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Politica della trasparenza

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Il concetto di trasparenza

Il concetto di trasparenza – secondo una accezione corrente – si riferisce a comportamenti posti in essere dalle autorità pubbliche, o da soggetti privati con competenze di carattere politico o economico di rilevanza pubblica, volti a rendere palesi le finalità e gli obbiettivi che si intendono raggiungere, come anche i metodi utilizzati per la loro realizzazione. In questo senso, il concetto di trasparenza si affianca a quello di democrazia, trovando applicazione in una società libera, fondata sul riconoscimento dei diritti e sulla partecipazione degli individui al suo funzionamento e al suo sviluppo.

In una accezione più specifica, la trasparenza si riferisce a un comportamento delle autorità amministrative tale da garantire la conoscenza di atti e di documenti prodotti dalle stesse autorità, concernenti pratiche amministrative non ancora concluse, che formano gli archivi “correnti”. In questa ottica, la trasparenza si realizza mediante l’esercizio di un diritto di accesso ai documenti, riconosciuto con una apposita normativa in capo ai cittadini e a soggetti comunque legittimati a tutelare interessi propri.

Occorre in proposito sottolineare che il diritto di accesso, riconosciuto in via astratta dalla normativa comunitaria a tutti i soggetti interessati, è sottoposto a limitazioni di carattere soggettivo (anche le leggi vigenti negli Stati membri non sono uniformi nell’estendere a tutti i richiedenti il diritto di accesso, ponendo delle condizioni), e di carattere oggettivo (non tutti i documenti sono consultabili). In sostanza, le leggi sul diritto di accesso ai documenti amministrativi “correnti”, hanno anche lo scopo di tutelare interessi pubblici (nel caso in cui il documento o i documenti richiesti contengano informazioni lesive di interessi nazionali e internazionali) e privati (ad esempio la legislazione sulla tutela dei dati personali).

L’esercizio del diritto di accesso agli archivi correnti si attiva con un procedimento consistente nella richiesta, da parte dei soggetti in questione, rivolta agli uffici produttori di documenti, alla quale deve corrispondere, in presenza di determinate condizioni e nel rispetto di regole poste a tutela di particolari fattispecie documentarie, una risposta da parte dei medesimi uffici. Peraltro, il concetto di trasparenza amministrativa implica anche un comportamento “attivo” delle autorità amministrative, volto a rendere disponibili, senza bisogno di richieste, alcune fattispecie documentarie per le quali è prevista la pubblicazione, con l’approntamento di strumenti di supporto, quali la redazione di registri contenenti le informazioni sui documenti e la diffusione per mezzo degli strumenti elettronici per semplificare e abbreviare la ricerca.

La realizzazione della trasparenza e dei comportamenti che ne conseguono si fondano dunque su una legislazione che ne definisce i tempi, le modalità, la fattibilità e soprattutto la compatibilità con gli orientamenti politici nazionali ed europei. Il che significa che spesso la trasparenza e il diritto alla informazione dei cittadini possono entrare in conflitto con interessi economici, di sicurezza interna e internazionale che assumono una importanza prioritaria rispetto ai diritti della “società della informazione”.

Non a caso infatti, la trasparenza, nelle accezioni generale e particolare esposte in precedenza, è strettamente connessa, da un lato, al complesso dei diritti riconosciuti ai cittadini e a categorie di soggetti che vivono e svolgono attività legittimamente riconosciute nel territorio dell’Unione europea, dall’altro, alle molteplici iniziative intraprese dalle Istituzioni comunitarie in ordine alla Politica dell’informazione e della comunicazione. Si tratta di un settore di grande rilevanza per la governance europea perché finalizzato a stimolare l’interesse dei cittadini a partecipare al processo di integrazione (v. Integrazione, metodo della), per rafforzare la democrazia e la fiducia nei confronti dell’assetto politico, giuridico e istituzionale comunitario. D’altra parte, il percorso si presenta complesso e accidentato a causa delle difficoltà, opposte da alcuni Stati membri e da organizzazioni operanti in ambito comunitario, tra le quali le organizzazioni non governative (ONG) e l’Ufficio europeo dell’ambiente (v. anche Politica ambientale), ad accettare alcune inevitabili limitazioni poste dalla normativa comunitaria (v. anche Diritto comunitario) proprio in ordine alla trasparenza, chiamando in causa il riconoscimento del diritto all’informazione. Difficoltà che le istituzioni comunitarie tentano di superare svolgendo azioni e iniziative parallele nell’ambito della politica dell’informazione.

La trasparenza e il diritto di accesso ai documenti delle istituzioni dell’UE

La regolamentazione dell’accesso ai documenti amministrativi correnti è entrata in vigore a partire dagli anni Novanta, ma è stata preceduta dalla normativa concernente l’apertura al pubblico degli archivi storici delle istituzioni comunitarie, adottata agli inizi degli anni ottanta, circa un trentennio dopo la creazione delle tre Comunità (v. Comunità europea del carbone e dell’acciaio; Comunità economica europea; Comunità europea dell’energia atomica). Si ricorda che le istituzioni comunitarie di riferimento sono la Commissione europea, il Consiglio dei ministri, il Parlamento europeo. Si tratta del Regolamento CEE Euratom del Consiglio del 1° febbraio e della Decisione CECA della Commissione dell’8 febbraio 1983. È utile rilevare, a questo proposito, che il concetto di “trasparenza” non si applica, in senso proprio, a questa fattispecie documentaria. Tuttavia, le motivazioni, che costituiscono la parte introduttiva della normativa sulla apertura degli archivi storici, sottolineano non solo la funzione di facilitare la ricerca storica, ma anche quella di “informare”, ovvero di consentire la conoscenza della struttura istituzionale dell’ordinamento comunitario, considerata fondamentale per avvicinare i cittadini alla Unione, ovvero alla entità sovranazionale nella quale riconoscersi. In questo senso, l’accesso alla documentazione archivistica rappresenta lo strumento più adatto per il conseguimento di questo scopo.

