca della futura Europa A. è consapevole del ruolo che spetta agli oltremontani, mentre la grande intuizione di De Gasperi è che la storica riconciliazione fra Francia e Germania toglie senso alla tentazione di rimanere fuori da quel connubio, alla ricerca di uno stato di neutralità, una seconda o più grande Iugoslavia, oppure di un semplice protettorato americano.

De Gasperi, anche ministro degli Esteri dal luglio 1951, è costretto a cedere ad altri la guida del governo proprio nel momento – l’estate del 1953 – in cui il Cancelliere tedesco sta per raccogliere, nelle elezioni di settembre, il suo più grande successo. Anche se i loro cicli non coincidono e A. resterà al potere altri dieci anni, ambedue si propongono di vincolare i loro paesi all’Europa e all’Occidente. Il radicamento occidentale serve ad ambedue per fronteggiare la sfida del comunismo.

Per ambedue il progetto di integrazione significa approfondire un solco: rispetto all’opposizione socialcomunista per De Gasperi, rispetto all’altra Germania per A. Anche De Gasperi ritiene che la identità cattolica o cristiana possa conferire all’atlantismo e all’europeismo i tratti culturali che non possono essere più attinti dal nazionalismo. Ambedue vedono nel neutralismo, il desiderio di non schierarsi nella incombente competizione ideologica, politica e militare che porterà il nome di Guerra fredda De Gasperi e A. vedono nel neutralismo una forma subdola di sottomissione o di esposizione senza difese all’influenza del comunismo. A. ha un doppio avversario: all’interno la socialdemocrazia, che mantiene come prioritario l’obiettivo della riunificazione; all’esterno l’Unione Sovietica, che cerca di disancorare la Germania dal processo di integrazione.

La maggiore intensità nei rapporti tra A. e De Gasperi coincide con la nascita della prima istituzione europea, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) e con il fallimento del primo tentativo di unificazione politica, la Comunità europea di difesa (CED). Si manifesta nelle due visite di A. a Roma nel giugno 1951 e di De Gasperi a Bonn nel settembre successivo. A. si reca a Roma perché soltanto in Italia in quel momento egli è accettato senza riserve e considera a sua volta l’Italia il partner preferito. Il primo viaggio nel Regno Unito avverrà invece solo nel dicembre 1951. Negli Stati Uniti A. invece andrà solo nell’aprile 1953. L’Auswärtiges Amt viene creato il 15 marzo 1951 ed egli ne è il primo titolare. Ciò gli offre l’opportunità di misurarsi in condizioni di parità con i maggiori politici del suo tempo, di dismettere il saio del penitente per salire ben presto al rango dei più autorevoli leader europei.

La questione tedesca pone alla Francia un dilemma apparentemente insolubile. Di fronte alla minaccia sovietica sempre più evidente, la Francia teme la rinascita della Germania, ma non può impedirla. Il 10 maggio 1950 i tre ministri degli Esteri occidentali Ernest Bevin, Dean Acheson, Robert Schuman devono incontrarsi a Londra per discutere della Germania, in particolare del suo futuro industriale, con una Ruhr sotto controllo alleato e la Saar sotto amministrazione francese. È questa la data che Jean Monnet si assegna per presentare il proprio progetto, che viene consegnato al primo ministro Georges Bidault e al ministro degli Esteri Schuman. Il 9 maggio si riunisce il Consiglio dei ministri francese, un messo incontra a Bonn nelle stesse ore A. Allorché l’accordo del Cancelliere è comunicato, il Consiglio ha appena terminato i suoi lavori. Ma Schuman li riprende, illustra il piano e ne ottiene l’approvazione. Successivamente lo annuncia nella Sala dell’Orologio del Quai d’Orsay.

Schuman propone che Germania e Francia entrino in un negoziato per fondere il loro mercato del carbone e dell’acciaio. Una Alta autorità indipendente ne avrebbe assicurato la gestione, con la abolizione di ogni limite alla produzione tedesca.

