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Veil, Simone

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V. (Nizza 1927) nasce da una famiglia ebraica stabilitasi in Francia da diverse generazioni. Nel 1944 è arrestata e deportata ad Auschwitz-Birkenau. Solo due delle sue sorelle sopravvivranno alla prova della guerra e del campo di concentramento. Liberata nel gennaio 1945, si iscrive alla Facoltà di diritto di Parigi e segue i corsi dell’Institut d’Études politiques.

Dopo aver seguito il marito in Germania dal 1950 al 1953 e aver concluso gli studi di diritto, vince il concorso per entrare in magistratura nel 1957. Fino al 1970 ricopre diversi incarichi al ministero della Giustizia, fra l’altro nella direzione dell’amministrazione penitenziaria e poi in quella degli affari civili.

Pur interessandosi ai problemi dell’attualità e frequentando personalità del mondo politico, V. non ha incarichi politici in questo periodo e non milita in nessun partito. Dichiara di essersi appassionata all’esperienza di Pierre Mendès France e di essere attratta dalla novità rappresentata da “L’Express”. Senza essere gollista, ritiene che solo Charles de Gaulle sia in grado di risolvere la crisi algerina, lasciandosi convincere dai collaboratori del generale che quest’ultimo non è contrario all’indipendenza. Per spiegare questa sua reticenza nei confronti del generale e delle sue idee, V. scrive nelle sue memorie di non aver apprezzato l’uso del referendum come momento di verifica e di confronto della propria legittimità. Tuttavia sottolinea come sia stata la «freddezza», per non dire il «rifiuto», nei confronti dell’Europa di de Gaulle a rappresentare «sempre […] il freno essenziale» che l’ha «dissuasa dal votare per i gollisti».

Quindi, se pure V. non può essere considerata una gollista, nel 1969 vota ugualmente senza esitazioni per Georges Pompidou. A quest’epoca risalgono i suoi primi passi nella carriera politica, nella quale esordisce sotto il segno delle sue competenze tecniche. Il nuovo ministro della Giustizia René Pleven, che le aveva già proposto senza successo nel 1964 di assumere la segreteria di una commissione di studi all’Assemblea nazionale sull’adozione, questa volta le offre un posto di consigliere tecnico nel suo ministero. V. mantiene l’incarico per un anno, durante il quale fa pratica della vita parlamentare. Nel 1970 Pompidou la nomina segretario del Consiglio superiore della magistratura, poi nel 1972 è incaricata di rappresentare lo Stato nel consiglio d’amministrazione dell’Office de radiodiffusion-télévision française (ORTF).

Nel 1974 la carriera di V. subisce una brusca accelerazione quando Valéry Giscard d’Estaing, che intende dimostrare mediante l’adozione di una legge sull’aborto i cambiamenti tanto annunciati nella sua campagna presidenziale, decide di rivolgersi a lei. Fino al 1979 è nel governo come ministro della Sanità (7 maggio 1974-29 marzo 1977), poi della Sanità e della sicurezza sociale (29 marzo 1977-3 aprile 1978), poi della Sanità e della famiglia (3 aprile 1978-4 luglio 1979). La legge sull’interruzione volontaria della gravidanza viene adottata ed entra in vigore il 17 gennaio 1975.

Non è l’unico risultato della presenza di V. nel governo, ma è quello che contribuisce maggiormente ad accreditare tra i francesi l’immagine di un’esperta di questioni sanitarie (e più in generale sociali), ma soprattutto quella di una personalità forte e indipendente. Sullo scacchiere politico nazionale V. si colloca al centro: né troppo a destra (condanna con fermezza l’estrema destra, ma è anche contraria al conservatorismo di Raymond Barre e del suo governo e, in seguito, al liberalismo puro di Pasqua nel governo presieduto da Édouard Balladur, o al “sovranismo” della destra gollista in materia europea), né troppo a sinistra – profondamente anticomunista, non apprezza le derive della sinistra nel maggio del ’68 e, sebbene abbia votato più volte per la Section française de l’Internationale ouvrière (SFIO) sotto la IV Repubblica, non si riconosce affatto nel socialismo dell’era di François Mitterrand.

V. assume posizioni moderate nella maggior parte delle questioni, tuttavia mostrando sempre una forte sensibilità sociale. Malgrado i pochi mesi di impegno nelle file dell’Union pour la démocratie française (UDF), non è mai stata una donna di partito. Invece partecipa alle riunioni del “club Vauban”, che il marito ha fondato negli anni Ottanta e che coinvolge personalità di destra e di sinistra per tentare di gettare un ponte tra le diverse formazioni, in particolare sulle questioni europee.