Le due leggi comunitarie del 1983 hanno seguito il percorso legislativo già segnato, in ordine a questa materia, dagli Stati membri e dalle Organizzazioni internazionali, e hanno posto la regola dei trent’anni dalla data di produzione dei documenti per la loro consultazione, avvicinandosi così alla normativa vigente in alcuni Stati per regolare l’accesso agli archivi. D’altra parte, si è adottata una legislazione cosiddetta “vincolante”, per obbligare gli Stati membri, nei cui archivi sono conservati documenti prodotti dalle istituzioni o di interesse comunitario, a seguire le regole poste nel Regolamento e nella Decisione, dal momento che alcune leggi nazionali in materia di accesso contengono termini più brevi o più lunghi rispetto al termine dei 30 anni.

Nella parte dispositiva del Regolamento e della Decisione sono contenute le definizioni concernenti la documentazione, le regole di procedura e di gestione per l’accesso ai documenti nonché i limiti alla consultazione.

A proposito dei limiti alla consultazione si rileva che riguardano i fascicoli del personale delle Comunità europee, i documenti e gli atti contenenti informazioni relative alla vita privata o professionale di una determinata persona. Si tratta di documenti che costituiscono una categoria a parte, concernente la protezione dei dati personali che sarà poi regolata da una specifica normativa comunitaria. Sono altresì esclusi dall’accesso «i documenti e gli atti promossi dinanzi alla Corte di giustizia […] in quanto istanza giurisdizionale», mentre sono consultabili le sentenze con le relative motivazioni. Sono anche esclusi «i documenti e gli atti considerati, secondo altre norme e usi instauratisi in materia in seno a ciascuna istituzione, come riservati o appartenenti ad una categoria più severamente protetta», quindi sottoposti a classificazione, «a meno che non siano stati declassificati».

Di questa categoria di documenti sottoposti alla procedura di classificazione non si indica la tipologia, lasciata alla valutazione delle istituzioni e posta nei regolamenti interni. È invece resa esplicita nell’art. 3 del Regolamento la tipologia dei documenti classificati in ambito Euratom. Si tratta di documenti e atti classificati «in una delle categorie di segretezza di cui all’art. 10 del Regolamento n. 3 del Consiglio del 31 luglio 1958», relativo alla applicazione dell’art. 24 del Trattato istitutivo della CEEA. Il Regolamento n. 3 del 1958 è stato prodotto dalla necessità di tutelare un settore particolarmente importante ai fini della sicurezza comune, quale appunto quello dell’energia atomica utilizzata per scopi pacifici.

Anche se l’apertura degli archivi storici al pubblico si pone nell’ambito della politica della informazione, tuttavia non risulta ancora definito il concetto di “trasparenza”. Un primo riferimento si trova nella Dichiarazione n. 17 allegata all’Atto finale del Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992: «La Conferenza intergovernativa ritiene che la trasparenza del processo decisionale rafforzi il carattere democratico delle istituzioni, nonché la fiducia del pubblico nei confronti della amministrazione», sottolineando così la necessità di rendere trasparente il Processo decisionale. La trasparenza ha avuto formale applicazione con l’apertura degli archivi correnti, avvenuta a seguito della pubblicazione di tre Codici di condotta, il primo approvato dal Consiglio e dalla Commissione il 6 dicembre 1993, il secondo adottato con la Decisione del Consiglio del 20 dicembre 1993 e infine, di un terzo Codice di condotta adottato dalla Commissione l’8 febbraio 1994 con la Decisione n. 94/90/CECA CEE Euratom.

Il Parlamento europeo ha invece consentito l’accesso ai suoi documenti con la Decisione del 10 luglio 1997 entrata in vigore il 1° ottobre dello stesso anno.

Nel Codice del 1994 il Consiglio e la Commissione, congiuntamente, ribadivano due principi generali. In primo luogo la possibilità «per il pubblico» di usufruire del «più ampio accesso possibile» ai documenti del Consiglio e della Commissione, che però risultava limitato dal regime delle eccezioni che escludeva obbligatoriamente dalla consultazione numerose categorie di documenti contenenti informazioni la cui divulgazione avrebbe potuto danneggiare interessi pubblici e privati e il processo decisionale delle istituzioni interessate. In secondo luogo la definizione di documento, inteso come «ogni scritto, indipendentemente dal suo supporto, contenente dati esistenti in possesso della Commissione e del Consiglio». Di conseguenza non risulta rilevante la configurazione formale del supporto, ma solo il contenuto: in questo contesto appare evidente che la disciplina dell’accesso, considerata uno dei mezzi di attuazione della trasparenza, appartiene anche all’attività informativa, sia pure applicata alla documentazione archivistica.

In caso di ricusazione della domanda, l’istituzione interessata doveva motivare il suo diniego e indicare i mezzi di tutela, ovvero la denuncia al Mediatore europeo o il ricorso giurisdizionale. Tuttavia, nonostante gli strumenti di tutela, il diritto di accesso risulta essere una sorta di concessione da parte delle istituzioni piuttosto che un diritto originario dei cittadini.

Il riconoscimento formale del diritto di accesso ai documenti delle istituzioni è avvenuto con il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 (entrato in vigore il 1° maggio 1999), che all’art. 255 così dispone: «Qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia sede sociale in uno Stato membro, ha diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione». Occorre osservare in proposito che il diritto di accesso, così formalizzato, non rientrava tra i diritti peculiari di cittadinanza (v. Cittadinanza europea), indicati nel capitolo relativo del Trattato, ma si poneva come un diritto “generale” riconosciuto in capo a tutti i soggetti interessati.