Il metodo è quello funzionalista della sovranità condivisa tra il potere intergovernativo degli Stati e sovranazionale della Comunità o dell’Unione, secondo le due successive denominazioni da questa assunte nel tempo. Nelle decisioni la rinuncia all’unanimità tra paesi di dimensioni disuguali è compensata dalla ponderazione del voto ma subordinata a due principi. Ai due vinti, la Germania e l’Italia, è riconosciuta assoluta eguaglianza con la Francia. Al Consiglio europeo di Nizza, quasi mezzo secolo dopo, i francesi proveranno a invocare una reale o presunta promessa di A. a Monnet che la parità sarebbe stata mantenuta anche dopo la riunificazione tedesca. Inoltre la distribuzione dei voti impedisce che una decisione possa essere imposta dalla sola coalizione franco-tedesca oppure dal voto congiunto degli altri quattro.

Il metodo ha i caratteri di settorialità e concretezza che ben si confanno alla strategia di A.: si avanza per tappe successive, attraverso segmenti limitati ma nevralgici, sia nella parità che nella condivisione di sovranità. Nonostante talvolta A. deplori che Jean Monnet voglia fare del controllo della Germania una virtù europea, ne condivide subito il principio secondo il quale gli uomini non accettano il cambiamento che nella necessità e non vedono la necessità che nella crisi. La soluzione proposta da Schuman diventerà il prototipo di una integrazione generalizzata che, con la successiva Comunità, resterà ancora economica. Ma l’azione già allora guarda lontano e mira in alto, nel passaggio dal particolare al generale, secondo un processo evolutivo che è stato anche giudicato come dissimulato o mascherato. A. sa che l’integrazione economica non necessariamente conduce all’unità politica. Lo stesso “Zollverein” era stato uno spazio chiuso al centro dell’Europa. E tuttavia il suo dinamismo non era riuscito ad impedire la stagnazione causata dai particolarismi degli Stati membri. La unificazione era nata dalle spinte egemoniche della Prussia e non da un comune accordo. Per la Germania il Trattato di Parigi (CECA) è il 18 aprile 1951 da A., nella sua veste di titolare del ministero degli Esteri.

Alla fine degli anni Quaranta, sono mature le condizioni che inducono il Cancelliere a recuperare parità e sovranità anche nel settore della difesa. Nell’agosto del 1949 la prima bomba atomica sovietica rompe il monopolio americano. Il 1° ottobre nasce la Repubblica Popolare Cinese. Il 25 giugno 1950 la Corea del Nord varca il 38° parallelo in quella che viene interpretata in Occidente non come una direttrice di espansione in Asia bensì come una sorta di diversivo o prova generale che prelude a un attacco in Europa.

A Washington si mette in moto una revisione del containment, consegnata alla famosa Direttiva n. 68 del National security council, una strategia che pone l’accento sulla dimensione militare piuttosto che sociale o politica. È l’avvio di un grande piano di riarmo che cambia anche la sostanza del Patto atlantico. Di colpo diviene obsoleta la risposta periferica, accompagnata da una garanzia nucleare implicita all’Europa. Gli Stati Uniti non possono sostenere da soli due fronti. L’8 settembre 1950 Harry Truman firma un documento che prevede un esercito integrato: l’Europa vi avrebbe partecipato con sessanta divisioni sotto comando americano ma con uno stato maggiore multinazionale.

La Francia a sua volta, sotto la spinta di Monnet, reagisce con un’ipotesi sul modello della comunità carbosiderurgica, anche se il passaggio segna un salto qualitativo dalla sfera degli interessi a quella dei simboli. La alternativa americana e quella europea implicano il recupero per la Germania della piena parità di diritti. Ma il riarmo tedesco diviene l’occasione di una offensiva diplomatica occidentale e di una controffensiva russa, centrate ambedue sulla riunificazione del paese.