Se quindi V. si fa una reputazione di esperta di questioni sociali, in particolare quelle legate alla sanità pubblica, l’Europa rappresenta l’altro risvolto delle sue battaglie politiche. Si tratta, ai suoi occhi, della «posta in gioco più importante da oltre mezzo secolo». Un’Europa la cui vocazione sia quella di costruire e mantenere la pace, salvaguardare e diffondere la democrazia, sviluppare la solidarietà tra i popoli, difendere i diritti e la dignità dell’uomo.

Come gran parte di quelli della sua generazione, che in un modo o nell’altro erano stati profondamente coinvolti nella Seconda guerra mondiale, V. considera l’Europa il solo mezzo per ricavare delle lezioni dal passato. All’indomani della guerra l’intesa franco-tedesca, in particolare, rappresentava una premessa necessaria alla ripresa di un continente devastato dalla “guerra dei trent’anni” e minacciato dalla Guerra fredda: l’Europa doveva rappresentare la cornice di questa riconciliazione.

In principio V. milita a favore di un’Europa federale e si rammarica per il rifiuto della Comunità europea di difesa (CED), che è stata secondo le sue stesse parole una delle sue «convinzioni [politiche] più incrollabili» dell’epoca. Ostile al “sovranismo” dei gollisti, convinta che la sopravvivenza del vecchio continente, la sua capacità di restare un attore di primo piano sulla scena internazionale, dipendano ampiamente dalla capacità di sviluppare un mercato comune e una politica estera almeno in parte comune anche che la costruzione europea per la quale V. milita da sempre a suo avviso non è «in contraddizione con solide relazioni atlantiche».

A partire dagli anni Ottanta, le sue posizioni federaliste si attenuano gradualmente (v. Federalismo) e V. si pronuncia a favore di una “confederazione intergovernativa”. Quest’evoluzione è determinata da pragmatismo e realismo: gli allargamenti successivi – ai quali dà tutto il suo appoggio, a eccezione della Turchia (e, all’epoca, della Grecia, il cui ingresso era a suo parere prematuro) – rendono la realizzazione di una federazione sempre più complicata (v. anche Allargamento). Fra l’altro i primi nuovi membri, in particolare il Regno Unito e la Danimarca, tradizionalmente ostili alla sovranazionalità e più atlantisti che europeisti, avevano rafforzato il peso dei sostenitori di un’Europa intergovernativa. Inoltre, dalla fine degli anni Ottanta, V. ritiene che l’evoluzione delle mentalità si muova in direzione di un’accentuazione dell’attaccamento all’identità nazionale. Un attaccamento che ora è molto più forte di vent’anni prima, malgrado la crescita dei fenomeni migratori e della circolazione diffusa di persone e informazioni. I rischi di un rigurgito di nazionalismo o semplicemente di predominio degli interessi nazionali su quelli comunitari sono stati accentuati, secondo V., dal Trattato di Nizza, che concedendo a ogni membro un solo commissario, ha fortemente squilibrato il sistema voluto dai padri fondatori in cui è riconosciuto il peso dei grandi paesi.

Se per tentare di risolvere le difficoltà politiche dell’Europa V. è favorevole a mettere in risalto i fondamenti di un’identità europea condivisa da tutti, sottolinea tuttavia quanto sia difficile trovare i riferimenti culturali comuni (in particolare, il riferimento alle radici cristiane è a suo avviso inadeguato a causa del declino della pratica religiosa). Tanto più che «l’Europa non deve incarnarsi in un semplice strumento di potenza sul piano industriale, quanto piuttosto affermarsi come un modello senza precedenti nella Storia della nostra civiltà».

Per quanto riguarda la sua carriera in senso stretto, V. entra in contatto una prima volta con le Istituzioni comunitarie come segretario del Consiglio superiore della magistratura (1970), quando in questa veste rappresenta la cancelleria nelle commissioni del Consiglio d’Europa. Ma il vero debutto risale all’estate 1979, quando su richiesta di Giscard guida la lista dell’Union pour la France et l’Europe (UDF) nelle prime Elezioni dirette del Parlamento europeo a suffragio universale. Pur essendo una figura politica atipica, senza alcuna esperienza elettorale e ai margini dei partiti, V. gode di una grande popolarità, soprattutto fra le donne.

L’elezione è un successo a livello nazionale: la lista UDF supera ampiamente i suoi concorrenti, in particolare i gollisti (l’UDF ottiene il 27,5% dei suffragi, il Partito socialista il 23,5%, il Partito comunista il 20,5% e il Raggruppamento per la Repubblica il 16,2%). V. abbandona il governo per dedicarsi al nuovo compito e Giscard fa tutto quanto è in suo potere per farla eleggere presidente del Parlamento europeo.