In base alle indicazioni contenute nel Trattato di Amsterdam e in ottemperanza all’art. 255, la Commissione presentava il 6 gennaio 2000 una proposta di Regolamento per l’accesso dei documenti del Consiglio, della Commissione e del Parlamento europeo, a seguito della quale si apriva, in sede comunitaria ed europea, un dibattito sui contenuti normativi e sui limiti posti all’accesso. Le obiezioni, provenienti all’epoca dal governo olandese e dal governo svedese, nonché dall’Ufficio europeo dell’ambiente, si rivolgevano in particolare al regime delle eccezioni, a causa delle quali il progetto rappresentava una palese violazione del principio della trasparenza posto dall’art. 255 del Trattato di Amsterdam e con quanto stabilito nell’ambito della Convenzione di Arhus del 25 giugno 1998, sottoscritta dalla Comunità europea, sull’accesso del pubblico alle informazioni in materia ambientale.

Il 30 maggio 2001 si pubblicava il Regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, entrato in applicazione dal 3 dicembre 2001.

Nella parte introduttiva (in particolare il “considerando” n. 2) oltre alle dichiarazioni sulla trasparenza che «permette una migliore partecipazione dei cittadini al processo di formazione delle decisioni e garantisce una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità della amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico», si fa riferimento all’art. 6 del Trattato di Amsterdam (L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, principi che sono comuni anche agli Stati membri), alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 4 novembre 1950 e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000. A proposito di quest’ultima si ritiene utile sottolineare che nel capitolo V riservato ai diritti di cittadinanza, l’art. 42 dispone in ordine al diritto all’accesso ai documenti, con le modalità indicate nell’art. 255, con le tutele previste, e che l’art. 41, concernente il diritto a una buona amministrazione, dispone, al punto 2 «il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale» nonché «l’obbligo per l’amministrazione di motivare le sue decisioni».

Per quanto riguarda la parte dispositiva, si osserva in particolare una novità, posta nel punto 2 dell’art. 2, ove si dispone che i titolari del diritto di accesso ai documenti non sono solo i cittadini dell’Unione e le persone fisiche e giuridiche che abbiano la residenza o che svolgano una attività produttiva in uno Stato membro in conformità all’art. 255, ma qualsiasi persona fisica o giuridica che non abbia la residenza o la sede sociale nel territorio comunitario. Quindi il diritto di accesso è riconosciuto in base alla sola presenza, purché vi sia un interesse “amministrativo” all’accesso ai documenti.

Peraltro, gli articoli 4 e 9 pongono il regime delle eccezioni all’accesso ai documenti per impedire che la loro divulgazione possa arrecare un danno. Il disposto dell’art. 4 riguarda le eccezioni “assolute”, quindi tutela l’interesse pubblico, ovvero la sicurezza pubblica, la difesa e le questioni militari, le relazioni internazionali, la politica finanziaria, economica di uno o più Stati membri e della Comunità, nonché la vita privata e l’integrità degli individui, con riferimento alla legislazione comunitaria sulla tutela dei dati personali.

Nel par. 2 dell’art. 4 sono previste eccezioni “derogabili”. Si rifiuta quindi l’accesso ai documenti contenenti informazioni in ordine agli interessi commerciali appartenenti a soggetti fisici o giuridici, compresa la proprietà intellettuale, le procedure giurisdizionali e la consulenza legale, gli obbiettivi delle attività ispettive di indagine e di revisione contabile, a meno che non vi sia un interesse pubblico prevalente alla pubblicazione. È rifiutato anche l’accesso a un documento di uso interno elaborato da una istituzione relativo a una questione su cui non sia ancora stata adottata una decisione, perché la sua divulgazione potrebbe ledere gravemente il processo decisionale della istituzione, a meno che non vi sia un interesse pubblico prevalente alla sua pubblicazione. Ma il rifiuto si oppone anche se la decisione è stata presa, sempre per non danneggiare il processo decisionale dell’istituzione, salvo il prevalente interesse pubblico alla pubblicazione. Dunque l’interesse pubblico, ove accertato, rappresenta la possibilità di derogare alle eccezioni.

Se si tratta di documenti di terzi, occorre consultare il terzo per valutare l’applicabilità delle eccezioni, salvo che non appaia chiaramente la possibilità o l’impossibilità della sua divulgazione. Si possono divulgare parti di un documento non sottoposte alle eccezioni. Infine le eccezioni si applicano unicamente al periodo nel quale l’eccezione è giustificata in base al contenuto del documento e per un periodo di trent’anni. Se però il documento o i documenti contengono notizie relative alla vita privata o agli interessi commerciali o rientrano nella categoria dei documenti sensibili, le eccezioni possono essere estese anche oltre i trent’anni.

L’art. 9 dispone che l’accesso è vietato per i documenti “sensibili”, ovvero i documenti prodotti dalle istituzioni o dalle loro agenzie, da paesi terzi o da organismi internazionali e già all’origine classificati come “confidenziali”, in ragione delle disposizioni interne dell’istituzione interessata per proteggere interessi essenziali dell’Unione europea o di uno o più Stati membri, nei settori indicati dall’art. 4, in particolare negli ambiti della sicurezza pubblica, della difesa e delle questioni militari. In questo caso le domande sono trattate da personale specializzato e i documenti “sensibili” sono iscritti nel registro o divulgati solo con il consenso dell’originatore.

Le restanti norme riguardano la procedura per l’inoltro della domanda, il trattamento delle domande di conferma e, in caso di rifiuto, la possibilità di un ricorso giurisdizionale o di una denuncia al Mediatore europeo, le modalità di consultazione del documento, che può essere sul posto, o in forma elettronica o mediante un registro.