Il primo ministro francese René Pleven formula davanti all’Assemblea nazionale, il 24 ottobre 1950, una proposta di Comunità europea di difesa (CED), che comporta non la semplice sovrapposizione di componenti nazionali, secondo le coalizioni di vecchio tipo, bensì la fusione delle risorse umane e materiali sotto un’unica autorità politica e militare. I contingenti forniti dagli Stati partecipanti dovranno essere incorporati a livello di battaglione. Si vuole impedire che le forze tedesche, autonome sul piano operativo, possano disincagliarsi ove necessario dalla struttura comune.

Le idee francesi sembrano un diversivo, suscitano perplessità negli Stati Uniti, indignazione a Mosca, per via di un riarmo tedesco ormai comunque inevitabile. Il dilemma è soltanto se esso debba accadere nel quadro europeo o nel contesto atlantico. I due negoziati iniziano quasi contemporaneamente, nel gennaio e febbraio 1951, a Bonn tra gli Alti commissari e a Parigi sul Piano Pleven. A. avrebbe forse preferito l’opzione americana, la più breve e suscettibile di creare una relazione speciale tra Germania e Stati Uniti. A Parigi si è aperta il 15 febbraio 1951 la Conferenza che negozia il Trattato CECA. Il negoziato militare, a sua volta, produce il 24 luglio 1951, un primo rapporto provvisorio: esso prevede la fusione delle forze armate sotto istituzioni comuni; la non discriminazione; la cooperazione con l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO); la natura difensiva dello strumento militare. Il potere decisorio è nelle mani del Consiglio dei ministri, ma una autorità europea dovrebbe esprimere l’interesse collettivo e disporre di poteri di iniziativa e di gestione. Una Assemblea parlamentare ha funzioni di controllo ed è, per motivi di semplicità, la stessa della CECA.

Un’Assemblea rappresentativa investita di poteri costituenti diventa, a partire dall’ottobre 1951, l’obiettivo fondamentale di De Gasperi e di A. Nel dicembre 1951 le riunioni dell’Assemblea consultiva a Strasburgo e del Consiglio dei Sei a Parigi segnano uno dei momenti più alti nell’europeismo. A. e De Gasperi, a fronte delle incertezze degli altri, ottengono l’inserimento nel progetto di un articolo (l’articolo 38 nella versione finale del Trattato CED) che apre la via alla Comunità politica europea (CPE). Poiché la composizione dell’Assemblea della CED è la stessa della CECA, è a questa che A. chiede il 10 settembre 1952 formalmente di elaborare nello spazio di sei mesi un progetto di statuto. Soltanto cinquanta anni dopo una Convenzione verrà investita nuovamente dai governi della funzione costituente che in ambito internazionale è normalmente riservata alle conferenze diplomatiche. Il 9 marzo 1953 (dopo che il 27 maggio 1952 il Trattato CED era stato firmato ma non ancora ratificato) l’Assemblea ad hoc consegna ai ministri il progetto di comunità politica.

Ma in Francia una coalizione antieuropea accumula nazionalismo, comunismo, neutralismo. La crisi si arricchisce del tentativo sovietico di arrestare il processo facendo leva sulla prospettiva della riunificazione tedesca. Una Nota di Stalin del 10 marzo 1952 prefigura una Germania neutrale entro le frontiere di Potsdam, libera da truppe straniere e dotata di un proprio esercito. La neutralità è intesa nel senso più ampio, comprensivo del divieto di partecipare anche ad organizzazioni economiche, come la CECA.

L’obiettivo sovietico è di impedire l’integrazione anche militare della Germania occidentale nell’Europa e nell’Occidente e di separare l’Europa dagli Stati Uniti. La neutralizzazione implica una sovranità menomata. A. punta invece alla realizzazione del Piano Schuman e alla dislocazione di truppe americane e inglesi sul territorio della Repubblica federale, in base a nuovi Trattati che sostituiscono lo stato di occupazione. Nel mezzo della maturazione del processo di unificazione europea, l’adesione alle proposte sovietiche ne avrebbe arrestato il cammino e probabilmente avrebbe comportato il congedo di A. dalla politica.