Inoltre, il prolungamento della presidenza di Emilio Colombo fino alle elezioni del 1979 era la contropartita di un accordo fra democratici cristiani e liberali: i loro voti sarebbero andati al candidato liberale alla presidenza del Parlamento e in cambio, la volta successiva, i voti liberali sarebbero confluiti sul candidato democratico cristiano. L’accordo viene confermato in luglio, anche se la candidatura di V. incontra parecchie resistenze. Gaston Thorn, presidente dell’Internazionale liberale e sostenuto da numerosi liberali, aspira alla carica (è necessario un voto interno al gruppo liberale per designare il candidato). Democratici cristiani (soprattutto tedeschi e italiani) e conservatori sono sensibili al fatto che V. aveva fatto adottare in Francia la legge sull’aborto. Secondo una testimonianza di Jean Lecanuet, tuttavia, all’epoca presidente dell’UDF e deputato europeo (testimonianza confermata da Pierre Pflimlin nelle sue memorie), in particolare gli italiani sono ostili alla sua candidatura, non tanto nei confronti della «Signora aborto», quanto nei confronti di Giscard che sospettano di voler stabilire un asse franco-tedesco ai loro danni. Quindi sarà necessario un intenso lavoro di Giscard e dei suoi collaboratori con numerosi parlamentari – e due turni di scrutinio – per riuscire a eleggere V., con una maggioranza molto risicata (3 voti in più della soglia richiesta).

Dopo un esordio difficile, in particolare per l’ostruzionismo messo in atto dalle formazioni di minoranza (soprattutto il Partito radicale italiano) allo scopo di farsi riconoscere il diritto di costituirsi come gruppo, o per il rinvio, in mancanza di accordo, della designazione delle commissioni, V. orienta la sua azione nel senso di una ridefinizione del regolamento del Parlamento, per adattarlo alle novità introdotte dall’elezione a suffragio universale (il nuovo regolamento alla fine è adottato nel 1981), di un rafforzamento dell’immagine del Parlamento in Europa e fuori dall’Europa, di un’affermazione dell’autorità del Parlamento all’interno delle istituzioni europee.

Nel discorso inaugurale V. aveva dichiarato che «la nuova autorità del Parlamento» (sulla base dei Trattati del 1970 e del 1975 che gli attribuiscono più ampi poteri finanziari) l’avrebbe portato a «rafforzare la propria azione in due campi: da un lato, esercitare più democraticamente la sua funzione di controllo, dall’altra svolgere con maggior vigore un ruolo di impulso alla costruzione comunitaria». Nel primo caso intendeva il controllo del bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) e della politica generale, nel secondo il rafforzamento del lavoro in comune tra le diverse istituzioni, nel rispetto dell’autonomia di ciascuna di esse, mediante consultazioni ma anche nel quadro della nuova procedura di concertazione che permette al Parlamento di partecipare alle decisioni (v. Decisione) legislative delle comunità.

V. cerca di rafforzare l’autorità del Parlamento rifiutando di firmare il piano di spesa della Comunità economica europea (CEE) per il 1980. In effetti, il Parlamento aveva la prerogativa di votare il bilancio (dal 1975 approva definitivamente il bilancio e può respingerlo), ma l’unico potere reale all’epoca riguarda il controllo delle spese non obbligatorie (sulle quali può dire l’ultima parola dal 1970). Il 13 dicembre 1979 gli eurodeputati, a larga maggioranza, respingono il bilancio del 1980 presentato dal Consiglio dei ministri. Avevano chiesto che nel quadro delle spese non obbligatorie fosse previsto un aiuto contro la fame nel mondo. Di fronte al rifiuto di V. di firmare il piano di spesa il governo francese, che si era mostrato il più contrario alle richieste dei parlamentari, decide di presentare un ricorso davanti alla Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) (Mitterrand in seguito lo ritirerà).

V. tenta anche di rafforzare l’autorità del Parlamento prendendo posizione su diverse questioni. In occasione di un viaggio ufficiale negli Stati Uniti, alla fine del gennaio 1980, si dichiara favorevole al boicottaggio dei Giochi olimpici di Mosca in risposta all’intervento sovietico in Afghanistan. È la posizione degli Stati Uniti, ma gli Stati europei sono divisi sull’argomento. Il 16 gennaio il Parlamento aveva adottato una risoluzione in cui si limitava a condannare l’ingerenza sovietica. Alla fine, il 15 febbraio, dopo molte polemiche il Parlamento adotta una seconda risoluzione in cui precisa la propria posizione, chiedendo ai governi dei Nove di pronunciarsi a favore del boicottaggio. Difficilmente avrebbe potuto spingersi più in là.