Conseguenze della pubblicazione del Regolamento 1049

A questo proposito si ricorda che sulla “Gazzetta ufficiale della Comunità europea” del 9 maggio 2001 era apparsa una Comunicazione in ordine alla “Apertura al pubblico di documenti/fascicoli coperti dal segreto professionale o d’impresa provenienti dagli archivi storici della Commissione”. Il documento si riferiva all’art. 1 della Decisione CECA della Commissione dell’8 febbraio e del Regolamento CEE Euratom del 1° febbraio 1983, ove si stabiliva come termine per la consultazione dei documenti prodotti dalle due istituzioni la scadenza dei trent’anni dalla loro produzione. La Commissione informava le persone, le imprese e i loro “successori giuridici” della sua intenzione di rendere accessibili al pubblico anche i documenti che all’epoca contenevano informazioni coperte dal segreto professionale o d’impresa, quindi esclusi dall’accesso. La Comunicazione si riferiva all’art. 18 del Regolamento 1049. Peraltro va in proposito osservato che il citato articolo 18 pone regole di carattere generale, dal momento che richiede da parte delle istituzioni l’adattamento alla nuova normativa dei regolamenti interni, ma soprattutto una maggiore cura per quanto riguarda la conservazione e l’archiviazione dei documenti. Ma manca qualsiasi riferimento a una maggiore trasparenza nella gestione del patrimonio storico-archivistico dell’Unione europea a favore dei cittadini.

A proposito dell’adeguamento dei regolamenti interni alla nuova normativa, si ritiene utile ricordare a questo proposito la Decisione 2001/C 374/01 del 28 novembre dell’Ufficio di presidenza del Parlamento europeo, la Decisione 2001/840 del 29 novembre del Consiglio e la Decisione 2001/937 del 5 dicembre della Commissione.

A proposito di quest’ultima, con la quale la Commissione ha modificato il proprio regolamento interno, si ritiene opportuno sottolinearne alcuni aspetti. In primo luogo si considera abrogato il Codice di condotta del 1994. I destinatari del diritto di accesso sono i cittadini dell’Unione, le persone fisiche e giuridiche che abbiano una sede sociale in uno Stato membro, ma anche i cittadini dei paesi terzi che non risiedono e le persone fisiche e giuridiche che non hanno sede sociale in uno Stato membro. Tuttavia, si esclude che «queste persone» (così sono indicati i cittadini dei paesi terzi e delle persone fisiche e giuridiche che non hanno sede sociale) nei casi di cattiva amministrazione da parte delle istituzioni, possano inoltrare denuncia al Mediatore, ma possono presentare ricorso al Tribunale di primo grado.

Con la Decisione dell’Ufficio europeo di presidenza del dicembre 2001, concernente l’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento pubblicata nella “Gazzetta ufficiale” del 29/12/2001, è stata disposta la creazione di un registro con le indicazioni dei documenti elaborati o ricevuti da una istituzione. Si intende attuare “la carta d’identità documentaria”, ovvero un sistema per accedere direttamente ai documenti in particolare quelli legislativi, sotto forma elettronica, nonché la identificazione dei documenti non accessibili elettronicamente, e anche dei documenti non accessibili ai sensi dell’art. 4 e dell’art. 9 del Regolamento 1049.

È interessante a questo proposito considerare le posizioni delle istituzioni nei confronti del Regolamento.

Per quanto riguarda il Parlamento europeo si ricorda che il 3 marzo 2002 si era svolta una riunione con diversi gruppi politici parlamentari concernente la politica del Consiglio e della Commissione in ordine all’accesso ai loro documenti.

Nel corso della riunione si erano rilevate contraddizioni. Ad esempio l’art. 9 dell’Allegato alla Decisione della Commissione consente ai cittadini di conoscere le proposte concernenti le procedure decisionali e la adozione di disposizioni in ordine alla gestione dei documenti. Il Consiglio, dal canto suo, limita la trasparenza dei negoziati tra le delegazioni nazionali, quindi l’accesso alle discussioni in atto, con criteri non compatibili con il Regolamento 1049. Sempre il Consiglio aveva classificato come documenti riservati gli ordini del giorno delle riunioni del gruppo di lavoro ad alto livello e del gruppo di lavoro UE/Stati Uniti (v. anche Comitati e gruppi di lavoro).

Si sollecitavano le istituzioni a elaborare i registri di riferimento sulla base di «norme comuni concepite per fornire un accesso agevolato ai cittadini», riferendosi alle Decisione emanata il 20 dicembre 2001.

Di conseguenza, per cercare di risolvere con un compromesso la situazione conflittuale che si era determinata tra le istituzioni, il 20 novembre del 2002 si poneva in essere un “Accordo interistituzionale”, concernente l’accesso del Parlamento europeo alle informazioni “sensibili” del Consiglio nel settore della politica di sicurezza e di difesa (Politica estera e di sicurezza comune; Politica europea di sicurezza e difesa). L’Accordo prevedeva che il Consiglio consultasse il Parlamento sulle questioni di politica estera e di sicurezza comune e a tenere nella dovuta considerazione le opinioni espresse dal Parlamento, consentendo alla istituzione parlamentare di rivolgere interrogazioni, formulare raccomandazioni al Consiglio nonché di accedere ai documenti riservati o “sensibili” (v. anche Raccomandazioni).

Valutazioni sull’applicazione del Regolamento 1049

Il 25 settembre 2003 il Parlamento adottava una Risoluzione relativa alla applicazione, nel corso del 2002, del Regolamento 1049, preceduta dalla Relazione conclusiva sullo stesso tema.

Nella Relazione si rivolgevano critiche al Consiglio europeo e alla Convenzione istituita a Laeken (v. Convenzioni), ma soprattutto alla Commissione e al Consiglio dei ministri.