Tuttavia è dell’agosto 1953 la prima esplosione termonucleare sovietica. Per Mosca la minaccia tedesca e la disponibilità a pagare un prezzo per evitarla perdono vigore a misura che essi si avvicinano alla soglia della parità nucleare con gli Stati Uniti. Mentre la CED si logora in una permanente ricerca francese di assicurazioni e controassicurazioni, la distensione provocata dalla morte di Stalin e l’evoluzione della situazione e delle dottrine strategiche ne attenua la necessità e l’urgenza.

Il 1953 segna la paralisi della politica europeista quale era stata immaginata dallo statista italiano e da quello tedesco. Nel Consiglio dei ministri della CECA del giugno 1953 l’impressione generale è quella di uno stanco e disilluso gruppo di ministri assai poco inclini allo spirito europeo. Uniche eccezioni sono De Gasperi e il Cancelliere federale. La vittoria elettorale consente ad A. di far passare anche il riarmo nazionale. L’alternativa dell’esercito tedesco in un quadro atlantico finisce per imporsi. L’Italia, del resto, ritarda la ratifica per via di Trieste, nonostante A. sia di nuovo a Roma nella prima metà del 1954. Il 30 agosto la CED cade di fronte al Parlamento francese. Da quel momento la difesa dell’Europa si sostituisce alla difesa europea in un contesto atlantico.

Per tener conto delle esigenze di controllo sulla Germania come pure di quelle degli spiriti più europeisti una Conferenza dei ministri degli Esteri dei Sei nonché del Canada e degli Stati Uniti aggiorna a Londra nel settembre 1954 il Patto di Bruxelles del 1948. I francesi non sono disponibili né a un riarmo della Germania né al sacrificio della difesa nazionale in nome di un sistema integrato che la includa. John Foster Dulles e Anthony Eden ripescano allora l’alternativa della adesione della Germania alla NATO. La Gran Bretagna accetta di stazionare proprie truppe in permanenza sul suolo tedesco. All’Unione dell’Europa occidentale (UEO) aderiscono l’Italia e la Repubblica federale, che diviene anche membro dell’Alleanza atlantica. La Repubblica federale riconquista la piena sovranità, anche se accetta alcune limitazioni in materia di armamenti. Gli accordi, conclusi a Parigi il 23 ottobre 1954, entrano in vigore il 5 maggio 1955. Il 6 maggio la Repubblica federale aderisce all’UEO, il 9 alla NATO; in quello stesso mese nasce il Patto di Varsavia. Il 7 giugno A. passa l’incarico di ministro degli Esteri a Heinrich von Brentano.

La rivolta di Berlino Est del giugno 1953 è per A. la conferma che la unificazione tedesca e l’integrazione europea sono parti necessarie di una stessa politica. Nella campagna elettorale di quell’anno il Cancelliere può far valere l’ascesa internazionale della Germania, la fiducia personale riconquistata in Europa e nel mondo, il recupero del rapporto con Israele, anche attraverso l’indennizzo delle vittime del nazismo. Un vero trionfo è la sua prima visita negli Stati Uniti, nell’aprile 1953, preceduta di pochi giorni dall’accordo con Israele sull’entità del risarcimento, non senza una forte opposizione all’interno del suo stesso governo. La somma, due miliardi di dollari, equivale alla metà di quella ricevuta dalla Repubblica federale con il Piano Marshall. Il voto del 6 settembre assegna all’Unione il 45,2% dei suffragi, contro il 28,8% dei socialisti.

Tra l’agosto e il settembre del 1954, con la caduta della CED, che A. definisce il giorno più buio per l’Europa, la ricostruzione del continente si interrompe bruscamente: la sua sicurezza è rimessa in gioco, il grande sogno unitario ridotto senza domani. A. vede compromesse le sue speranze di esorcizzare nei tedeschi il gioco dell’altalena. Ma ancora una volta, come per il riarmo, un impulso decisivo viene dall’esterno, dalla crisi del colonialismo europeo.