Il 19 gennaio 1982 V. restituisce il suo mandato, come prevede l’accordo tacito fra i gruppi democratico-cristiano e liberale per una presidenza di avvicendamento a metà mandato (30 mesi). Dopo aver esitato a ripresentarsi, alla fine ritira la propria candidatura. Quindi assume la presidenza della commissione giuridica del Parlamento e partecipa anche attivamente all’Internazionale liberale e alla Federazione dei partiti liberali europei. In occasione delle elezioni europee del 17 giugno 1984 impone e guida una lista unica di tutta la destra, Liste d’union pour la France en Europe. La “lista V.” ottiene il 43% dei suffragi, ossia la metà degli 81 seggi assegnati alla Francia. Quindi V. viene eletta presidente del gruppo liberale, democratico e riformista (v. anche Gruppi politici al Parlamento europeo). Dopo aver rifiutato, nel 1989, di ripetere l’esperienza della lista unica, preferendo una lista centrista che otterrà solo l’8,4% dei voti, dal 1989 al 1993 V. è una semplice deputata europea, che partecipa a molti incontri, in particolare con i paesi terzi, e a commissioni sui problemi posti dalla caduta del Muro di Berlino e dall’ingresso dei paesi dell’Est in Europa.

A partire dal 1993 l’azione politica di V. si inserisce nuovamente nella cornice nazionale, infatti è chiamata da Balladur come ministro incaricato degli Affari sociali, della Sanità e delle Aree urbane. Pur non avendo più un mandato elettivo nelle istituzioni europee, prosegue ugualmente la sua azione a favore dell’Europa. Non appena si libera delle funzioni ministeriali (nel 1995), propone la propria candidatura per il posto di mediatore, figura prevista dal Trattato di Maastricht, la cui designazione, tuttavia, era stata rinviata a causa di disaccordi. Alla fine non viene nominata, ma nel 1996 le viene chiesto di far parte della commissione internazionale per i Balcani sotto la presidenza di Léo Tindemans. Le viene proposto anche di guidare il Gruppo, creato nel gennaio 1996, incaricato di occuparsi dei problemi concreti di circolazione delle persone (v. Libera circolazione delle persone). Nel rapporto, presentato nel 1997, sono formulate 80 proposte per migliorare la legislazione esistente. Tuttavia, il Parlamento respinge con 245 voti contrari, 230 a favore e 57 astensioni la relazione di Anne Marie Schaffner sul rapporto V. Erano emerse, in particolare, divergenze sui diritti dei ressortissants dei paesi terzi.

Nel 1997-1998 V. è nominata presidente del Consiglio superiore per l’integrazione, poi membro del Consiglio costituzionale, incarico che manterrà fino al 2007. Secondo la stampa dell’epoca e la sua stessa testimonianza, l’allora presidente del Senato René Monory, al quale spettava il compito di assegnare uno dei posti di consigliere, l’aveva scelta anche per controbilanciare il peso degli altri due neofiti, Pierre Mazeaud e Yves Guena, entrambi noti per il loro “sovranismo”, in una fase in cui uno degli incarichi del Consiglio costituzionale sarebbe stato lo studio dell’adattamento della Costituzione all’Europa. Nelle sue memorie V. conferma che il problema della priorità del diritto comunitario sulla legislazione francese fu dibattuto molto a lungo in questa circostanza. Inoltre V. ha fatto parte di un gruppo di lavoro sulle «prospettive spirituali e culturali nell’Europa allargata».

Essendo tenuta al dovere di riservatezza come membro del Consiglio costituzionale, V. si mette in congedo dall’istituzione nel 2005 per potersi impegnare nella battaglia per il referendum del 29 maggio a favore del “sì”. Gli Stati erano ormai incapaci di difendere da soli i loro interessi di fronte della globalizzazione; la figura del presidente del Consiglio, eletto per due anni e mezzo, avrebbe dovuto permettere all’Europa di parlare con una voce sola sulla scena internazionale. Il Trattato che istituisce la Costituzione europea semplificava, inoltre, le istituzioni, rendendole più democratiche (gli atti legislativi sarebbero stati frutto di una Codecisione fra il Consiglio e il Parlamento). Infine, V. insiste fortemente sulla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: con il rigurgito di tensioni a livello internazionale, a suo parere, l’Europa deve affermarsi in quanto tale e farsi carico dei propri valori (in particolare la democrazia e la pace, ma anche la tolleranza, l’umanesimo, ecc.).

Christine Vodovar (2005)

Bibliografia

Sarazin M., Une femme, Simone Veil, Laffont, Paris 1987.

Szafran M., Simone Veil: destin, Ed. j’ai lu, Paris 1996.

Veil S., Une Vie, Stock, Paris, 2007.