A proposito della Commissione si osservava che le domande per l’accesso erano solitamente respinte perché non perfettamente formulate. Il divieto si applicava anche se le domande riguardavano documenti contenenti pareri giuridici, con la motivazione della necessità di tutelare le procedure giurisdizionali, perché i pareri giuridici erano parificati alla consulenza legale prestata da un avvocato al suo cliente, e perciò di carattere “riservato”.

Mentre a proposito del Consiglio, si rivolgevano critiche a causa della soppressione dei pareri espressi dalle delegazioni nazionali nel corso delle discussioni, in contrasto con le disposizioni del Regolamento 1049. Anzi, si rilevava che il Consiglio aveva addirittura sospeso la registrazione di alcune riunioni a porte chiuse, per non dover fornire i nastri, contravvenendo alle disposizioni del Regolamento.

Fra le proposte, si sottolineava la necessità di stabilire un corretto equilibrio tra il diritto di accesso e il diritto alla riservatezza della vita privata. Si osservava anche una scorretta valutazione tra i documenti “sensibili” e i documenti “classificati” per la loro disponibilità all’accesso. Infatti la classificazione “limitato”, “ristretto” riguardava documenti che non erano ricompresi nella categoria “documenti sensibili”, perché la classificazione corretta prevedeva il ricorso a categorie come “segreto”, “segretissimo, “riservato”. Infine, si rilevava la mancanza di una organizzazione sistematica per la elaborazione dei registri.

La relazione si concludeva con una serie di richieste rivolte alle istituzioni per correggere la prassi seguita in ordine all’accesso che risultava essere «estremamente disparata». Infine, si richiedeva alla Commissione di redigere a sua volta una relazione sull’esecuzione del Regolamento e le sue eventuali proposte di modifica.

Infatti, altri elementi di riflessione risultano dalla Relazione della Commissione del 30 gennaio 2004. Emergono in quel contesto due linee di tendenza: da un lato la valutazione delle conseguenze della applicazione del Regolamento, alla luce delle verifiche più recenti. Dall’altro, le motivazioni delle posizioni determinatesi tra le istituzioni, ossia tra il Parlamento da una parte e la Commissione e il Consiglio dall’altra, rispetto alla applicazione delle eccezioni, con le relative motivazioni.

Si indicano i principi generali di riferimento che sono il diritto di accesso generale e incondizionato. L’ampia definizione di documento, riferito a tutte le informazioni conservate sotto qualsiasi forma di supporto. Il principio del pregiudizio, ovvero, posto che nessuna categoria di documenti è esclusa dall’accesso, compresi i documenti classificati, il rifiuto di divulgare un documento deve essere motivato sulla base del pregiudizio che la sua divulgazione potrebbe arrecare agli interessi pubblici o privati indicati nel Regolamento. Il ricorso amministrativo, ovvero la procedura da seguire in caso di rifiuto.

Le innovazioni introdotte sono: la soppressione della norma dell’autore, secondo cui l’accesso è consentito anche ai documenti provenienti da terzi, senza necessità di richiedere l’autorizzazione; l’adeguamento del regime delle eccezioni, nel senso che erano state aggiunte ulteriori limitazioni all’accesso; infine, l’equilibrio degli interessi, ovvero l’equilibrio tra la tutela di determinati interessi e l’interesse pubblico alla divulgazione.

Appare anche l’elenco delle categorie degli utenti rappresentate dal settore accademico, dai settori professionali, tra cui gli avvocati, interessati a reperire informazioni per difendere gli interessi dei loro clienti. Vi è poi una categoria rappresentata da richieste definite “domande commerciali”, consistenti in domande di accesso a documenti che possono avere valore commerciale, come elenchi di indirizzi o punti di contatto, o documenti che sono forniti previo pagamento. Altre domande di accesso provengono da persone che hanno interesse ad ottenere documenti concernenti le procedure di assunzione, bandi di gara, audit (verifiche, revisioni di conti). Infine i giornalisti che risultano essere la categoria che meno rivolge domande di accesso, in ragione dei tempi necessari per ottenere risposte, comunque troppo lunghi.

Si dà la definizione di documento. Come si è rilevato, il diritto di accesso non riguarda tanto il documento quanto la notizia che contiene. Tuttavia assumono importanza anche alcune caratteristiche formali del documento stesso, quali la firma di una autorità o la provenienza da uno specifico ufficio, perché tali elementi formali aumentano l’importanza della informazione.

La Relazione contiene interessanti riflessioni sui limiti al diritto di accesso.

Risulta che fra le istituzioni, il Parlamento è quella che oppone il minor numero di rifiuti rispetto al Consiglio e alla Commissione, ma «[…] la disparità constatata nella applicazione delle eccezioni risulta dalle differenze tra le funzioni e le attività delle istituzioni e non da una interpretazione diversa delle disposizioni del Regolamento».

Si ribadisce che, in riferimento all’art. 4 del Regolamento, le eccezioni poste sono obbligatorie e assolute, quindi «l’istituzione non dispone di un potere discrezionale e il pregiudizio non deve essere bilanciato da un altro interesse».

Inoltre, in riferimento all’art. 9, che dispone in ordine ai documenti “sensibili”, si specifica che «soltanto i documenti provenienti dalle istituzioni o dalle agenzie da loro istituite, da Stati membri, paesi terzi o organismi internazionali possono essere considerati documenti “sensibili”».

Non diversamente le regole che riguardano l’interesse pubblico e la vita privata, la tutela della politica estera, di sicurezza e di difesa, e della cooperazione in materia di Giustizia e affari interni, sono obbligatorie e assolute.

Si rileva peraltro che la distinzione tra documenti sensibili e documenti classificati può essere fonte di incoerenza dal momento che la logica della classificazione richiede che tutti i documenti classificati siano sottoposti alle stesse norme.