L’integrazione riparte dalla Conferenza dei ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda (v. Paesi Bassi) e Lussemburgo a Messina nel giugno 1955 (v. Conferenza di Messina). In Germania A. è favorevole all’integrazione per ragioni politiche; ma il suo ministro dell’Economia, Ludwig Erhard, e l’industria preferiscono il libero mercato e temono un approccio dirigista. A. non è molto ferrato in materia economica e quindi a disagio con un avversario come Erhard. A Messina si costituisce il Comitato di esperti presieduto da Paul-Henri Spaak, che nell’aprile del 1956 pubblica il suo rapporto sul Mercato comune e sulla Comunità europea dell’energia atomica (Euratom).

I negoziati cominciano a settembre, in coincidenza con la doppia crisi di Suez e dell’Ungheria. I Trattati di Roma che istituiscono la Comunità economica europea (CEE) e sull’Euratom, firmati il 25 marzo 1957, sono ratificati dal Bundestag nel luglio successivo. L’ultima ratifica, italiana, interviene a dicembre. L’intero negoziato era durato solo nove mesi, contro i quindici della CECA e i ventisette della CED.

Negli anni Cinquanta A. è oggetto di una furibonda polemica guidata da Schumacher e in genere di tutta la sinistra, che lo accusa di svendere l’unità nazionale per compiacere il capitalismo occidentale. In realtà A. è tutt’altro che un avversario dell’unità e nella difesa della Saar mostra la determinazione a evitare ulteriori amputazioni. Il Cancelliere si oppone comunque a ogni ipotesi che sacrifichi, anche in nome dell’unità, l’inserimento nella comunità occidentale. A. è fermissimo nell’anteporre la libertà al recupero dei territori orientali e ha in J.F. Dulles il maggiore alleato, come De Gasperi lo era stato nel processo di integrazione europea.

Charles de Gaulle è il leader privilegiato del Cancelliere nell’ultimo tratto del suo cammino: un partner indispensabile per inserire la Germania in una struttura europea meno dominata dagli Stati Uniti. De Gaulle pensa a una Europa degli Stati nella quale la Francia abbia il ruolo egemone che la Prussia aveva avuto nella Germania di Bismarck. L’equilibrio deve essere duplice, all’interno del continente, tra i tre partner principali, Francia, Germania e Russia; sul piano globale, con la crescita dell’Europa a fronte delle due superpotenze.

Nella crisi di Berlino il Cancelliere vede di nuovo in pericolo la sua scelta occidentale, di fronte alla politica insidiosa di Mosca. L’opposizione socialdemocratica sembra a sua volta tentata dalle illusioni della terza via di una Germania che si congedi dai due sistemi di sicurezza, un’ipotesi che invece per A. significa la rinuncia alla vera ragion di Stato della Repubblica federale. Nell’incontro tra Chruščëv e John Kennedy, a Vienna nel giugno 1961, quest’ultimo ribadisce le tre condizioni che resteranno la linea occidentale per tutto l’arco della Guerra fredda: accesso a Berlino; libertà per la sua popolazione; presenza di un presidio militare occidentale. La tensione cresce fino alla costruzione del muro di Berlino il 13 agosto 1961. Si consolida definitivamente la gerarchia dei valori della Repubblica federale: prima l’ancoraggio all’Occidente; poi la pace; e solo come ultima istanza, più lontana nel tempo, la riunificazione.

Nel 1958, nel pieno della crisi di Berlino, A. sonda cautamente se l’Unione Sovietica sia disposta ad accondiscendere a una ipotesi di neutralità verso l’esterno e di democrazia all’interno, in cambio del riconoscimento delle sue conquiste. Mosca rifiuta. La RDT era già parte integrante del Patto di Varsavia ed era divenuta ancora più importante dopo la sollevazione ungherese del 1956. Sottrarla al controllo sovietico avrebbe suscitato a Est speranze che la potenza egemone ritenne sempre di dover deludere.