Riflessioni puntuali sono riservate al concetto di interesse pubblico, considerato una eccezione alla eccezione, posto, come si ricorderà nel par. 4 dell’art. 4 del Regolamento 1049. Il significato è chiaro: ove si riscontri la presenza dell’interesse pubblico, è lecito non tener conto delle eccezioni, in presenza di due condizioni: l’accertamento di un interesse pubblico alla divulgazione di una informazione, e la preponderanza dell’interesse pubblico rispetto all’interesse da tutelare.

Si rileva peraltro che è difficile determinare giuridicamente l’interesse pubblico. Non esistono regole generali per valutare il rapporto tra interesse pubblico e danno derivante dalla divulgazione di una informazione. Occorre quindi procedere a una valutazione caso per caso. Ma sinora le istituzioni non hanno riscontrato nelle domande l’esistenza di un interesse pubblico tale da giustificare il superamento delle eccezioni. Persino il ricorso all’argomento generale della trasparenza, in riferimento all’art. 1 del Trattato sull’Unione, ove si definisce che per sua natura l’interesse pubblico rappresenta un principio superiore tale da autorizzare la divulgazione di una notizia, non è stato ritenuto accettabile.

Comunque, per limitare le restrizioni alla trasparenza, si autorizza la divulgazione parziale di un documento, cancellando le informazioni da tutelare.

In concomitanza con la promulgazione del Regolamento 1049 non sono mancate, da parte delle istituzioni, altre iniziative volte ad appoggiare e rafforzare la politica della trasparenza. Ne ricorderemo alcune per completare il quadro d’insieme sin qui delineato.

Intanto, a seguito della pubblicazione del Libro bianco sulla riforma amministrativa (v. Libri bianchi), avvenuta il 1° marzo 2000, il 13 settembre dello stesso anno si adottava un Codice di buona condotta amministrativa, come guida del personale della Commissione europea al fine di regolare i rapporti con il pubblico. Aggiungiamo a questo proposito che nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, approvata dal Consiglio europeo di Biarritz del 13-14 ottobre 2000 e proclamata il 7 dicembre successivo, nel capo della cittadinanza, l’art. 41 riconosce a «ogni cittadino» ma anche a «ogni individuo» il diritto a una buona amministrazione consistente nel «diritto […] di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio / il diritto […] di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale / l’obbligo dell’amministrazione di motivare le proprie decisioni». Mentre l’art. 42 ribadisce che «qualsiasi cittadino dell’Unione o qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione».

Il 25 luglio del 2001 sempre la Commissione adottava il Libro bianco sulla governance europea, volto ad aprire un dibattito su vari argomenti, tra i quali la individuazione delle istanze provenienti dalla società europea, le modalità per affrontarle, soprattutto al fine di sollecitare l’interesse dei cittadini verso l’Unione e le sue istituzioni, stimolandone con una migliore informazione la volontà di essere partecipi del processo di integrazione. Il 22 luglio del 2004 si divulgava il Rapporto sulla governance europea formato dai contributi di tutti coloro che avevano partecipato al dibattito, da cui emergeva un percorso di “democrazia partecipativa” fondato sulla «cultura della consultazione e della trasparenza».

Nel corso del 2005, oltre alla Relazione generale sulla attività svolta dall’Unione europea nell’anno precedente, adottata dalla Commissione il 21 gennaio, che riservava il cap. XXV alla “Trasparenza, relazioni con il pubblico, informazione e comunicazione”, ove si evidenziavano le strategie e gli strumenti posti in essere per conseguire gli obbiettivi della politica dell’informazione, si sono moltiplicate le iniziative istituzionali per coinvolgere i cittadini nella crescita dell’Unione mediante la conoscenza.

Dopo l’esito negativo dei referendum svoltisi in Francia e in Olanda (v. Paesi Bassi) per la ratifica del Trattato costituzionale (v. Costituzione europea), che tra l’altro estendeva il principio del diritto di accesso ai documenti all’insieme delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione europea, il 18 giugno 2005 si riuniva a Bruxelles il Consiglio europeo, che proponeva un periodo di riflessione sulle prospettive dell’Unione. In seguito, il 13 ottobre, la Commissione pubblicava una Comunicazione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale, contenente “Un contributo della Commissione al periodo di riflessione e oltre: un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito”. Oltre ai problemi più generali connessi al ruolo delle istituzioni, ai rapporti con gli Stati e con i cittadini, la Comunicazione contiene una serie di suggerimenti per migliorare l’informazione e la comunicazione sul ruolo dell’Europa al fine di coinvolgere in misura maggiore la società civile (v. anche Società civile organizzata), ricorrendo sempre più all’informatica.

Si ricorda in particolare l’iniziativa della Commissione “European trasparency initiative” nell’ambito degli “Obbiettivi strategici per il periodo 2005-2009”, la formazione di un “gruppo di lavoro interistituzionale”, che il 9 novembre del 2005 presentava una Relazione contenente una valutazione della situazione e l’indicazione di alcune iniziative da intraprendere in materia di trasparenza, ricorrendo anche agli strumenti offerti dall’informatica. In quella sede si proponeva anche una revisione del Regolamento 1049, sulla base di un dibattito per esaminare i risultati dell’applicazione del Regolamento.

Sempre la Commissione il 1° febbraio 2006 adottava il Libro bianco su una politica di comunicazione europea, che proponeva anche la stesura di una «Carta europea o codice di buona condotta europea sulla comunicazione», alla quale doveva seguire, da parte delle istituzioni, dei governi nazionali, regionali e locali, e delle organizzazioni non governative, l’impegno, comune e volontario, di rispettarne i principi e di «vegliare affinché la politica della comunicazione dell’Unione europea tuteli gli interessi dei cittadini».

Nel corso del 2006 vi furono altre iniziative in questo senso. Il 3 maggio la Commissione proponeva un Libro verde sull’iniziativa europea per la trasparenza (v. Libri verdi). In particolare, si sottolineava l’importanza di un «alto grado di trasparenza» per garantire che l’Unione fosse «aperta a un controllo pubblico» e rendesse conto del proprio operato, perché un alto grado di trasparenza costituisce la parte integrante della legittimità di ogni amministrazione moderna.

Il 16 ottobre del 2006 il Parlamento europeo pubblicava un Rapporto sul Libro bianco su una politica di comunicazione europea, adottato, come indicato, dalla Commissione il 1° febbraio del 2006. Obiettivo di questo testo era quello di contrastare l’effetto prodotto dal rifiuto del Trattato costituzionale in seguito ai referendum francese e olandese, e frenare l’aumento generale dell’euroscetticismo. Nel Libro bianco la Commissione aveva esposto le linee di una nuova politica di comunicazione europea, volta a colmare il vuoto che separa l’Unione europea dai suoi cittadini. Il Rapporto a sua volta presentava le proposte inoltrate in ordine a questo tema. Si suggeriva di creare un codice di condotta sulla comunicazione, costituito da norme comuni, applicabili alle istituzioni europee, agli organi nazionali e ad altri enti e uffici, per porre i fondamenti di politiche di comunicazione. Si riteneva utile rafforzare i diritti dei cittadini per facilitare l’informazione, ricorrendo anche alla collaborazione con i media per utilizzare le nuove tecnologie. La Commissione proponeva anche di creare una rete di esperti nazionali per promuovere inchieste sull’opinione pubblica: a questa proposta si rispondeva di ritenere più appropriato coordinare e ottimizzare le risorse già esistenti piuttosto che creare organismi nuovi. Si riteneva infine fondamentale sollecitare la collaborazione degli Stati anche per mezzo di strumenti di informazione quali ad esempio le Information communication tecnology (ICT), il cui ruolo era stato evidenziato nella Strategia di Lisbona avviata nel Consiglio europeo del 23 e 24 marzo del 2000.

Una sintesi dei percorsi effettuati e delle prospettive suggerite è contenuta nel Libro verde adottato dalla Commissione il 18 aprile del 2007 concernente “L’accesso del pubblico ai documenti detenuti dalle istituzioni della Comunità europea – Esame della situazione”. Nella parte introduttiva si rievocano le tappe che avevano preceduto il Regolamento 1049 e i risultati ottenuti dopo la sua entrata in vigore a proposito dell’accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni, ma anche le tutele previste a favore di interessi legittimi, con riferimento alla Relazione della Commissione del gennaio 2004. Nei tre anni successivi a quella valutazione, la Commissione aveva rilevato la necessità di modificare il Regolamento, già adombrata nella “Iniziativa europea in materia di trasparenza” del novembre 2005: a seguito di questa iniziativa, il Parlamento europeo con una Risoluzione del 4 aprile 2006 aveva invitato la Commissione a presentare proposte di modifica del Regolamento. Nel citato Libro verde erano indicate le norme che disciplinano l’accesso del pubblico ai documenti e il relativo stato di attuazione, nonché le ipotesi per migliorare la legislazione con proposte di misure concrete per accrescere le possibilità di accesso ai documenti. Si sollecitava il parere dei cittadini, in particolare gli organismi della società civile, degli operatori economici, delle pubbliche autorità e di altre organizzazioni interessate alle questioni europee.

Si stabiliva anche un calendario per la consultazione pubblica e per l’elaborazione dei risultati così articolato: dalla metà di aprile alla metà di luglio del 2007 si sarebbe predisposta la consultazione pubblica; nel mese di settembre del 2007 si sarebbe provveduto alla stesura di un Rapporto sui risultati ottenuti e nel mese di ottobre si sarebbero presentate proposte di modifica del Regolamento.

Vale la pena di ricordare che nel Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, non entrato in vigore dopo il voto contrario dell’Irlanda con referendum del 12 maggio 2008, l’articolo 15 estendeva il diritto di accedere ai documenti di tutte le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione, modificando l’art. 255 del Trattato CE con l’introduzione di un principio generale di trasparenza, e con l’obbligo, per il Parlamento europeo e per il Consiglio, di assicurare la pubblicità dei documenti relativi alle procedure legislative.

Tuttavia, nella Relazione generale sulla attività dell’Unione europea svolta nel 2007, adottata dalla Commissione il 12 febbraio 2008, in particolare nel capitolo riservato alla “Strategia della comunicazione”, non risultano iniziative volte a riformare il Regolamento, ma una serie di proposte per migliorare l’informazione e la comunicazione al fine di integrare maggiormente i cittadini nella vita politica dell’Unione.

In una Raccomandazione del 3 ottobre 2007, “Insieme per comunicare l’Europa”, la Commissione aveva prospettato, con una serie di proposte concrete, una strategia di collaborazione in materia di comunicazione con l’obbiettivo di migliorare l’accesso dei cittadini alle informazioni mobilitando in prima istanza «quali vettori della comunicazione» i sistemi d’istruzione nazionale come anche i Partiti politici europei, il cui ruolo doveva consistere nell’animare e strutturare il dibattito pubblico sulle tematiche europee. Una strategia che trova riscontro nella Relazione generale sull’attività dell’Unione europea svolta nel 2008 e pubblicata il 4 marzo 2009, ove nel capitolo “Strategia della comunicazione” si fa riferimento al citato Piano D, applicato dal 2005 al 2007 e proseguito nel 2008-2009 con la denominazione “Debate Europe”. Le iniziative proposte riguardano interventi per rafforzare la capacità delle Rappresentanze della Commissione negli Stati membri e delle antenne di informazione locali per sollecitare dibattiti, sostenere le iniziative della “cittadinanza attiva” e la cooperazione interistituzionale negli Stati membri e a livello comunitario, sempre per ampliare il contatto con i cittadini.