Tornato al potere de Gaulle, contro le previsioni di molti, non chiede di rivedere i Trattati comunitari. Ma a metà gennaio del 1962 ottiene che l’agricoltura sia inserita pienamente nel mercato comune, costruendo quel contratto agroindustriale a base franco-tedesca che sarà una delle cerniere dell’integrazione economica. Con la proposta della Commissione presieduta da Christian Fouchet, negoziata dal luglio 1960 all’aprile 1962, tenta di costruire l’Europa secondo un modello confederale (v. Piano Fouchet), con l’estensione delle competenze dell’Unione alla politica estera, difesa e cultura. L’occasione di de Gaulle è lasciata cadere ed al suo posto si ha la fondazione dell’asse Parigi-Bonn, cui volentieri acconsente A., nel timore che sulla Germania possa stringersi la morsa di un accordo franco-russo. Il patto è firmato il 22 gennaio, la settimana precedente il generale aveva messo il veto all’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità europea.

Le crisi di Berlino e di Cuba, la costruzione del muro congelano definitivamente lo status della Guerra fredda. Ai tedeschi è più facile e prudente adattarsi al muro che cercare di demolirlo. Le potenze maggiori accettano le regole della pace nucleare. A partire da lì il problema è di accordarsi in condizioni di parità e di creare le premesse per la distensione. Ma questo sarà il compito dei successori del Cancelliere. Nel gennaio 1963 Chruščëv annuncia che il successo del Muro ha reso superflua una pace separata. La crisi di Berlino è definitivamente superata.

L’era di A. si chiude definitivamente il 15 ottobre 1963, dopo un’ultima vittoria elettorale nel settembre 1961. Il Cancelliere vivrà fino all’aprile 1967. Il suo retaggio sarà quello di essere riuscito a liberare i tedeschi dal loro passato ed il paese dalla sua geografia. Con lui inizia un’altra storia, opposta a quella che con Bismarck aveva preso l’avvio dal 1871. La sua Westpolitik riporta la Germania alla situazione esistente prima dell’egemonia prussiana. A. realizza un’impresa straordinaria, mettendo fine al vagabondaggio nella ricerca di una “via special” (Sonderweg). Molti anni dopo l’antica, catastrofica spinta verso Est avrà non il volto egemonico di sempre, bensì i tratti condivisi dell’allargamento dell’Unione europea. L’europeismo conservatore degli anni Cinquanta ha tanto successo anche perché, diversamente dal nazionalismo, non è discreditato dalla storia, bensì ulteriormente legittimato dal confronto Est-Ovest. Populismo e nazionalismo non varcheranno mai più, nei decenni successivi, fino ai giorni nostri, la soglia minima necessaria ad avere una rappresentanza parlamentare. La Germania si congeda definitivamente da quella concezione aristocratica, politicamente reazionaria e culturalmente antioccidentale della quale Le considerazioni di un impolitico di Thomas Mann rappresentano una sorta di manifesto. Diventa il perno intorno al quale ruotano i due schieramenti, il solo Stato successore del Reich, mentre la RDT è priva di ogni legittimità. È Bonn che determina le condizioni del rapporto Est-Ovest: integrazione del suo paese con l’Occidente; unificazione solo in base a libere elezioni; fissazione delle frontiere unicamente secondo un accordo negoziato. Il Cancelliere realizza l’aspirazione che aveva guidato Bismarck: rendere impossibile una vasta coalizione contro la Germania.

I funerali del Cancelliere assumono uno straordinario valore simbolico, con il trasferimento delle sue spoglie lungo quel Reno che egli aveva saputo trasformare in baricentro dell’Europa occidentale, cuore di un sistema di relazioni sociali e di processi produttivi. Ai lati e sui ponti del fiume si raccoglie spontaneamente una folla immensa. All’inizio del 2004 un sondaggio della maggiore rete televisiva tedesca collocherà A. al vertice assoluto nella lunga e travagliata storia della Germania, prima di Lutero e di Bismarck.

Silvio Fagiolo (2012)

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