Un tentativo di riforma del Regolamento 1049 si è verificato per iniziativa della Commissione, che pubblicava il 4 aprile 2008 una “Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione”, fondata sulla Risoluzione del Parlamento europeo del 4 aprile 2006 contenente cinque raccomandazioni, di cui la Commissione teneva conto. In primo luogo la portata della base giuridica e le finalità del Regolamento, rappresentata dall’art. 255 del Trattato di Amsterdam (CE) che garantisce la trasparenza e la vicinanza ai cittadini. Quindi il diritto del “pubblico” ad avere accesso diretto a tutti i documenti preparatori della legislazione. Inoltre, il rispetto delle regole concernenti la classificazione dei documenti, con la garanzia del controllo parlamentare sulla loro applicazione, ma anche la necessità di definire più chiaramente il diritto degli Stati membri a opporsi alla divulgazione dei documenti. Infine, la predisposizione di un unico punto di accesso a tutti i lavori preparatori e norme comuni per l’archiviazione dei documenti.

Una riflessione interessante riguarda la questione dei termini per l’applicazione delle eccezioni. Mentre non è stata condivisa la proposta di definire gli eventi nei cui confronti i documenti non sarebbero accessibili, è stata invece accolta con favore la proposta di una divulgazione sistematica dei documenti dopo specifici eventi e molto prima del termine dei 30 anni per l’apertura al pubblico degli archivi.

La Proposta di Regolamento riporta gli esiti della consultazione pubblica, da cui risulta la necessità di facilitare l’accesso ai registri dei documenti, di evitare misure troppo restrittive a proposito dei documenti da comunicare a terzi, specie se si tratta di individui che svolgono funzioni pubbliche, con riferimento alle sentenze del Tribunale di primo grado e della Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) che riguardano casi di diniego di accesso. Restano però inalterati i contenuti dell’art. 4 del Regolamento, che elenca, come si ricorderà, le eccezioni per impedire l’accesso ad alcuni settori della documentazione. In sostanza, salvo alcune aperture, quale quella relativa ad aumentare la trasparenza del processo legislativo e l’accoglimento del principio dell’interesse pubblico a proposito della diffusione di alcune fattispecie documentarie, non si notano modifiche di rilievo.

Eppure, il 7 gennaio 2009 la “Gazzetta ufficiale” dell’Unione europea pubblicava il “Parere del Garante europeo della protezione dei dati sulla proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione” (2009/C 2/03). Ebbene, dopo un’analisi attenta e approfondita delle proposte avanzate dalla Commissione nel progetto di riforma del Regolamento 1049, Il Garante esprimeva parere negativo «perché questo non è il momento per una verifica», adducendo, tra gli altri motivi del dissenso, l’insufficiente equilibrio, rilevabile nella normativa, tra il diritto di accesso del pubblico ai documenti e il diritto alla protezione dei dati.

L’insieme dei programmi messi in campo dalle istituzioni e fin qui sintetizzati, sembra indicare una svolta nella configurazione della politica della trasparenza, non più incentrata solo sull’accesso ai documenti, ma piuttosto orientata verso scelte propositive più attive da parte dell’Unione. In questo senso si coglie l’intento di promuovere il dialogo tra le istituzioni e i cittadini, fondato su azioni di comunicazione, incentrate, da un lato, sulla trasparenza in ordine alle politiche comunitarie e alle procedure amministrative delle istituzioni, ma dall’altro su un forte sostegno all’esercizio del diritto all’informazione da parte dei cittadini, ivi compreso quello di essere partecipi del processo di costruzione dell’Europa.

Occorre peraltro rilevare che non sembra accantonato l’intento di porre in essere una normativa condivisibile sull’accesso ai documenti, come dimostrano i tentativi di riforma del Regolamento 1049. Il problema centrale consiste nell’equilibrare da un lato, la necessità di tutelare fattispecie documentarie contenenti dati la cui divulgazione potrebbe creare danni a singoli soggetti, o vanificare iniziative volte a contrastare la criminalità organizzata e il terrorismo, o concernenti la politica estera e di difesa; dall’altro, evitare che le istituzioni comunitarie, ricorrendo ad espedienti non sempre giustificabili, riducano il diritto dei cittadini ad accedere alle informazioni contenute nei documenti da loro prodotti.

Come osservazione ultima, ma non conclusiva, si rileva che il tema della trasparenza amministrativa e del diritto all’informazione dei cittadini, affrontato sin dagli inizi degli anni Novanta, non ha ancora raggiunto una tappa definitiva. Si tratta di un percorso accidentato, che abbiamo tentato di delineare utilizzando le fonti normative che ci sono parse più significative, senza entrare in troppi dettagli, certamente interessanti, che però non avrebbero contribuito alla chiarezza di un argomento difficilmente riconducibile entro schemi di linearità. Le difficoltà individuate sono di carattere oggettivo, prodotte dalla necessità di tutelare informazioni riservate, ma anche di carattere soggettivo, legate a scelte politiche che intendono limitare la portata dell’accesso sulla base di motivazioni che vanno talvolta addirittura al di là delle ragioni indicate nel Regolamento 1049. Vedremo nel prossimo futuro quali saranno i risultati che si prospettano nel quadro della nuova politica dell’informazione e della comunicazione e quali ricadute ci saranno in ordine a un più ampio riconoscimento del diritto dei cittadini all’accesso ai documenti delle istituzioni dell’Unione.

Mirella Mombelli Castracane (2012)

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